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Re Giorgio e gli altri: due napoletani, il cancro e la libertà... e Legnini al Quirinale

Con la lettera di dimissioni firmata ieri mattina, Giorgio Napolitano ha mantenuto la promessa fatta davanti al Parlamento un paio d’anni fa, in occasione del suo secondo giuramento. Un politico che rispetta una promessa è una rarità, un politico che si dimette in Italia è cosa assai più rara, nobile. La storia giudicherà Napolitano politico e uomo delle istituzioni. Il primo comunista a essere ministro degli Interni, il primo a esser stato Presidente della Repubblica dopo esser stato un buon Presidente della Camera, Napolitano è un comunista diverso così come lo fu quando c’era il PCI: un personaggio non secondario.


L’uomo è caratterizzato da una naturale simpatia, che lo rende ancor più simpatico nonostante quella somiglianza a uno di Casa Savoia che tanto ha fatto spettegolare i nostri gossippari e che lo ha fatto chiamare appunto “Re Giorgio”.
A Giorgio Napolitano, da oggi non semplice cittadino ma senatore a vita, come prevede la Costituzione, va detto “GRAZIE”. È vero che fare il Presidente della Repubblica non è una disgrazia e non comporta stress da disoccupazione o da mancanza di reddito, ma lui, negli angusti spazi concessi dalla Costituzione e in quelli ancor più angusti determinati dallo scarso peso dell’Italia nello scacchiere europeo e mondiale, lo ha saputo fare, rimanendo legato al giuramento fatto e agli impegni assunti davanti al Parlamento. Soprattutto non ha dato segno di cedere alla moda imperante del protagonismo e della esaltazione personale che molti, troppi politici attuali invece coltivano, segnando così il declino della Politica e l’affacciarsi di un genere di rappresentanza che deborda pericolosamente verso il divismo e lo spettacolo. Abbiamo un proliferare di facce e di look capaci di far emergere personaggi incapaci di avere idee e programmi degni del ruolo che inseguono e che molti creduloni hanno concesso o si apprestano a concedere loro. Del resto, l’illusione della mai nata Seconda Repubblica, che è stata artatamente alimentata dopo le forche giudiziarie dell’epoca di Tangentopoli, non poteva produrre molto più di questo.

La speranza è che, eliminate le scorie, purtroppo resistenti, del passato che non vuol andare a casa, emerga una nuova classe dirigente, nuova per anagrafe, idee e comportamenti. Il primo scoglio si presenta proprio ora, con l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Sarà di sinistra – a dispetto dei miei Amici che non lo accettano - perché i voti in parlamento sono in maggioranza di sinistra. Se Renzi accettasse la scommessa del rapporto con i “grillini” avremo subito il prof. Rodotà eletto al Quirinale, ammesso che il “M5S” voglia poi giocare insieme non da solo la partita. Inutile far cabale. Spero che non sia un prodotto di Bankitalia, che di danni ne ha già fatti non pochi. Spero, soprattutto, che non sia un vecchio, vecchio di abitudini e vizi politici; tanto per capirci, un Prodi, un D’Alema, anche un Veltroni, che oggi aleggia come possibile punto d’incontro tra PD e Berlusconi, che farebbe una figuraccia a votarlo quando è stato il suo avversario più facile negli ultimi anni.

