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La letterina del sabato 7 marzo

Care Amiche e cari Amici,

ci siamo. 

L’emergenza coronavirus è entrata nella nostra quotidianità. Abbiamo regole da seguire, anche se possono sembrarci esagerate, stili di vita da modificare, abitudini da rivedere. Fare i superficiali, pensare di aver capito tutto, peggio ancora pensare che internet dia verità assolute è un errore che questa volta può fare danni seri, molto seri. Bisogna avere fiducia nel Presidente Mattarella e in quello che il Governo dispone ufficialmente. Dobbiamo seguire le indicazioni del Sindaco e della nostra eccezionale Protezione Civile. Talk, gossip giornalistico, post e messaggini su questo fronte sono armi spuntate o, peggio, autolesionistiche. 

Qualcuno, che lo ammetta o no, ha paura o comincia ad averne. È normale. 

 

Non ci sono soluzioni rapide e decisive, non abbiamo ricette miracolose. Pregare, meditare pregando, isolarsi nella preghiera e, al tempo stesso, esser in comunione con altri attraverso la preghiera è un modo eccellente per utilizzare il tempo privato, uno spazio che si dilata di pari passo con quello della vita in pubblico che si restringe. Aspettare, qualora pure dovesse arrivare, il momento dell’angoscia per fare della preghiera una misera moneta da spendere per comprare un miracolo per sé stessi o per i propri cari è uno stupido rischio se non si coglie questa occasione.

Ecco, possiamo considerare questa emergenza anche un’occasione positiva. 

Possiamo verificare se siamo capaci di umanità. Tra le migliaia di note e commenti che girano, ho letto, come immagino anche voi, una bella riflessione che evidenzia elementi di straordinaria importanza. Essi sgorgano dalla nostra grande cultura letteraria, in particolare da Boccaccio, che la peste l’aveva conosciuta davvero, e Manzoni che l’aveva studiata molto approfonditamente. Boccaccio, con il Decamerone, rispondeva alla peste e alle sue paure disgreganti “con un grande inno alla vita e alla buona civiltà”. Manzoni, ne “I Promessi Sposi” “rispondeva con la fede e la cultura che non evitano i guai ma insegnano come affrontarli. Entrambi rispondevano in modo simile: invitando a esser uomini, a restare umani, quando il mondo impazzisce”. 

Fuori dall’emergenza devo chiedervi una cosa. Come canta la nostra Olivia coi suoi godibili stornelli? “Nen pozz’arimantenè...”. Ma se il contagio al posto di Codogno (Lombardia) fosse esploso che so, a Napoli/Caserta/Reggio Calabria/Foggia o in un’altra località del sud Italia, cosa sarebbe successo? Quanta polemica avremmo dovuto ascoltare in tv e sui social? Quanta resistenza ci sarebbe stata a aprire i cordoni della borsa per non dar denari pubblici ai “meridionali incapaci, ladri, approfittatori di stato”, etc.? Quanto antimeridionalismo sarebbe stato lanciato senza umanità? Avete anche voi questa risposta? Bene, di questo va presa nota oggi, anche in vista di quel che sta per accadere e per ogni evenienza futura che pure accadrà.  

Fuori dall’emergenza, anzi prima che essa fosse tale in Italia, ho anticipato a qualche amica ed amico che se andassimo in quarantena, potremmo ripetere, fatte le dovute e sacrosante differenze, l’esperienza del Decamerone. Non so se avremmo successo con questo ipotetico libro, che potrebbe essere anche un instant-book. Certamente avremmo la possibilità di narrare e di scrivere esperienze raccontate con la sincerità letteraria, con la meditazione dell’amicizia, con la calma donata dal tempo. Penso che questo esercizio possano farlo anche tanti altri. Lo sconsiglio invece a chi, pur avendo abilità nell’uso delle parole, pensa di scrivere cose intelligenti ma ha già dato prova di sé sparpagliando fesserie gossippare e di ogni altra bassa lega sui propri e sugli altrui profili Facebook; e ci siamo capiti. Non importa che destino avrebbero i nostri scritti. Sarebbe bello e utile parlare come si faceva quando non c’era l’affanno dei social; sarebbe intrigante scrivere senza fretta di pubblicare alcunché da nessuna parte; sarebbe interessante leggere sapendo di avere il tempo di farlo e di poterlo commentare e, casomai, poi anche di raccontare. Così non solo occuperemmo il tempo dell’isolamento o della privazione delle attività di massa ma lo riempiremmo di umanità. Chissà che questo non accada davvero.

