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La Letterina del sabato 1 maggio 2021

Care Amiche e cari Amici,

siamo in zona gialla. Da più parti aumenta la pressione sul Governo e sul suo inspiegabile ministro della salute per tornare quanto prima a riaprire, se non tutto, tutto il possibile. A Miglianico siamo pronti? Il Comitato Feste che poteva già esserci non c’è ancora. I programmi della nostra super Pro-Loco, che potevano già esserci, non ci sono ancora. Da non poche settimane ho provato a sollecitare quei passaggi preparatori che non costavano niente e che nulla mettevano a rischio. Programmare, prepararsi - ho scritto e detto, riscritto e ridetto - significa semplicemente farsi trovare pronti così da non dover poi correre e inseguire affannosamente date ed eventi. Ho scoperto, anzi l’ho sempre saputo, che va di moda, diciamo che è bello non ascoltare i consigli di chi vi scrive da questo spazio di libertà. Sarà così forse perché è bene non mostrare alcuna vicinanza e, men che mai, simpatia verso chi è “antipatico”, “pieno di nemici”, “impopolare”. Sarà forse perché la gente, come ha scritto qualcuno, ama maltrattare male chi la tratta bene. Sarà per altro ancora, no so. Non importa saperlo. I consigli, ripetuti ancora oggi non sono stati ascoltati, sono stati uditi come fastidio, sono stati al massimo giudicati inutili perché proposti da uno che non ha di meglio da pensare o da fare. 

 

Non c’è amarezza né tantomeno dispetto. C’è gioia. Il tempo è galantuomo è darà a ciascuno il suo, come ha sempre fatto, anche dalle nostre parti. Per poterlo capire occorre solo pazienza. Io ce l’ho, una pazienza gioiosa per l’appunto

Il mio Amico, Carlo Biasone, è andato finalmente on-line con la sua seconda puntata sulla vicenda della nuova scuola media. Pare che non abbia chiuso la serie. Continuiamo ad aspettare il finale. In questo frangente potrei consigliare di fare un’analisi più curiosa. Tipo questa. Dopo due anni di letargo si è mosso qualcosa dalle parti dell’insieme-che-divide. È l’opposizione che si è svegliata? O è stata troppo ghiotta l’occasione anche per chi era assopito e quasi disgustato nel dover fare il duro lavoro dell’oppositore? Oppure è stato qualcuno che è andato a svegliare i nostri divisori? Sono domande che contengono un altro di quei consigli che non verranno ascoltati né presi in alcuna altra considerazione che non sia un altezzoso ribrezzo. Ma sono consigli che sapranno sfidare la prova del tempo.    

Passo ad altro.

Non mi entusiasmano i manifesti fatti da Istituzioni, colleghi, Colleghi di congiunti, vicini di casa, amici e soggetti vari in occasione della morte di qualcuno. Del resto sono quasi inevitabili visto che le corone (per fortuna) non si fanno più e che, soprattutto di questi tempi, partecipare ad un rito funebre è meno umano di prima perché sono vietati anche i segni di cordoglio e di vicinanza. A volte non capisco i manifesti che annunciano i vari anniversari di morte quando risultano esser più numerosi dei presenti in Chiesa. Anche questa vicenda però va compresa. Alla fine più che una moda è una consuetudine dettata dalla necessità di far ricordare una persona cara scomparsa da tempo e di far conoscere che ci sarà una Santa Messa in suffragio. 

In fondo, a pensarci bene, il manifesto funebre e quello che ricorda gli anniversari della morte sono uno degli ultimi residui di comunicazione cartacea tra le persone.

Ultimamente però ho visto un manifesto davvero bello, bello per sentimento e capacità di commuovere. Lo hanno pensato e fatto affiggere con i loro nomi e cognomi Gli Amici degli anni ‘60” dell’indimenticabile Nando Sulpizio, scomparso pochi giorni fa. Un’amicizia che si manifesta in quel modo, anche graficamente non consueto, dopo più di mezzo secolo è un sentimento vero, molto bello, evidentemente molto forte e sincero. È stato un gesto che mi ha emozionato.

