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Chi vive?

 

Tra i racconti della mia infanzia ce n’è uno che allora mi affascinò ma che non compresi bene oltre il fascino della narrazione. Era la descrizione di come il mio bisnonno, Peppino Volpe, padre di Nonna Assunta, (che me ne parlò come pure fece suo fratello zi’ Micucce, Domenico Volpe), apprendeva le notizie sulla “politica interna e internazionale” nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Tutto stava nella propagazione di informazioni non istituzionali che a Miglianico, come altrove, arrivavano a cavallo o a piedi, per bocca di chi vi transitava o per commercio o, se in divisa, per compiti militari o di polizia. A loro il bisnonno Peppino - e chiunque di quel tempo, immagino -  poneva la domanda: “Chi vive?”. E si poteva sentir rispondere “Vive le Burbune” o “Vive le Brihante” o “Vive li Savoie” e allora replicava “E vive lu Rre”, o quel che era il soggetto al potere. Forse da qui deriva anche la parola “evviva” che oggi, da rassegnata constatazione civica, è diventata un motto di esultante approvazione. 

 

Mi fermai, dunque, al fascino del racconto, poiché entravo con la fantasia a immaginare improbabili personaggi vestiti in modo diverso dal nostro, intabarrati e coi tromboni a tracolla, che parlavano quel dialetto ascoltato dai vecchi quand’ero bambino: una lingua diversa, più chiusa come lo erano quegli abruzzesi, più lontana dal nostro che è molto più comprensibile anche per chi non è nato qui. Immaginavo soprattutto  quel pezzetto di strada, nel piccolo slargo che stava tra la “Trattoria della Volpe”, dove abita la mitica “Peppinella”, e la Chiesa di San Rocco, demolita a fine del secolo scorso, una strada cittadina senza asfalto e senza luci, l’unica che attraversava l’abitato di Miglianico e che, nella mia mente, faceva da cornice a questi siparietti. Scene che fantasticavo, sentendo quei racconti, fossero  avvenute anche in altri posti, dove il bisnonno, chissà, anche prima di quel tempo con suo padre, si recava per commerciare i prodotti dei campi, arrivando anche fino ad Ancona, che era letteralmente all’estero. 

Non feci invece caso alla efficacia storica del racconto che mi descriveva quella che era la condizione reale delle informazioni e del loro circolare a quel tempo. Erano gli anni delle rivolte risorgimentali, del brigantaggio e del farsi dell’unità d’Italia. Era un tempo dove a Miglianico e in tutti i piccoli centri dell’italico stivale, non arrivavano certo i quotidiani, dove non c’erano il telegrafo appena in fasce e la radio che non era stata ancora pensata, perché Guglielmo Marconi non era ancora nato, dove, da secoli, non c’era più l’efficienza delle comunicazioni dell’impero romano. Insomma tutto andava capito con la risposta di un passante a una sola domanda “Chi vive?”. Per gran parte del resto, in una popolazione prevalentemente analfabeta, era la tradizione orale a garantire notizie e approfondimenti.   

 Oggi abbiamo informazioni velocissime, forse anche troppo per la lentezza di alcuni di noi nel capire lo svolgersi effettivo delle vicende, o meglio, per capire con consapevolezza la differenza tra lo svolgersi, appunto, delle vicende e il rotolare disordinato delle chiacchiere che a qualcuno sembrano essere eventi storici o monumenti letterari. 

Eppure farsi questa domanda e darsi una risposta, semplice e senza distorsioni di fretta e men che mai di animosità, aiuterebbe a capire qualcosina in più. Parlo di Miglianico, ovviamente, ma, se ne avessi capacità e competenze, oltre che il tempo necessario, se ne potrebbe far discorso anche per scenari più ampi.

Dunque, farsi questa domanda può aiutare a capire le vicende di Miglianico.

Può aiutare per una serie di motivi, tanti in verità, più di quanti se ne possano computare leggendo frettolosamente queste riflessioni;  ma non così tanti da non poter esser compressi in alcuni di essi, che ora non saranno valutati come i più importanti ma, forse, in questo frangente, sono i più utili per capire.

