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Miglianico, nata per amore, costruita nell’accoglienza

Cosa c’è all’origine di Miglianico, com’è nata la nostra bellissima cittadina, perché queste case, le strade e i campi disegnati dal lavoro dell’uomo sono Miglianico?
Non c’è storiografia che attesti com’è nata Miglianico. Ci sono tracce documentali che dicono ancora poco. Ci sono state congetture sull’origine del suo nome. Oggi c’è la ricostruzione da ritenersi pressoché inconfutabile sull’origine del nome di Miglianico, fatta, con autorevole scrupolo e con appropriata ricerca e utilizzo delle fonti, dal prof. Antonello Antonelli, e presentata nel corso dell’ultima “Conviviale degli Sfigati di Ferragosto”, tenutasi presso il Ristorante Il Casolare a cura della Delegazioni di Chieti dell’Accademia Italiana della Cucina. Ma oltre a questo in verità c’è poco.
C’è un racconto, per alcuni una leggenda, per altri ancora una semplice tradizione orale che narra la nascita di Miglianico. La conosciamo tutti, probabilmente. Ciascuno ne conosce una versione con determinati dettagli. Qualcuno forse la ignora del tutto.

 

Posso scrivere quella che il mio Papà mi ha raccontato tante volte, la sua versione del racconto che gli aveva fatto Mastre Camille Fabbucce, poeta-calzolaio, vice-podestà, appassionato di storia e più in generale di libri. Mastre Camille è stato, così mi raccontava Papà, uno di quelli che certi libri che erano nel Castello li aveva letti. Da lì traeva i suoi racconti e quel che scriveva e leggeva ai suoi concittadini. Ridurre questo racconto ad una mera “tradizione orale diffusa in paese”, come la qualifica molto autorevolmente il prof. Giorgio Pannunzio nel libro “Miglianico nella storia e nella letteratura” (Edizioni Il Baule - 2004) deve forse essere accettato. Ma non significa che si tratti di una favoletta. Ci sarebbero numerose domande e risposte per confutare la riduzione a favoletta di questo racconto, ma andremmo lontani, senza poter comunque produrre altro che ulteriori elementi da discutere e chiarire.
Il racconto è questo.
Il giovane Diomede Valignani, come premio per le sue gesta eroiche, oltre ad alcuni feudi, tra i quali quello di Chieti, ricevette in sposa la bella Rosalba, figlia di Commeno, ultimo imperatore di Bisanzio. Tra di loro ci fu subito amore dolce e reciproco, una vera passione. La coppia di innamorati, dopo i lunghi festeggiamenti, viaggiò alla scoperta del nuovo feudo di Chieti. Il viaggio non era solo di carattere amministrativo. Infatti Diomede aveva promesso alla sua Rosalba di edificare il loro castello, una residenza non un forte militare, nel luogo che lei avesse scelto. Rosalba si innamorò di un colle, in bella posizione e dall’aria buona, dal quale ella vedeva il mare e tutti i campi dintorno. Era vicino alla grande Città teatina ma abbastanza lontano da poter stare tranquilli. Diomede fece costruire proprio lì il loro nido d’amore e lì andò a vivere con la sua sposa, la bella Rosalba. La nascita di Miglianico cominciò dunque con una storia d’amore. Ma, per compiersi, questo amore dovette farsi anche dono generoso. Il castello accolse, infatti, qualche tempo dopo i cittadini della vicina Sauria o Saturia, piccola e ridente cittadina adagiata sui pendii degli odierni colli di Sauria, nella bassa val di Foro, che dovettero fuggire per evitare la strage o la schiavitù quando i Turchi di Solimano (o Solimene) invasero la nostra vicina costa. Attorno a quel castello, edificato per amore, si radunarono gli scampati, i profughi, ricevuti e protetti con semplice e forte spirito di accoglienza. Su questa pagina tragica il poeta Camillo Fabbucci scrisse un bel poemetto, “Gli ultimi giorni di Sauria”, in cui si intrecciano le vicende drammatiche dell’invasione turca e della distruzione della vicina cittadina, con la struggente storia d’amore di Manlio, duce dei soldati di Sauria, e della sua amata Gilda. Se avrò tempo pubblicherò il poemetto con le dovute precisazioni relative al rimaneggiamento che feci personalmente sul testo originale.
A spulciar la storia queste vicende non sono facili da collocare. Il citato autore del volume, a suo tempo finanziato dal Comune di Miglianico, contesta alle fondamenta “la tradizione orale” che descrive questi eventi, citando, ad esempio, il fatto che l’impero di Bisanzio fu molto più longevo rispetto alla presunta nascita di Miglianico da collocarsi come edificazione del castello alla fine del XII secolo. In verità il racconto non si discosterebbe molto da un possibile aggancio storico se alla narrazione che parla di Commeno come ultimo imperatore di Bisanzio, si riuscisse a leggere più semplicemente “l’ultimo Commeno imperatore di Bisanzio”, il che, nella tradizione orale seguita alla originale narrazione di chi può aver letto qualche documento, non sarebbe altro che un modo semplificato di riportare quanto ascoltato. Non è per forzare la storia ma, se così fosse, ci sarebbe un elemento non sfavorevole nel fatto che l’ultimo imperatore di Bisanzio della stirpe dei Comneni (un’altra semplificazione orale tra il più corretto Comneno e l’usato Commeno), cioè Andronico I Comneno, (1118-1185) governò dal 1183 al 1185. Insomma siamo alla fine del XII secolo e proprio in quel tempo c’è stato l’ultimo dei Comneni quale imperatore di Bisanzio. Potrebbe essere lui il padre della bella Rosalba, andata in sposa al valoroso Diomede? E era Diomede o Eleuterio (Diomede) Valignani quel campione che meritò tanto premio?
Occorrerà fare ricerche. Ci vorrà il tempo e la fatica dello studio da parte di chi ha competenza.
Fino a prova contraria mi tengo stretto nel cuore il racconto del mio Papà, che mi raccontò altre storie più recenti su Miglianico che sembravano leggende ma che poi scoprii esser vere.
Preferisco pensare che la mia Miglianico sia una cittadina nata per amore e con spirito di accoglienza. E spero che a soli 950 anni di età non abbia perso la forza di amare e di essere capace di accoglienza cordiale e generosa.

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