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Piano Regolatore Generale. Il vocabolario aiuta

Carissime e Carissimi,

uno dei temi più frequentemente elencati nei programmi di tutti i sindaci e di tutte le liste in occasione delle elezioni comunali è il Piano Regolatore Generale. Cosa sia il PRG è noto ai più e nulla ormai importa il dibattito che allora ci fu sulla accettabilità del fatto che lo Stato potesse intervenire così decisamente su certe materie. Ma non tutti riflettono su alcuni aspetti attualissimi di rilevante importanza.

Infatti il PRG è il vero progetto di sviluppo del territorio, il programma strategico di chi amministra un comune, è lo strumento complesso che decide il futuro non tanto delle singole parti dell’ambito comunale ma soprattutto delle iniziative economiche, della posizione che il Comune intende assumere rispetto al territorio, delle idee di residenzialità, della vivibilità di una località e dei servizi che la rendono concreta. In esso c’è, o comunque ci dovrebbe essere, l’idea che del futuro di una intera Comunità locale hanno un sindaco e la sua maggioranza. In esso vi devono essere le regole che  garantiscono equità tra i Cittadini, trasparenza dei percorsi, parità di opportunitànella valorizzazione delle singole parti del territorio.

 

Amministrare con un piano fatto da altri significa adeguarsi o doversi subito adoperare per modificarlo. Avere un piano vecchio significa rischiare di ridursi a pensare vecchio. Certo un PRG è impostato per sviluppare i suoi effetti per più di 5 anni di una consiliatura comunale. Ma il nostro PRG, per esempio, è alquanto datatoNel PRG, ad esempio, non potevano allora esser messe in campo e quindi mancano previsioni e idee legate ad una aggiornata tutela dell’ambiente né tantomeno idee basate sulle innovative tecniche costruttive e sulle energie alternative che oggi dominano gli scenari dell’edilizia. Preparare un piano e presentarlo a fine quinquennio, cioè senza avere il tempo di coglierne i frutti significa anche vincolare il futuro di chi dovrà assumere il ruolo di decisore, il quale o si adegua ad attuare le idee di chi l’ha preceduto, cercando di innestarvi una propria capacità di lettura e di applicazione, o deve spendere altri soldi pubblici per modificare quanto appena fatto. Altri aspetti, conseguenti e concatenati a questi semplici esempi, si intuiscono e fanno capire quanto sia importante il PRG per un Comune.

Ovviamente, farlo un PRG, non farlo, modificarlo, attuarlo o anche solo citarlo è anche uno dei motivi di più aspra polemica tra avversari in ogni comune d’Italia. E’ stato così anche a Miglianico, sin dal 1976, all’alba della prima consiliatura governata dalle Sinistre scaturita dalle elezioni del giugno 1975, dopo un trentennio di governo democristiano.

Forse non tutti ricordano quegli eventi svoltisi negli ultimi due decenni del secolo orami trascorso. Tanti, beati loro, non erano ancora nati o erano nell’età della felicissima infanzia. Molti, però,  ricorderanno gli annunci, le polemiche, i proclami e le solenni promesse dell’ultima campagna elettorale, svoltasi difatti solo tre anni fa, nella primavera del 2009. La sfida a tre (che poi era due contro uno) è stata vinta da Dino De Marco e dalla sua lista chiamata “Progetto Miglianico” (non si è ancora capito perché ma in fondo uno le cose sue le chiama come vuole). Il vincitore, i suoi candidati, i loro sostenitori hanno garantito, per tutti i 20 giorni di campagna elettorale e in ogni luogo dove l’hanno fatta, che il Piano Regolatore sarebbe stato presentato e quindi adottato entro nove (9) mesi dall’insediamento. Nessuno obiettò che in nove mesi la nuova maggioranza avrebbe sostanzialmente dovuto adottare quel che la vecchia aveva lasciato in mano a Di De Marco, senza volerlo approvare, ma pochissimi ci han fatto caso.

Il tempo è passato e nessuno ora può intender che si voglia far polemica sul fatto che la promessa non è stata mantenuta.

Ma la cosa è grave, molto grave.

Per capire questa che più che un giudizio è una semplice constatazione, va precisata la storia della vicenda. Va detto che Miglianico un suo PRG - con questo acronimo si usa chiamare il Piano Regolatore Generale - ce l’ha. L’ultima modifica sostanziale di quello adottato sul finire degli anni ’80, risale al quinquennio 1999/2004, quando era Sindaco Nicola Mincone e vice-Sindaco era Dino De Marco. Prima di decadere da Sindaco, nella primavera del 2004, Nicola Mincone fece approvare l’affidamento dell’incarico per la  redazione del nuovo PRG all’arch. Antonino Di Federico. Affermare che la pianificazione delle previsioni urbanistiche di un Comune spetta a chi governa con la prospettiva di poter attuare i propri programmi è cosa così condivisibile che non merita spiegazioni.

