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“Lu Paese me” di Alberto Ricciuti

È una riflessione amara e, per certi aspetti, sempre attuale quella che esce dai versi del ragionier Alberto Ricciuti poeta per passione. Nel 1975 vedeva questo nostro Paese prossimo a “fare una brutta fine”. Quando ha pubblicato “Lu Paese me”, nella primavera del 2013, evidentemente aveva ancora motivo di inserirli nelle sua prima raccolta “Pensieri sparsi” compilata a quasi quarant’anni da quel 1975.

 

Mezzo secolo fa, al tramonto della gestione locale del Comune dal parte di una DC ormai logorata, come ancora sette anni fa nel conclamarsi del fallimento di “Progetto Miglianico, il nostro poeta ha sentito ancora viva questa lotta tra la consapevolezza del dover fare qualcosa per il “Paese” e l’apatia che impietosamente contagia molti, facendoli restare così, volenterosi solo a parole. È un sentimento diffuso, lo è sempre stato negli ultimi decenni, sfociato, nel peggiore dei casi, in quella stupidità fatta di critica-a-prescindere. Era, è quell’ostacolo mobile e invisibile. Purtroppo è tornato ancora in funzione, grazie allo strumentale divisionismo introdotto un paio d’anni fa, un male indotto che a volte ferma la partecipazione attiva e propositiva di tante persone di buona volontà.

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