Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Auguri a tutti i Papà, a quelli di ieri e a quelli che oggi sono un segno dell’evoluzione della specie, ma soprattutto ai Papà di Miglianico

I Papà ormai non si festeggiano più. Ma non è un gran male.
L’assenza, o meglio, lo scemare lento di questa festa nei piccoli riti delle scuole della prima età non è una diminuzione. La rarefazione delle offerte commerciali, determinata probabilmente anche dalla crisi ma non solo, non è una perdita. Il giorno di San Giuseppe, Patrono dei lavoratori e anche dei Papà, non è più segnato in rosso nel calendario civile e nessuno forse ci fa caso che sia San Giuseppe se non per far auguri ai Peppe, Peppino, Pino, Gino, Gina e Peppinella. Ma in Paradiso queste differenze civili non contano. Eppure, a voler ascoltare ogni tanto i Parroco (a noi lo spiegò tanto tempo fa don Vincenzo, ma qualche sabato fa lo ha detto ai bambini anche don Gilberto), dovremo sapere che Dio stesso, creatore del cielo e della terra, ci ha chiesto, attraverso suo Figlio, Gesù Cristo di rivolgerci a lui chiamandolo Abbà, cioè Papà, anzi, don Vincenzo ci disse che si tratta quasi di un vezzeggiativo e si dovrebbe tradurre meglio con Paparino. Quanta dolcezza nell’eternità!

Ma questo fenomeno al contrario della Festa del Papà, insieme ad altro, va invece colto come occasione per incorniciare un qualcosa che, per molti aspetti, è davvero bella. È quella parte dell’evoluzione della nostra specie rappresentata proprio dai Papà. Non ci sono quasi più i Papà tenuti nella teca dell’autorità seriosa e minacciosa. O quelli che mirabilmente ha descritto nei versi che aprono questo articolo il maestro Cesidio D’Amato, da onorare certo ma poi forse solo da contemplare e saper ascoltare. Non ci sono quasi più i Papà chiamati a interpretare per forza un ruolo maschile quasi ruvido, brusco, austero, ma non pieno che in fondo non derivava tanto dalla diversità ma quasi da una delega, dalla concessione che gli viene fatta dai vari “Chiamo Papà che ti dà le botte”, “Non lo dire nemmeno a tuo padre che sai come la pensa” o “Chiedilo a tuo padre”, fino al teatrale “Se t’acchiappe pàtrete, vide che ti succede!”.
Questo animale sta forse scomparendo; tra un po’ bisognerà conservarli in qualche para-zoo dell’umanità.
È bello vedere i Papà di oggi che portano in giro, tenendoli in braccio i figli già da neonati, che cambiano pannolini, che parlano di latte e di pappe come normalmente si farebbe se si trattasse di ristoranti stellati, consigliando o chiedendo consiglio. È bello vedere Papà che portano i più piccoli a scuola o all’asilo; nelle nostre immagini in bianco e nero non c’erano, o erano mosche bianche: erano impensabili oltre che improponibili.
Invece questa dolcezza che promana da mani maschili, le coccole, le canzoncine, la pazienza dei primi giochi, il tempo dedicato nella condivisione della gioia con la propria moglie non solo nella ufficialità ma nella quotidianità spicciola della vita genitoriale è segno di un bel cambiamento, di una vera e bella evoluzione.
I nostri Papà, almeno tanti di loro, se ne sono andati con le mani ancora piene di carezze e con migliaia di baci non dati, perché quelle sembravano cose non adatte ai maschi.
Hanno avuto modo di recuperare, di scaricare un po’ di dolcezza se han potuto fare i Nonni, ma è il tepore di un’altra stagione. Chissà quanti di loro, scioltisi nell’abbraccio dei nipotini, avrebbero voluto tornare indietro per poter scambiare le ore passate nei bar o a far chiacchiere con quelle che non hanno passato facendo i Papà anche in certi momenti, lasciando alle donne la cura, nella crescita ma anche nella dolcezza, dei più piccoli.
Le ore anche per chi le ha potute vivere son sempre poche e passano con inafferrabile velocità. Ma val la pena averle avute e averle date. Allora, per chi e ha avute e date quelle ore speciali, l’attimo nel quale si riceve un augurio per la Festa del Papà da un soldo di cacio di ometto che è il proprio figlio, sembra una sinfonia che ti fa risuonare per un anno, fin quando aspetti, sperando, muto e col silenzio frastornato dal palpito del cuore, che il 19 marzo ci sia chi ti da il lavoretto fatto a scuola, ti recita una poesiola, ti dice solo “auguri Papà” e ti da casomai un bacino. E tu allora voli in quella che Renato Rascel chiamava “l’azzurrità”.
È un’emozione che non si può comprare, non si può copiare né trasmettere. Occorrono gli occhi grandi e senza recinti di egoismo dei bambini. Occorrono manine piccole che abbracciano forte-forte. Occorrono morbidi baci.
Non li abbiamo, ovviamente.
Comunque facciamo gli auguri a tutti i Papà, specialmente ai Papà di Miglianico.

Joomla templates by a4joomla