Pochi giorni prima se n’era andato l’Amico Peppe Di Giovanni. Il dolore per la morte di un Amico non muta di intensità se l’evento finale della sua vita terra arriva quasi annunciato dalla certezza di una malattia che non concede più speranze. Il dolore è lo stesso così come il senso di vuoto che avvolge l’animo. Peppe Di Giovanni è stato “l’assessore” perché, nella sua esperienza di amministratore locale, ha saputo ritagliarsi quel ruolo con uno stile unico fatto di passione, di presenza, di generosità e di impegno. Lo ha fatto senza mai occupare la prima fila o un posto d’onore. Lui amava spendersi, sin dalla prime ore del mattino, al fianco dei dipendenti comunali, facendo del suo mandato una missione di realizzatore di quelle piccole opere e di quelle minute attenzioni al territorio che non si possono scrivere sui programmi ma si fanno come lui ha fatto oppure semplicemente non si fanno. Agli inizi della sua esperienza da amministratore, erano i primi anni ’90 del secolo scorso, mi raccontò come aveva risolto un problema non secondario legato al rinnovo delle lampade della pubblica illuminazione, sostituendo le lampade al neon (a luce bianca), con quelle a luce giallo/arancio. “Stamattina - mi raccontò - so jite a lu sigritarie cumunale (il compianto Gino Colanzi, ndr.) e ji so ditte ca s’adeva cagnà tutte le lampadine de li pale de la luce. M’à risposte ca ngi steve li solde. Ji so ditte: Sigrità, li so ggià accattate. E ccuscì s’à cunviunte pure esse”. È vero, erano altri tempi. Non era ancora arrivata la Bassanini a distruggere dalle fondamenta le amministrazioni locali: Questo aneddoto serve solo a far capire che Peppe non si fermava davanti a una semplice obiezione, andava a fondo e, se aveva spazio di manovra, sempre nei limiti consentiti, alla fine la spuntava, perché pensava al fare. La fatica di tanto impegno non gli offuscava la lucidità del consiglio e della partecipazione politica. Il quinquennio amministrativo comunale targato UDC (2004/2009), partito di cui ero allora Segretario Cittadino, partì con la promessa della rotazione degli assessori a metà mandato. Fu una scelta che si rivelò sbagliatissima. La tensione di quell’attesa prima e poi la sua attuazione minarono la compattezza di quella compagine. Peppe Di Giovanni partì come assessore. Ma, indipendentemente dalla prospettiva di metà legislatura, sin dai primissimi mesi di consiliatura fu bersaglio di polemiche interne alle quali non fu affatto estraneo l’allora Sindaco. In visita della rotazione degli assessori si susseguirono incontri, colloqui, telefonate. In occasione di una cena con alcuni degli assessori in carica, che organizzai presso l’agriturismo “Il Torchio” dell’Amico Giugliano Nanni, Peppe indicò una soluzione che, secondo lui, sarebbe stata quella migliore: "Il segretario del partito deve fare l’assessore esterno. Devi importi e devi fare tu l’assessore, anzi il vice-sindaco. Così - spiegò – non ci saranno fratture, tutti accetteranno e il Sindaco stesso, che ora non vorrà, si sentirà alla fine coperto e sicuro". Non accolsi quell’invito per numerosi e ottimi motivi personali. Già qualche mese dopo dovetti riconoscere che quella che sembrava solo una delle simpatiche provocazioni di Peppe, era invece una lettura lucida e lungimirante, benché impossibile da realizzare a quel tempo. Lo voglio ricordare ancora oggi ai miei ventitré Lettori per evidenziare quella capacità che ha avuto il mio Amico Peppe Di Giovanni di essere sempre presente con una passione lucida e generosa, che dovrebbe essere il vestito di ogni Cittadino chiamato ad amministrare la cosa pubblica. 

Oggi è la Festa dei Lavoratori. Purtroppo non tutti possono festeggiare perché non tutti hanno un lavoro e ci sono non pochi - italiani e extracomunitari allo stesso livello - che vengono brutalmente e cinicamente sfruttati.

Papa Francesco ha dedicato questo anno a San Giuseppe, patrono dei lavoratori. A questo Santo, “gigante del silenzio”, come lo ha definito ieri sera padre Emiliano Antenucci, tutti dobbiamo rivolgere la preghiera di assistere chi lavora, di dar coraggio a chi cerca lavoro, di consolare chi viene sfruttato nel lavoro affinché già il prossimo possa essere un primo maggio degno di esser vera festa per tutti quelli che, lavorando, danno il proprio contributo di Cittadini al bene comune del Paese.

Buona Domenica.

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