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TE6 un verme, ovvero, uno zombie s’aggira per Miglianico: la denuncia anonima

“Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hyde” è stata la cosa che m’è venuta subito in mente quando, un paio di settimane fa, mi hanno parlato per la prima volta del soggetto (o soggetti) che sta scorrazzando negli spazi di Facebook sotto un nome che non è il proprio. In realtà il nome non è di fantasia, esiste, ma chi lo usa qui (e sa che chi ha competenza per saperlo ormai conosce il suo/suoi nome/i) ovviamente al secolo ha altro/altri nome/i e cognome/i. 

La vicenda, pare, stia incuriosendo molti e facendo anche irritare qualcuno. Questo è il risultato che l’anonimo voleva. Lo si poteva evitare, questo strascico, dal primo momento con uno di quei veloci passa-parola efficacissimi sui social network: “Non leggete e non rispondete a chi non si firma”. In dieci minuti l’anonimo (gli anonimi) sarebbe stato isolato. O meglio, si sarebbe saputo subito chi è che ha scelto l’anonimato, si sarebbe saputo contestualmente, nello stringere l’isolamento, chi ha interesse a ispirare e diffondere certi messaggi, si sarebbe comunque isolato chi è il motore fisico dell’operazione. 

 

Le Amiche e gli Amici che, in pieno mercato, mi parlavano della strana vicenda, andavano avanti con informazioni poco utili, poiché erano monche di elementi che chi, come me, non frequenta Facebook, non può conoscere. Purtuttavia erano abbastanza chiare per cancellare, quasi subito, il richiamo al citato romanzo; quasi subito perché, per un qualche motivo (non certo quello dei cognomi di quel titolo), non riesco ancora a considerarlo del tutto inappropriato…

Poi ho pensato a una coincidenza. Avendo avuto, il 16 ottobre scorso, al Park Hotel Alcione, il privilegio di stringer la mano a Giorgio Albertazzi, che del personaggio protagonista del romanzo di Robert Louis Stevenson (autore anche de “L’Isola del Tesoro”) fu grande interprete televisivo, ho pensato che  questa emozione forse mi aveva tratto in inganno. Però…

Comunque, la questione non sta nel richiamo letterario. Al massimo starebbe più sul piano della storia del teatro, poiché il fatto è ben altro. Un tempo gli attori venivano sepolti in terra sconsacrata perché, tra le altre motivazioni di questo trattamento, c’era la presunta indegnità derivante dal fatto che avessero usato altre personalità spogliandosi della propria, indossando maschere e costumi tali da renderli irriconoscibili. Anche in questo richiamo non tutto calza, ma qualcosa da conservare c’è.

La sepoltura in terra sconsacrata no, proprio no.  Ma va detto che un cittadino, o più d’uno, che ricorre a questa forma di anonimato, dal punto di vista civico, non è degno di alcunché, neanche del disprezzo, che è la parte negativa dell’apprezzamento quindi di una valutazione. La pena che suscita il suo accanimento nel nascondersi, con perizia tecnica ma con evidente spreco di energie e risorse, è l’unica cosa che gli si può concedere.

Purtroppo questa strana vicenda non si riduce al solo aspetto penoso, alla tristezza. 

Si sente la puzza di un vecchio vizio: la delazione anonima. Certo, la denuncia anonima! Introdotta a Miglianico da forestieri, è stato lo strumento che ha generato danni grandissimi, avendo colpito spesso non gli obiettivi dichiarati o presunti tali, ma soggetti anche del tutto estranei: una bomba in un mercato o nella metropolitana, per far capire qualcosa a chi segue la cronaca attuale. 

È stata una brutta pagina della nostra storia locale, con pochi innocenti. Ma era stata sepolta, era una pagina del passato. 

Ora, con le differenze tecnologiche del momento, sembra riaffiorare, come uno zombie, un entità schifosa. 

Cos’è la denuncia anonima? In uno stato di polizia è lo strumento per colpire il presunto avversario, non sempre e non solo nemico dello stato o avversario della propria parte politica. Questo narrano, ad esempio, le vicende anche romanzate della repubblica veneziana, dove era addirittura sollecitato come mezzo di informazione al “Consiglio dei dieci” attraverso la dislocazione delle “boche”. bussolotti ove infilare le lettere anonime.  Più di recente, benché formalmente il nostro sistema penale non lo ritenesse tra i motivi di avvio delle indagini, purtuttavia si potevano avviare - si avviarono - indagini da parte delle autorità inquirenti su segnalazioni anonime. Era uno strumento che lasciava al suo autore la possibilità di colpire senza rischi. Poteva così continuare a sorridere alla propria vittima, addossando la colpa sempre a qualcun altro. E consentiva allo stesso anonimo la possibilità di lucrare benefici spesso ingiusti e senza aver speso nulla per ottenerli.

