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Un saluto che sbuca da lontano

 

Una Comunità si esalta nei momenti festosi, di vittorie e di grandi eventi; si stringe attorno a sé stessa nelle ore di lutti gravi o segnati da nomi importanti. Per il resto, in tante occasioni, si fraziona. Gli affetti scorrono lungo i canali piccoli e grandi delle famiglie, dei gruppi, dei collegamenti sociali del momento.
Ma l’affetto a volte resta sedimentato e qualche evento lo fa riemergere come vena viva de pulsante. Abbiamo perso una persona che, per noi, per quelli della mia generazione, è stata molto importante. Elsina, al nostra bidella, se n’è andata domenica sera arrendendosi a malanni e accidenti dell’età coi quali conviveva.

 

Il suo nome di battesimo è Ines, il nome spagnolo di Agnese. Lei se ne andava mentre entrava il giorno che Papa Giovanni Paolo II ha fissato come festa di Santa Agnese di Boemia. La misericordia di Dio si stende su di noi e si fa tradurre anche così: ci consola facendoci capire, con queste che sembrano coincidenze di calendario, il premio che attende la nostra Elsina.
I più giovani non sanno chi è Elsina, la signora Lanaro Ines. Da non pochi anni era in pensione e la memoria spesso fa perdere i contorni della nitidezza alle immagini di un passato pur vissuto.

Sarebbe una bella pagina di vita da raccontare ai nostri bambini quella delle nostre bidelle, nome che per noi era dolce - lo è ancora - quelle di un tempo, anche di quelle di oggi, in verità (oggi la Repubblica toglie loro fette di pensione ma le onora facendole chiamare Personale Ausiliario…).
Allora, al tempo della nostra infanzia, senza cartellino da timbrare, la sua giornata, e quella di Maria, l’altra nostra bidella, iniziava presto. Elsina andava sempre a piedi da casa al lavoro e dal lavoro a casa. La scuola andava aperta e messa pronta mentre noi eravamo ancora a letto. D’inverno forse ci voleva anche più tempo a preparare: metteva la legna nella stufe di terracotta che erano in ogni aula, nella segreteria e nella direzione. Accendeva le stufe e ce le faceva trovare calde. Era poco se pensiamo a oggi. Era tanto perché allora il riscaldamento, come lo conosciamo oggi, nelle case non c’era.
Per tutta la giornata la nostra bidella era sempre presente. Arrivava per ogni cosa. Ci guardava se la maestra usciva. Ci aiutava a rifare il fiocco. Ci portava qualcosa che ci occorreva o che avevamo lasciato a casa. Usciva per procurare le cose che servivano alla scuola. Puliva tutto, metteva a posto: la scuola era sempre pulita e in ordine. Ci accompagnava. A volte, veniva a prenderci per portarci in un’altra casa se nella nostra era morto qualcuno. Una mano sempre pronta, una sicurezza per ognuno di noi.
Ci voleva bene. Era complice anche quando facevamo qualcosa che non si doveva fare, e ne facevamo di marachelle. Era un po’ amica, anche se era rispettata e vista come Mamma di un Amico, ed allora l’apprezzavamo per l’accoglienza nel momento dello svago e della condivisione del tempo trascorso tra amici. Ha visto crescere tanti di noi, ci ha accompagnato col suo lavoro quotidiano e ci ha seguito, ciascuno per cinque anni di fila (qualcuno anche per sei, sette o di più…) nel momento della prima e, per alcuni, più importante esperienza formativa e sociale.
Nella stanza della nostra infanzia si conserva questa immagine silenziosa e laboriosa, sorridente e paziente, custode e complice: una presenza indimenticabile.
Mi ha sempre colpito il fatto che mi ha chiamato sempre con una voce e un’inflessione nel dire il mio nome che è rimasta uguale, da quando ero in prima elementare fino all’ultima volta quando i miei capelli eran già pochi e perlopiù bianchi. È un suono che mi accompagna da tanti anni. Un bel modo di sentirmi chiamare.
Ora non ha più voce. Come accade a tutti a un certo punto, alla fine della vita. Per lei, come per molti altri che ho conosciuto, c’è il saluto dei tanti che l’hanno conosciuta e amata anche attraverso l’educazione e lo stile che ha saputo trasmettere, con una vita non facile, ai suoi figli.
Ma nessuna cerimonia speciale si celebra quando muore chi ha servito la Comunità come ha fatto la nostra signora Ines, senza titoli importanti ma con la costanza di un lavoro serio e silenzioso, importantissimo. È così, forse sarà anche giusto così. Ma così non dovrebbe essere quando si è Comunità.
Non posso pensare che possa andar via così. Preferisco immaginare che, mentre Lei passa per l’ultima passeggiata, dai grembiulini di stoffa nera coi fiocchi rosa e azzurri, uno scudetto tricolore col numero romano della classe fissato coi bottoni automatici sulla manica sinistra, sbuchino centinaia di manine dei bambini di quel tempo per salutare la signora Ines, la nostra bidella Elsina, per dirle Ciao, per dirle Grazie.

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