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Miglianico, questione di genere

“La Miglianico Tour o il Miglianico Tour?”. Comincia così l’articolo che scrissi in occasione della 33^ edizione di quella che oggi è la gara podistica forse più longeva d’Italia, certamente è la manifestazione che ha fatto conoscere a tanti nel mondo il nome della nostra Cittadina. Quell’articolo, chiestomi da Nicola Mincone per il libretto di quella edizione, è ancora pubblicato sul sito della “Miglianico Tour” (clicca qui per leggerlo); da qualche tempo è stata tolta la firma dell’autore, chissà perché. Non importa. 

Il dilemma, quello sul genere maschile o femminile del nome dato alla manifestazione, affacciatosi subito nei primi anni Settanta del secolo scorso, quando nacque la nostra corsa d’agosto - nata in verità a settembre, l’8 settembre, che è un bel nascere - fu risolto facendo prevalere il genere femminile.

 

La storia di questa vicenda è efficacemente narrata dal dott. Roberto Terenzio, l’inventore della “Miglianico Tour”, nell’agile volumetto che ha voluto donarci in occasione della 40^ edizione della corsa (“Miglianico Tour - 40 anni di podismo” - luglio 2010). L’autore riconosce che sarebbe corretto dire “il Miglianico Tour” (come il Tour de France, da cui fu tratta ispirazione per la denominazione della nostra corsa) ma che la sintesi fatta allora - e da allora in poi -  fu di continuare a elidere la parola “corsa”, agganciando quindi il genere a questo lemma che è appunto femminile. Roberto Terenzio ammette di preferire “la Miglianico Tour”. È un errore, lo riconosce chiaramente. Ma ormai, il dibattito, opportuno per certi versi, non ha più motivo di aver valore di correzione poiché siamo a quasi mezzo secolo di una consolidatissima tradizione che parla de “la Miglianico Tour”. Il prestigio della corsa ha quasi cancellato l’errore che compare con disinvoltura su uno dei biglietti da visita più importanti e che ci rende famosi nel mondo. È un vezzo che ci possiamo permettere, come le scarpe da tennis con lo smoking di qualche vip del cinema sul red carpet di Cannes o l’orologio sul polsino dell’Avvocato (al secolo Gianni Agnelli).

Questa riflessione non è peregrina né capziosa. Mi è tornata in mente poiché si è discusso anche di questo e non solo. Lo si è fatto poco dopo la lodevole iniziativa dell’Amministrazione Comunale di promuovere, in occasione delle quattro serata de “Le Contrade del Piacere”, un’ampia consultazione popolare per la scelta del logo e dello slogan tra quelli proposti dagli studenti di marketing chiamati a suggerire idee in merito. Si è discusso cioè se Miglianico sia nome maschile o femminile. La risposta scontata è che il toponimo dei centri urbani sono al femminile, perché si sottintende Città (…di Milano, di Roma, di Canicattì, etc). Ma è anche vero che nel nostro caso, almeno fino a qualche decennio fa, quando eravamo ancora un piccolo centro e non una cittadina, si sarebbe dovuto sottintendere non la città di Miglianico, ma il paese di Miglianico, quindi al maschile. Avremmo dovuto ereditare e dire Miglianico al maschile. Uno spunto particolare viene dal nostro dialetto che ci fa dire Mijàneche è bbelle (così recita anche la celebre canzone “Mijàneche”, scritta dall’indimenticato Italo D’Onofrio e dal maestro Francesco Paolo Martinicchio) e non Mijàneche è bbella. Non si sente calcato il maschile ma certamente “bbelle”, così come pronunciato anche nella citata canzone, è di sonorità poco femminile. 

Per me Miglianico È. 

Che sia bella o bello mi cambierebbe pochissimo, anzi nulla. Miglianico è bella suona meglio di Miglianico è bello, forse per abitudine dell’orecchio. Ma la bellezza di Miglianico quella è, è bellezza, unica, insostituibile, appassionante, dolcissima e vitale bellezza, comunque.  

Il dibattito appena avviato potrebbe però far nascere la tentazione di sovvertire l’uso corrente e corretto per avere Miglianico come il primo Comune con nome al maschile. Forse non sarà il primo, perché l’Italia è il Paese delle eccezioni e qualcosa può sempre sbucare da qualche parte, ma certamente il primo ad aver cambiato genere, non sessuale ovviamente, da femminile a maschile. Sarebbe una forzatura non eccessiva ma tale sarebbe, una forzatura. Mentre le donne provano a riscrivere il vocabolario con presidenta, ministra, sindaca, assessora e riscritture simili, noi faremmo la strada inversa. Sarebbe sicuramente una provocazione voluta e consapevole, poiché nei messaggi pubblicitari spesso è la provocazione che attira l’attenzione. 

Potrebbe funzionare, perché no?! 

Sarebbe forse anche contro la storia. E non solo quella grammaticale. Ma contro la storia evolutiva del genere umano. Il maschile sembra essere un genere in disuso. Possiamo scherzare su tante cose e cosette che esaltano il maschio rispetto alla femmina dell’uomo e viceversa. Ma la verità è quella che abbiamo sotto gli occhi e che va evolvendo in una direzione ben precisa. Quello maschile è un genere che forse tra qualche decennio andrà tutelato con apposite leggi e con attenzione scientifica sennò si rischia perfino di perderlo. 

Rimane una certezza, uno degli ultimi appigli maschili. La Chiesa cattolica è una delle istituzioni più longeve della storia dell’umanità. Sarà perché la sua guida è affidata al Papa che è parola che finisce con la “a” ma è maschile, da più di duemila anni? Più probabilmente è perché la guida lo Spirito Santo, che non è né maschio né femmina. I grandi artisti ci hanno raffigurato Dio Onnipotente come un omone luminoso dalla fluente barba bianca. Ne “I dieci comandamenti” di De Mille Dio quando parla a Mosè ha un vocione molto maschile. Ma è da tanto che sappiamo che anche questo così non è. Almeno dal 1978 quando Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, soprese non pochi affermando che Dio è Padre ma ancore di più è Madre.

In ogni caso, questa del genere da attribuire al nome di Miglianico non è materia di fede. E siccome siamo una repubblica, anche alquanto libera, almeno nell’esercizio della fantasia, Miglianico potremmo anche cominciare a considerarlo un toponimo tutto maschile. Chissà.   

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