Era la tentazione, anzi è stato il rifugio dell’avversario politico locale incapace di fare pubblica denuncia delle cose che riteneva ingiuste o sbagliate o delittuose. Era la parola, fredda e senza tono civico, di chi non aveva il coraggio di dire la propria contrarietà al potere locale; era l’inchiostro fetido di chi non aveva il coraggio di firmare un atto d’accusa politico-amministrativo o una denuncia o solo un manifesto; era spesso il sistema subdolo di chi voleva colpire qualcuno per motivi privati, usando il cecchinaggio penale. 

Dire chiaramente con la propria voce, denunciare firmando col proprio nome, attaccare l’avversario politico con gli strumenti classici della propaganda e del confronto democratico, per quegli anonimi era impossibile. Altrimenti avrebbero dovuto poi giustificarsi dall’aver fatto vittime “da fuoco amico”. Poiché questo era il pericolo quando si dovevano scoprire certi fatti mirando grossolanamente a certi esponenti o a indistinti cittadini. Ad esempio, si sapeva che denunciare un sindaco per vicende edilizie avrebbe portato a colpire il cittadino interessato al provvedimento o addirittura un vicino o chi si trovava in una condizione simile in quel frangente, ma persone formalmente amiche dell’anonimo. Altre volte l’anonimo aveva solo sete di vendetta contro chi era ritenuto, forse, il responsabile di un tradimento elettorale. Il tradimento nella cabina elettorale è ua cosa che oggi fa ridere molti ma che, quando la divisione era per blocchi a livello mondiale, era considerata, per certi versi, ben più grave di quello coniugale. 

Uno strumento vile, questo era. Questo è la denuncia anonima.

La lettera anonima, quella a scopo politico, era altra cosa. La distinzione metodologica e storica non sarebbe affatto breve. 

Il modo di pensare che condivido è di parlare con la propria voce, sottoscrivere i documenti con la propria firma, partecipare votando a favore o contro, anche  alzando in pubblico la propria mano.    

Oggi, nel 2014 (quasi 2015, direbbero Cochi e Renato) meraviglia non poco il ritorno di questo vizio esiziale. Anzi, non meraviglia, preoccupa.

La lettura serena dei risultati delle ultime elezioni comunali non dovrebbe lasciare spazio a fraintendimenti e meno che mai a vendette per tradimenti consumati nella cabina elettorale. 

Chi ha vinto, ha vinto nettamente. Ancor più nettamente ha perso chi ha amministrato nel passato quinquennio. Chi s’è piazzato terzo non solo non può andare a caccia di traditori o di nemici da abbattere subdolamente, ma ha dimostrato di saper attaccare e protestare con estrema durezza e chiarezza, tanto che del “vaffa” ha fatto un motto di richiamo per eventi molto seguiti.  Cercare un qualche traditore, che pure uno può voler cercare, sarebbe dunque un esercizio di analisi, utile forse per altri aspetti marginali, ma sicuramente  inutile per l’inconsistenza numerica di una tale scoperta. 

Può anche essere, anzi sembra essere proprio così, che ci siano soggetti che non stanno bene neanche con sé stessi e che devono aver subito un forte trauma da una sconfitta ritenuta inattesa perché sono stati imbambolati precedentemente da discorsi falsi. Costoro non hanno accettato la sconfitta, andrebbero anche capiti, andrebbero anche aiutati se si sfogassero civilmente. A questo stato di confusione e frustrazione va ad aggiungersi la pesante pressione da parte di chi (il soggetto/i soggetti autori dell’anonimo mediatico) è ferito e amareggiato per motivi che stanno emergendo laddove ci sono le tacce e le prove della sua angosciata preoccupazione. In tal modo ora prova o spera di ottenere quello che l’elettorato non gli ha concesso. 

Siamo più chiari. 

Si sta tentando forse di far cadere l’Amministrazione Comunale? Perché? 

I nuovi amministratori sono così disastrosi, incompetenti, arroganti e presuntuosi da dover essere abbattuti ad ogni costo, senza attendere neppure un anno? 

Ci sono cose che i nuovi amministratori non devono conoscere o non devono avere il tempo di fare? 

C’è chi vuole rovesciare tutto per motivi buoni o abietti? Così sia. 

