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La mela di Biancaneve

Anche se è a lieto fine, con il trucco positivo che le fiabe del tempo immettevano nella trama per consentirlo, il racconto della storia di Biancaneve sembra tornare nella sua parte più cruda ad ogni primavera, quando appare la ciclica ordinanza sindacale sul corretto uso dei fitofarmaci. 

In questa storia non c’è un lieto fine.

 

Chi mangia la mela di Biancaneve, scelta per la sua bellezza estetica e capace di nascondere il cinismo di chi non rispetta la vita altrui per garantirsi potere e ricchezza, muore (chi mangia “una mela al giorno” fa vivere meglio Miglianico, ricordiamocelo sempre). E non c’è bacio, non c’è principe azzurro, non c’è un “e vissero tutti felici e contenti”, perché ormai sappiamo che non viviamo nel mondo delle fiabe, anche se qualcuno ogni tanto si mette su un trespolo a raccontarcele. Se c’è qualcosa di prezioso ma di inutile sono, da un lato, le gemme preziose che i sette nani (e ce ne sono di nani che pensano solo alle gemme preziose lasciano a casa il vero valore di una vita in pericolo) continuano a scavare anche se ne hanno a iosa e, dall’altro, la bara di cristallo, che qualche speculatore alla fine potrà comprarsi avendo succhiato ricchezza in ogni modo ma sempre per andare all’altro mondo, dove la sua ricchezza non gli servirà. 

Il vero valore è la vita dell’uomo. Ma è quello che dimentichiamo sempre. 

Lo dimentichiamo noi consumatori, rimbambiti e accecati dal marketing pubblicitario, quando vogliamo la mela bella, senza macchia, perfetta, il che non significa buona e sana. 

Lo dimentichiamo noi produttori, che dobbiamo vendere un prodotto e ci pieghiamo alle regole che altri ci impongono come le più veloci ed economiche, cioè più redditizie per chi produce, cioè per noi, indifferenti al resto.

Lo dimentichiamo noi Cittadini che immaginiamo che due vigili Comunali in sei/otto ore di lavoro al giorno possano costringere noi produttori sparsi su cento chilometri di strade comunali e altrettanti di stradine interpoderali e private, a osservare regole  teoricamente buone ma prive di strumenti efficaci come sono una effettiva prevenzione e una efficace repressione. Troppi film con sceriffi onnipotenti ci hanno confuso le idee. 

Noi siamo tutti bravi. Pensiamo sempre che altri debbano farlo, “perché noi gli paghiamo lo stipendio a quelli”; così abbiamo risolto il problema della nostra coscienza con un clic e possiamo andare a comprare mele a basso costo ma esteticamente perfette. Poi, se abbiamo da fare alla nostra auto (che conta più della vita di mille migranti schiavizzati) un cambio di olio comprato in un ipermercato, buttiamo il vecchio nelle fogne, “tanto visto che pago le tasse…” e non accetteremmo di essere sanzionati perché abbiamo la giustificazione pronta: “se la prendono con me per niente, quando altri fanno ben altre porcherie...”. Se dobbiamo eliminare qualcosa delle tante cose che riteniamo inutili perché possiamo comprarne delle nuove, non aspettiamo il turno della raccolta programmata né chiamiamo chi è incaricato ma, siccome non abbiamo tempo da perdere e siamo efficienti, facciamo subito a mettere tutto in un sacco nero o disordinatamente in un cassone di furgone e andare a scaricarlo dove non ci vede nessuno, casomai lungo il nostro fiume, perché siamo furbi noi.  

Dimentichiamo che il valore della vita è un bene assoluto, che non si tiene in cassaforte, ma è tale se è vita, vita di relazione e di rispetto, anche vita quotidiana, è impegno, è sacrificio, è accettazione del rischio sempre più presente di essere impopolari e anche minoranza irrisa e derisa. 

Ce ne ricordiamo solo quando veniamo toccati direttamente nella nostra salute o in quelle degli affetti più cari o quando ci commuoviamo via social-network, a ondate tanto apparentemente grandi quanto effettivamente effimere. 

Su Viva Miglianico ho già raccontato la mia posizione (clicca qui per rileggere l'articolo del maggio 2013), impopolare allora, inutile forse ancora oggi. Ma popolare non voleva essere e utile lo è stata forse per chi ha saputo leggere senza pregiudizi. 

Oggi vedo che, oltre l’agitarsi di chi fa polemica per partito preso o per sana e robusta ignoranza sostenuta nella sua facciata di cartapesta da avversione e orgoglio, si comincia a capire che un’ordinanza va fatta (eccome se va fatta, se non ci fosse nemmeno quella sarebbe un disastro) ma non ci si può fermare lì né si può pensare che anche la sua ottimale applicazione risolva il problema. Il problema, infatti, non è solo nel corretto uso dei fitofarmaci ma è forse anche nei fitofarmaci in quanto tali, nella loro produzione e nella loro distribuzione: sono problemi planetari legati anche allo sviluppo della ricerca, ad interessi estesi e al profitto di grandi multinazionali, che un Comune o anche dieci Comuni non potranno risolvere da soli. Ma certo, informare e formare gli addetti a comportamenti più responsabili, sarà un bel passo avanti. Sarà un buon passo avanti se si riuscirà a coinvolgere la Cittadinanza e soprattutto le scuole, perché il motore del futuro sono i più giovani. Così smetteremo di pensare alla scorciatoia polemica di una sera che una multa, ancora peggio se dettata dalla delazione, possa fermare il fenomeno del cattivo uso dei fitofarmaci. 

Il tempo che ha creato questo problema è stato non breve, benché accelerato dalla spinta del denaro. 

Il tempo per risolvere questo problema o, almeno, per attenuarne gli effetti peggiori, non sarà breve. Potremo acceleralo con la serenità e la buona volontà, soprattutto con un solido senso di rispetto per la vita umana, che è l’unico valore di riferimento possibile. 

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