Nel Pd, se esponente iscritto al PD deve essere, sarebbe stato meglio Enrico Letta, ma non ha l’età. Certamente lui e non il più vecchio e troppo berlusconiano Gianni Letta, che, oltre le indubbie doti personali, avrebbe il merito, solo per noi, di essere classificabile come abruzzese e, solo per alcuni di noi, di esser stato il prestigioso e bravo Direttore de “Il Tempo”. Del resto, a voler esser campanilisti come abruzzesi, abbiamo poco da sperare anche stavolta. Abbiamo pochissimi nomi spendibili. Tanto per far chiacchiere da salotto ci sono Marchionne, che non sta neppure in Italia ma vive in Svizzera, e Verratti che gioca col PSG in Francia ma è lontano dall’età prevista. La cultura, l’economia, l’arte, lo spettacolo, lo sport danno pochi nomi che sinceramente non balenano come fenomeni di incommensurabile livello. Resta l’ipotesi di Franco Marini, un pluri-ex (sindacalista, ministro, senatore), anche un ex-candidato al Quirinale, impallinato dai suoi due anni fa. Ma un po’ vecchio lo è.
A lui, democristiano come me, cislino come il mio Papà, preferisco Giovanni Legnini. Che ha fatto il suo percorso istituzionale dal Comune natio, Roccamontepiano, di cui è stato un buon sindaco, alla Regione, al Parlamento al Governo ed ora è in ottima posizione istituzionale come vice-presidente del CSM (che non è la nostra amata “Cantina Sociale di Miglianico” ma il prestigioso e potente “Consiglio Superiore della Magistratura”). Voterei per lui, spassionatamente. Anche perché è giovane.
Spero che, nelle prime votazioni, quelle che si fanno in attesa della quarta se non c’è un largo accordo immediato su un nome condiviso, i nostri senatori e deputati e, soprattutto, i tre rappresentanti del Consiglio Regionale, votino Giovanni Legnini. Sarebbe un bel segnale per l’Abruzzo votare per l’abruzzese che oggi è quello diciamo così, più alto in grado nelle caselle delle istituzioni repubblicane, quindi non uomo di partito. E, chissà, così potrebbero essere i primi a votarlo, indicandolo qualora le cose a Roma si ingarbugliassero come due anni fa e si dovesse cercare una soluzione fuori dalla politica…
Discorso a parte merita Emma Bonino, che da più turni appare come la favorita ad esser la prima donna Presidente della Repubblica. Ha annunciato di avere un tumore ad un polmone. Ha la solidarietà di tutti noi e, anche se pensa sia inutile, la preghiera di chi le vuole bene e di chi la considera una sorella in Cristo, come tutte le persone che soffrono. Sono certo che nessuno cavalcherà questo dramma per rimetterla in corsa come candidata al Quirinale. Sarebbe uno squallore e offenderebbe chi vive questa sofferenza senza alcun supporto da notorietà, ma in condizioni di grande disperazione. Altri del resto non hanno fatto questi annunci se non dopo esser usciti dal tunnel o quando è giunta l’ora di arrendersi. A parte il coraggio e la commozione colgo un elemento molto positivo, pur nel momento tragico. Emma Bonino è una donna importante, è un eminente esponente dei radicali italiani, che contano molto, molto, molto di più dei voti che han raccolto e raccolgono alle elezioni. Spero che la sua dichiarata posizione di malata, dalla quale spero esca al più presto, riesca a sensibilizzare ancor di più l’attenzione di chi ha responsabilità e capacità nell’aumentare ricerca, presìdi, sostegni, investimenti per combattere il cancro, per aiutare chi lo sta curando, per prevenirlo in chi rischia di averlo per sostenere chi è vicino ai malati di tumore.
Non la voterei come Presidente della Repubblica. Credo che sia anche un po’ difficile trovarla una donna renziana che abbia l’età e la stoffa per fare il Capo dello Stato. Ma le sorprese non son certo finite in Italia.
Chiunque verrà eletto sarà il nostro Presidente della Repubblica.
Ci sono poi altri due argomenti che hanno emozionato la nostra Miglianico in questi giorni, anche se sono stati fisicamente e come richiamo decisamente fuori da Miglianico.
Il più vicino è stata la morte di Pino Daniele, che per tanti di noi è stata l’emozione della musica nell’età in cui le emozioni fanno davvero tremare anima e corpo. Con le sue canzoni, con la sua capacità artistica e la sua genialità, Pino Daniele è stato il protagonista di une evento che ha portato il gioioso sconquasso della lingua napoletana, quella del nostro regno borbonico, che si è imposta proprio grazie a lui nella musica leggera di fine ventesimo secolo e, da allora, fino ad oggi e nel futuro. Un artista muore nella carne ma le emozioni da lui create vivono.
Ritengo esagerata, come accade spesso anche da noi quando si tratta della scomparsa di artisti bravissimi ma ancora giovani d’età, la profanazione del senso austero della morte. Il litigio sul luogo del funerale, fatto due volte, e le discussioni sulla sepoltura (che s’è scelta lui lontano da Napoli) non lo hanno onorato. La esposizione delle ceneri a Napoli, in Municipio, per dieci giorni, valica i limiti dell’omaggio al defunto illustre e travalica nell’idolatria o nel culto della personalità proprio di certi regimi dittatoriali. Napoli è Città unica per bellezza, fascino e affetto, non deve cadere in questi errori. Il tifo, il colore, la napoletanità sono patrimonio universale dell’umanità, non vanno strumentalizzati. Penso che Pino Daniele ora avrebbe usato un verso di Totò: “ste cose 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"
Insomma siamo davanti a due napoletani, a due grandi personaggi del nostro tempo, a loro modo atipici e che, in modo ovviamente diverso, hanno segnato con un maestoso addio i primi giorni di quest’anno.
L’ultimo fatto, il più importante dal punto di vista mondiale e non solo per quello, è però l’atroce strage di Parigi. Quel che si sa è già troppo. Altro si saprà quando vorranno dirlo. In Italia siamo stati forse i primi del mondo a dire che dietro c’è qualcos’altro. La dietrologia è il nostro pane quotidiano, la scienza esatta per molti italiani. È quell’avvilupparsi di tesi e ipotesi, che a volte arriva perfino a giustificare i veri colpevoli indicandone, senza mai dar loro nomi e volti, altri presunti, il più delle volte americani o di intricati gangli di servizi segreti.
I fatti, purtroppo, sono drammatici per il sangue innocente sparso e per il terrore generato. Va segnalato che ci son state vittime due volte innocenti, perché colpite senza esser state gli obiettivi di una presunta vendetta che noi occidentali stentiamo a metabolizzare. Alcuni provano a giustificare un simile efferato gesto con discorsi che, se non fossero strampalati e basati su ignoranza e stupidità, sarebbero tragicamente pericolosi. La giustificazione delle attuali atrocità nascoste dietro le crociate o ad altre guerre che hanno utilizzato il nome di Dio è inconsistente. I tempi e le condizioni erano diversissimi: un minimo di storia l’abbiamo studiata tutti. Alcune motivazioni, quelle veramente basilari per ogni guerra, son sempre le stesse: il denaro, il potere, la vendita delle armi che produce ovviamente denaro in modo veloce e facile.
Ma questa ed altre analisi ci porterebbero troppo lontano. Restiamo all’invito del Papa che ha chiesto tolleranza, rispetto reciproco tra le religioni, la ricerca feconda di una convivenza possibile, perché già accade. Aggiungerei che occorre tolleranza anche da parte di chi si dice ateo ma le religioni, al posto di ignorarle, le avversa ferocemente, come fossero il male del mondo. Il male del mondo è uno solo: l’avidità del denaro, l’egoismo assoluto che inebria gli uomini facendoli sentire come dei. Dal serpente dell’Eden alla multimedialità, il demonio ci ha sempre saputo fare nel convincerci di certe cose. Lui con la guerra fa festa davvero.
Restiamo al fatto.