“Chi vive?”. Vive il sindaco Fabio Adezio, vive la sua giunta comunale, vive la maggioranza consiliare del gruppo “Miglianico Cambia”. La casella del “chi vive”, cioè di chi è al potere (beh, potere!? Servire la Comunità son le parole esatte) può esser occupata, per motivi costituzionali e di prassi democratica, da uno solo. Quindi il Sindaco è uno, una è la giunta, una è la maggioranza. Gli altri sono minoranza o non ci sono proprio e alcuni altri, che son passati, qualunque sia la loro appartenenza a gruppi politici o a sette religiose, non tornano. Alcuni potranno, eventualmente, tornare al termine della consiliatura comunale, sia essa a scadenza naturale sia essa quella anticipata secondo i precisi motivi previsti dalla legge. Altri non tornano proprio. È difficile farlo capire a certi Concittadini, ma è semplicemente così. Questo, nel “Chi vive?”, è chiaro, come era chiaro in quel tempo, quando, arrivati i Savoia coi i loro eserciti e fatto il plebiscito per l’annessione, potevano alternarsi i Briganti per qualche piccolo periodo in qualche landa del centro-sud, ma i Borboni non sarebbero più tornati. La storia, pur ciclica per certi versi, come hanno insegnato  grandi studiosi come Giovan Battista Vico, non torna indietro. I conti si fanno con chi vive, con chi c’è. Vogliamo fare i briganti del nostro tempo? Chi vuole può provarci. Chi vorrà scegliere tra chi governa e chi briganteggia faccia solo una riflessione: quella della padella e della brace.

Fuor da metafore e da tutte le altre figure retoriche, il prologo porta a precisare questo. Si stanno scatenando critiche sulla nuova Amministrazione Comunale: critiche giuste o sbagliate, motivate o pretestuose, educate o irridenti. 

Sembrano esser tante, le critiche, sembrano. 

La libertà, che ci deve esser sempre carissima, certamente questo lo consente, ammette e dà spazio alle critiche, senza problemi, fatta salva la buona creanza. I tempi correnti non son facili per se stessi e generano malcontento, la moda della critica di inizio mandato è invece inveterata abitudine. Nulla di straordinario, anzi, nulla di nuovo e, meno che mai, di sorprendente. 

Teniamo ben presente che si parla della nuova Amministrazione Comunale, di chi sta operando in Comune da meno di cinque mesi, meno di centocinquanta giorni. E ricordiamoci anche che,  a volte, tra chi critica o tra chi suggerisce certe critiche, ci sono quelli che hanno governato o sono stati nei pressi dei luoghi del potere locale (fermiamoci a questa descrizione buonista) per dieci, venti, trent’anni, per centinaia di mesi, per migliaia di giorni. Questo confronto sui tempi di permanenza al potere e nei suoi pressi serve non a far cambiare opinione a chi vuol criticare, perché c’è sempre da segnalare qualcosa che non va o che non si condivide o che si vuol condannare, serve piuttosto a dare il giusto peso a quelle critiche. Le cose che ci vengono presentate come fossero oggettive, vanno invece illuminate con questo faro che rende nitidi i contorni della storia anche nella nostra personale memoria. E allora la presunta oggettività di quelle censure, così ben confezionate e presentate, si scioglie e emerge la malafede di chi parla. Fatta questa tara, che scinde l’oggettivo dal gravame del soggettivo, tutti dobbiamo fare un esercizio di razionalità che punta a dare la giusta dimensione alle cose della vita: va allargato lo sguardo, sollevandolo dalla polemica quotidiana. Va considerato questo: le critiche, nel loro complesso, si debbono vedere nella dimensione reale e duratura, quella, cioè, che sarà il loro possibile sopravvivere nel consuntivo che andrà a costituire un insieme, quello delle cose negative o ritenute tali. Esso, questo insieme di critiche, sarà il termine di confronto da contrapporre e soppesare con il consuntivo opposto, quello fatto delle opinioni invece favorevoli, dalle cose ritenute positive. Questo avverrà quando il tempo sarà maturo per farlo, quando ci sarà la prossima scadenza elettorale per le comunali a Miglianico. 

Nel mentre il loro valore quotidiano deve essere quello del contributo alla trasparenza e alla chiarezza di ogni decisione pubblica.  

Le critiche, dunque, ci siano, ogni giorno e con assidua costanza. Siano d’ogni sorta. Siano fatte attraverso i gruppi di opposizione, che stan lì apposta, siano fatte con i mezzi che la contemporaneità della tecnologia consente, siano fatte con l’umanissimo e collaudatissimo mezzo della parola parlata.  