Interroghiamoci ora, dopo 8 anni e mezzo, sul perché fu fatto, cioè perché a decidere di fare un nuovo PRG fu chi stava concludendo definitivamente il proprio mandato di sindaco? La domanda potrebbe sembrare un inutile esercizio dialettico. Invece la domanda ha una sua prima risposta, che può sembrare semplicistica, ma che, a leggerla bene, non lo è proprio per niente: la continuità era scontata.

Altra domanda: perché il nuovo PRG non fu adottato nel quinquennio 2004/2009 (Sindaco Dino De Marco, Presidente del Consiglio Comunale Nicola Mincone, ndr.)? E’ un’altra domanda non peregrina: la risposta sostanziale sta nella lacerazione che, pur non avendo portato alla interruzione traumatica della consiliatura, ha portato, tra le altre vicende, alla chiara decisione dell’intera maggioranza di non ricandidare Dino De Marco come Sindaco. In quegli anni, infatti, ci furono tante riunioni del gruppo di maggioranza, ancora più numerose riunioni di ristretti decisori, una infinità di tentativi di capire e di chiarire le tante cose che stanno tra le linee e le “legende” di una sola planimetria - sempre la stessa - senza poter giungere alla condivisione necessaria per decidere insieme i passi ufficiali in Consiglio Comunale.

In campagna elettorale il sindaco De Marco non ha potuto accusare nessuno dei suoi ex-collaboratori (anima e corpo di Viva Miglianico Viva, la lista competitrice di De Marco e del suo “Progetto Miglianico”) di averlo ostacolato né tantomeno di averlo tartassato di inaccettabili richieste personali. Non poteva, perché non ebbe ostacoli pretestuosi e perché non ebbe richieste inaccettabili.  Fu lui a decidere i continui rinviiPerché tutti quei rinvii? Poteva, doveva spiegarlo in campagna elettorale. Non lo ha fatto.

Ha invece promesso che quel che non gli era riuscito nei sessanta mesi precedenti lui l’avrebbe compiuto in soli nove mesi, facendo credere che avendo una nuova squadra, “Progetto Miglianico”, la cosa era garantita. Poteva essere creduto Dino De Marco. Potevano essere credibili i suoi quando facevano quelle promesse. Essi contavano sull’effetto di chi si propone come discontinuità, di chi deve aggredire e eliminare lo strumento principale della vecchia continuità e quindi non può che proporre una propria idea, che deve essere innovativa, discontinua, comunque diversa rispetto a quella che ha ritmato il vecchio modo di amministrare. Dino De Marco e i suoi sono stati creduti. Forse è stata la somma di singole convenienze, forse si è trattato di un buon imbonimento propagandistico, ma son stati creduti.

Con Dino De Marco, va ricordato, c’era in campo tutta la sinistra locale, quella complessa parte politica e di interessi che tanto contestò il PRG vigente e che fu contraria all’affidamento del nuovo piano fatto da Mincone Sindaco e De Marco vice-Sindaco nella primavera del 2004. Ma nessuno dei candidati e degli esponenti della sinistraha attaccato il passato sul fronte del PRG, semplicemente perché il passato era diventato il loro capo, il sindaco da votare, da far votare, da far inghiottire a anche a chi coerentemente non lo voleva votare. Certo non poteva farlo la dott.ssa Catia Giovina Mattioli che è moglie del segretario del PD ma anche collaboratrice di studio di Dino De Marco (lui elettore del Pdl in quei mesi, poi tornato iscritto all’UDC, ndr.)

Più deciso di Dino De Marco e degli altri “progettisti” fu Lorenzo Antonelli, uno che ci teneva particolarmente a far presto per chiudere o con l’adozione del PRG ocon la liquidazione dei colpevoliChi erano i colpevoli secondo Lorenzo Antonelli, diventato Presidente del Consiglio Comunale? Era colpevole il sindaco precedente, diventato ora il suo sindaco? Erano colpevoli gli oppositori, quelli che prima sedevano in maggioranza e che non potevano più decidere nulla?

Era forse colpevole il tecnico incaricato? Lorenzo Antonelli lo fece intuire ma non lanciò il suo anatema contro di lui. L’arch. Di Federico, evidentemente, non aveva e non ha responsabilità professionali né poteva averne di politiche. Se le avesse avute, quelle responsabilità gli sarebbero state contestate dal sindaco (di prima e di dopo, cioè da Dino De Marco) e non avrebbe potuto vedersi pagati i mandati di pagamento per i compensi dovuti e riconosciuti a norma di contratto. I colpevoli, dunque, Lorenzo Antonelli non li individuò bene allora e non ne ha indicato neppure uno dopo la vittoria. L’adozione del PRG neanche quella è riuscita a portarla a casa come risultato amministrativo.

La storia, alla fine, segna solo una data, anzi una scadenza precisa, inequivocabile, irrinunciabile: nove mesi dalla data di insediamento della squadra di Dino De Marco e dei suoi “progettisti”. Di mesi ne son passati quasi 40 (quaranta) da quel giugno del 2009. Nessun parto in  natura forse richiede tanto tempo. Pochi ormai credono che possano bastare anche i prossimi nove o anche tutti i diciannove mesi che mancano allo spirare di questa consiliatura e allo spirare definitivo del mandato di sindaco di  Dino De Marco. Pochi, tra quelli che hanno creduto alle promesse e agli impegni elettorali del 2004, continuano a sperare di veder esaudite non solo le redditizie richieste sognate e segnate dal voto sulla scheda elettorale ma soprattutto pochi, ma tenaci, continuano a sperare di veder cancellate le costosissime penalizzazioni urbanistiche e fiscali che opprimono ingiustamente i loro terreni. Pochissimi, sempre gli stessi tenaci, credono nel regalo di fine legislatura.