Tra le cose che l’attuale emergenza ci ha tolto e ci sta togliendo ci sono i riti ormai stantii e a volte addirittura stucchevoli dell’8 marzo, la cosiddetta “Festa della Donna”. 

Il femminismo su questo aspetto rituale non ha fatto i passi avanti che le Donne invece hanno saputo fare nella società contemporanea. È vero che non siamo ancora nella condizione perfetta sul fronte della parità, del resto la perfezione sarà impossibile da raggiungere come in ogni vicenda umana perché perfetti non siamo. È vero anche che in ceri casi, che pure ci sono, occorrerebbe cominciare ad attivare una tutela per i maschi o ciò che resta di loro. Detto questo e tralasciata ogni altra ulteriore annotazione, quel che occorre fare, ogni giorno, è abbattere i muri che segnano ancora una differenza di dignità tra Maschi e Femmine, costruendo ponti che consentano alle loro strade di incontrarsi sul piano di una effettiva parità col raggiungimento della quale finiranno violenze, soprusi, discriminazioni e tante altre brutture. Però, lo ripeto, alcuni riti dell’8 marzo sono una inutile perdita di tempo e di energie; rischiano di essere anche controproducenti.

Non sono mai stato femminista, non ne ho avuto bisogno. Ho sempre provato a coltivare senza fatica e con grande gioia il rispetto più profondo e tenace verso le Donne. Senza rispetto per la loro unicità, senza il rispetto che è consapevolezza del loro essere collocate al punto più alto del creato, soprattutto quando sono madri, senza rispetto per il loro essere Donne e basta non ci può essere nulla sul piano affettivo, familiare e sociale. Senza rispetto non c’è amore, non c’è passione, non c’è condivisione di amicizia, non c’è cordialità nella quotidianità. 

Giorno dopo giorno ho imparato, senza partire da un 8 marzo, ad avere rispetto per le Donne e così le ho potute amare e venerare, le ho potuto avere come amiche, come colleghe, come avversarie, come Concittadine parte viva della nostra Comunità. Ho potuto farlo perché ho avuto la fortuna impagabile di avere lezioni quotidiane da parte di Donne straordinarie: le mie Nonne, mia Madre, le mie Zie, Suor Anna Domitilla, Suor Anna Raffaella, le mie maestre, le catechiste e le professoresse, quindi mia Moglie, mia Sorella, le mie Cognate che son come sorelle, le mie Figlie, le mie Nipoti, non poche Amiche e anche alcune di loro che oggi si sforzano di non essermi più Amiche. Sono state e sono tutte queste Donne che, sovrastandomi con la qualità delle loro doti, mi hanno portato a rispettarle e venerarle ogni giorno senza che fosse quello della Festa della Donna. Per me l’8 marzo possono anche abolirlo, come è stato fatto con tante altre feste e ricorrenze più o meno scadute nel corso della storia. Ne soffriranno conferenziere di mestiere, personaggi da comparsate televisive, fiorai e pizzaioli, più di altri. Per tanti che hanno avuto la mia stessa fortuna non sarà così. Perché ogni giorno è pieno di rispetto per le Donne, di amore per le Donne, è pieno di contemplazione della loro straordinaria capacità di essere protagoniste ovunque, è ricolmo di gioia nel condividere il cammino della vita insieme a loro. 

Viva le Miglianichesi, Viva le Donne.  

Buona Domenica.

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