È nella legittima disponibilità delle opposizioni provare a rovesciare chi governa. Ma lo si fa - lo si deve fare - solo nei modi previsti dalla legge e dalla consuetudine istituzionale. Gli altri modi sono modi sbagliati e anche pericolosi, a volte sono  boomerang. Non è vero che il fine giustifica i mezzi. La democrazia è un’altra cosa. 

Nelle letture in controluce di questa strana vicenda, fatte da attenti frequentatori di Facebook, comparirebbero anche i pentiti. Ma il pentito non è uno zombie, non è un ritorno dal passato remoto. Il pentito c’è sempre stato. Il pentito è la figura ineliminabile di ogni dopo-elezione. Appartiene alla schiera di quelli che “mi s’ha dev’a spezzà tutt’e ddu le mane quande je so’ vutàte…ah, se sapeve ca quisse ere accuscì!” o frasi dello stesso repertorio rituale del pentitismo post-elettorale. Il pentito, novantanove volte su cento, è uno che recita bene e che, probabilmente, ha votato scheda bianca o ha annullato la scheda, proprio perché è solo un incontentabile o un bastian-contrario tale da non poter votare per nessuno, dato che solo lui capisce, sa e conosce. Nell’altro un per cento dei casi, il pentito post-elettorale è persona che ha scoperto l’errore che ha commesso nell’aver immaginato che il proprio voto fosse una pesante moneta di scambio. È persona  auto-convinta che la sua crocetta, ma solo la sua, gli dovrebbe garantire un incontestabile diritto a prebende e favori o, peggio ancora, a dover incidere nell’attività amministrativa con precisi diktat personali, quasi fosse l’azionista di riferimento del consiglio d’amministrazione. Il pentito è come un malato di influenza, un male stagionale, che non lascia traccia quando la stagione è passata.

Questo è lo zoo dei delatori anonimi. Ci sono nuove specie in arrivo, o meglio sotto-specie? È possibile. Mutazioni genetiche, travestimenti mediatici, scambi di persona, smanettoni pseudo-onnipotenti, smemorati d’occasione, nuove vergini, attori mancati, soprattutto furbi, tanto furbi da pensare di farla agli altri anche quando gli altri non sono polli da spennare, non mancano in questo bestiario. Di questo album si stanno girando, uno ad uno, i fogli e, tra poco, verrà pescata la figurina del verme (la specie “vulgaris”) a cui un improbabile “scienziato” nostrano ha voluto appiccicare il nome anglo-italiano o, se si preferisce, italo-americano.

Chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui questa nota si chiederà forse se non c’è timore, avendolo così trattato, di qualche ritorsione da parte di quell’anonimo (lui e/o i suoi sodali) che pare sia capace di durezze e volgarità non usuali negli scritti pur non formalissimi dei social network. Questo mi è stato segnalato come avvertenza da un Amico mite e accorto. Siamo stati tutti bambini e credo che ciascuno avrà avuto paura di qualcosa per come gli è stata presentata o per come l’ha immaginata e vissuta. Ma di un verme non ha mai avuto paura nessuno, neanche un bambino. Casomai schifo, ma paura no. I vermi son creature anch’essi, non vanno maltrattati. Questi mascherati vanno schiacciati nel loro fango.

Chi legge si chiederà anche perché, pur non essendo un abitante del noto social network, mi occupo di questa strana vicenda. Semplice. Quello stesso Amico, un testimone per me affidabilissimo, m’ha comunicato che, l’innominato (ancora per poco) ha usato qualcosa di “Viva Miglianico” per farne belletto sulla sua faccia tosta.

L’art 21 della Costituzione, che troneggia su tutto quel che è stato scritto e viene scritto in questo spazio di libertà, qui è nel posto giusto, perché su “Viva Miglianico” ci sono sempre le firme degli autori delle cose pubblicate, sia quelle che poi piacciono sia quelle che non piacciono. Su “Viva Miglianico” l’articolo 21 ci sta bene, è giusto che ci sia. La manifestazione del pensiero che la Costituzione tutela è quella che si può attribuire a un Cittadino, quello significa “il proprio”.

Il pensiero non attribuibile a nessuno è una scorreggia. 

La libertà non è anarchia di espressione, non è vigliaccheria.

La libertà è cara a chi ha il coraggio delle proprie idee e delle azioni che compie.

Chi usa la maschera non ha diritto di cittadinanza, non può invocare tutele di libertà.

Ci sono coloro che, per i propri interessi, sostengono, aiutano e amplificano chi agisce anonimamente. Sono peggiori di chi, con la maschera dell’anonimato, scrive certe cose. Neppure per loro può esserci diritto di cittadinanza. 

Nessuno di loro è degno di essere Cittadino di Miglianico. 

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