La nostra solidarietà verso le vittime della strage parigina parte da più vicino. Può sembrar strano, ma, nel nostro piccolissimo, siamo un presidio di libertà, lo siamo da quando “Viva Miglianico” è nato come strumento di informazione locale, di critica, di curiosità. E, nel nostro piccolissimo, abbiamo avuto segni di insofferenza, pacifici e anche divertenti, ma insomma non è che la libertà poi piaccia veramente a tutti in certi frangenti. Sappiamo quanto sia importante la libertà di espressione perché l’abbiamo scelta e seguita come valore civico. Sappiamo, oltre al dolore umano per le vittime di ogni intolleranza, quanto fa male l’attacco violento e cieco contro chiunque ami e utilizzi gli strumenti della libertà di pensiero e di espressione regolata da un moderno stato di diritto. Ma oltre che violento e cieco, questo attacco alla libertà è storicamente inutile, perché la libertà è un dono di Dio, incancellabile dal DNA umano.
Insomma siamo naturalmente solidali con i giornalisti francesi, con i poliziotti (che facevano il loro dovere senza esser protagonisti) e con gli ostaggi uccisi in nome di una vendetta che non piò albergare nell’umanità. Si può non accettare la critica e anche la satira più graffiante, ma la risposta non sta in un kalashnikov. Se c’è offesa che s’è subita, in uno stato moderno c’è la possibilità di denunciarla e di esser tutelati con parità di diritti e di doveri, non serve altro. La violenza mai.
Non vogliamo scimmiottare nessuno nel metter anche noi la maglietta che non pochi avranno messo forse per la moda del momento, quella con la scritta “Je suis Charlie”. Ma alziamo, a modo nostro, senza presunzione ma in pieno spirito di solidarietà, il nostro inno alla libertà, dalla nostra piccolissima piazza, con un nostro “Je suis Viva Miglianico”….sperando che non debba mai esser stampata nessuna altra t-shirt del genere, neanche una con su scritto “Io sono Viva Miglianico”…

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