Occorre ancora dar risposta a una domanda opportuna. Perché nulla s’è mosso in questi 40 mesi, perché nulla si muove? La risposta, sorprendendo qualcuno, potrebbe essere ancora la stessa: la garanzia della continuità. Il rinvio senza fine è garanzia di continuità, che è da intendersi come lo spazio dove c’è gente allenata che, come s’usa dire dei grandi centravanti, trova la porta a occhi chiusi, veri top-player di un gioco senza moviola.

Carissime e Carissimi,

solo una discontinuità effettiva e non di facciata può portare a risolvere il principale problema di Miglianicoavere con un gruppo nuovo, coeso molto motivato, un progetto nuovo, quindi innanzitutto un Piano che possa disegnare un futuro ben regolato e che sia generalmente a vantaggio di tutti.

Questa è la morale della storia appena raccontata. Molte altre domande potrebbero esser rivolte da chi vuol conoscere meglio i capitoli di questi anni. Ma intanto si può provare a capire qualcosa semplicemente facendo ricorso alla nostra lingua, quell’Italiano che ha così tante sfumature di ogni colore che sembra esser la lingua perfetta per descrivere senza delimitare e per far capire senza precisare. In sintesi e senza scomodare ricordi e analisi elettorali, si può capire questa vicenda anche leggendo le tre parole chiave: Piano Regolatore Generale. Ma non leggendole secondo il loro comune significato, piuttosto cercando di comprenderle così come sono state lette, cioè interpretate e attuate dai tutori della continuità. Costoro avranno detto:<Anche il vocabolario ci da ragione!>. E loro, che sono proprio bravi, lo hanno seguito alla lettera, scegliendo la lettera giusta tra quelle disponibili.  

 

Piano,

in caso di PRG per “piano” il vocabolario spiega (s.m., cioè singolare maschile) “studio mirante a predisporre un'azione in tutti i suoi sviluppi; disposizione generale di un'opera”;

da noi qualcuno ha ben letto il vocabolario e ha deciso di adottare altri significati della parola come (avv., cioè avverbio) “lentamente, con calma, cautamente” e - absit iniuria - “a voce bassa”…. I nostri non stanno perdendo tempo! No, loro stanno obbedendo a precise indicazioni linguistiche. E siccome sono bravi, più bravi di tutti, non si fermano al “lentamente” ma scelgono il lentissimamente, <…ma si, non facciamo vedere che siamo tirati!> avrebbe suggerito Totò dettando loro una linea politica. 

Regolatore  

Tra i significati del termine ci sono quelli che sono così chiari che non danno occasione di utilizzare molte parole per spiegarlo neanche ai compilatori del vocabolario: (agg., cioè aggettivo) “che regola, (s.m., cioè sempre singolare maschile) “chi regola”, ancora (s.m.) “dispositivo che serve a regolare il funzionamento di…”.

Va fatta la necessaria precisazione: una regola è tale se vale per tutti! Non va stravolta, applicandola ai nemici e interpretandola per gli amici. Ecco allora che pare chiaro a tutti cosa possa produrre oggigiorno una cosa vecchia, fuori dal tempo e destinata a garantire solo continuità per color i quali non leggono ma traducono l’italiano e preferiscono intendere la parola come capacità di regolare solo certe cose che è il sostanziale contrario di quell’ambito d’azione chiaramente descritto quando a regolatore si aggiunge:

Generale

(agg., aggettivo) “che si riferisce al genere, non all'individuo o alla specie; che è comune a tutti, a molti, o a un complesso di persone o cose”

Qui il capolavoro si compie! Dell’intero significato proposto dal vocabolario i nostri inossidabili prendono come buono solo la parte utile e qualificano l’attività del PRG, già limitata dalla sua vetustà, come regolatrice di “un complesso di persone”, nell’evidente significato partitivo (rectius, esclusivo) del significato. Insomma, come diceva in “Pane amore e fantasia”, Caramella, la domestica magistralmente interpretata da Tina Pica, “…il paese è piccolo e la gente mormora!”

Questo “complesso di persone” si capisce bene che non configura né la compagnia di suonatori che portano la partenza alle future spose né un’orchestrina locale né una pur giovane e rivoluzionaria rock band.

Chissà, forse per avere finalmente una buona novità  basterebbe mettersi d’accordo su un fatto: chiamiamo le cose, quindi proponiamole e realizziamole, secondo il loro vero significato, senza fare quel che della propria lingua non va fatto, cioè una lettura interessata o, peggio, una traduzione, che è operazione aberrante perché viziata dal tornaconto di pochi.

L’italiano è lingua complessa ma i vocabolari non litigano.   

 

VivaMiglianico

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