Questo è utile, serve. Serve soprattutto a chi amministra se ha un minino di capacità d’ascolto o quantomeno di furbizia. Serve a far sentire partecipe il Cittadino. Serve a far sfogare gli animi più appassionati. Serve pure a chi vuol crearsi un contorno di effimero consenso senza nulla proporre se non sé stesso. 

Questo non deve illudere più di tanto chi pensa di tornare. Né deve far sognare, più di quel che occorre per costruire una alternativa futura, chi non è mai stato al potere locale ed ambisce di conquistarlo. 

A qualcuno che mi indirizza critiche serrate, a volte pesanti sul piano personale, a volte inappropriate o inaccettabili sul piano della dignità delle persone di cui mi si viene a parlare, rispondo due cose che oggi mi sembrano utili come piccolo e sincero contributo al dibattito locale. 

La prima riflessione che propongo punta a fare un poco di chiarezza nel quadro locale. Non sono componente della maggioranza consiliare di “Miglianico Cambia”. Ho votato per “Miglianico Cambia” e per Fabio Adezio Sindaco, l’ho fatto con convinzione ed entusiasmo. Resto convinto ed entusiasta. Il mio ruolo finisce lì. Com’è per ogni elettore. Non sono portavoce della maggioranza e non posso esserne parafulmine, anche se non m’offende esserlo. Le cose che sento e che leggo con riferimento alla mia inutile persona mi fanno provare pena per chi le dice e le scrive, sprecando, con il proprio astio, il suo tempo e le sue energie. Non posso comunque rispondere sui vari argomenti che si vanno creando e alimentando come occasione di critica amministrativa. I vari argomenti amministrativi, nella loro attualità, li conosco come ogni Cittadino, condividendoli o meno, come ogni Cittadino. Quelli più importanti di questi mesi appena trascorsi, da giugno a oggi, li conosco per quel che il Sindaco ha detto nella manifestazione pubblica per i primi “100 giorni” e che ho provato a raccontare qui (per rileggerlo, clicca qui). Quella serata, per il Sindaco e la sua maggioranza, è stata l’occasione, fatta solo di argomenti e documenti, di una condanna forte del passato amministrativo locale, quello che ha creato debiti e ha lasciato problemi difficilissimi. Quella stessa serata è stata anche l’occasione di un invito, altrettanto forte, da parte del Sindaco a partecipare, a innovare e a razionalizzare, lasciando nelle stanze del passato finti paternalismi e i “piacerucci” vari.

Questo è il mio stato della conoscenza e della responsabilità. Delle vicende amministrative non conosco gli stadi relativi alle fasi decisionali o pre-decisionali, perché da tempo non frequento quei luoghi e non ne sento alcuna nostalgia; sentimento che, a volte, mi sembra di intravedere nel cambio di comportamento e nelle poche parole che mi riservano alcuni miei Amici, non quelli che hanno motivo di criticare, a torto o a ragione, e lo fanno apertamente, altri.  

La seconda risposta è più semplice e non ha nulla di provocatorio, anche se non mancherà l’imbecille di turno che se la leggerà a proprio piacimento. 

Mi trovo, immagino come altri, di fronte ad attacchi che dovrei subire quasi fossi il colpevole di quel tale provvedimento amministrativo o di quella tale risposta data o non data o anche solo del mancato o non adeguato saluto del Sindaco o di altro amministratore, evento che mi viene presentato come fatto gravissimo. 

- (inciso) - Il saluto è certamente buona creanza, è dovere di buona educazione. Perlopiù è un fatto formale. La cosa finisce lì. Non è una delibera, non è la trasparenza amministrativa, non è la capacità a svolgere il proprio compito. Salutare o non  salutare non è affatto l’essenza della buon amministrazione né il suo biglietto da visita. A volte è il solo pretesto di chi non ha niente altro da dire per criticare. Il dott. Mario Amicone, ad esempio, appena eletto Sindaco, venne  accusato di salutare poco o niente. Ma amministrò bene, molto bene in quei tempi e i Miglianichesi lo premiarono per questo, non per sorrisi, abbracci o strette di mano. Sappiamo tutti, per esperienza, che chi ti vuol fregare ti sa prima sorridere, ti sa accarezzare e addolcire, ti abbraccia, ma poi ti frega. La mafia, nei rapporti pubblici e privati, è austera ma gentile, dà e riceve baci; ma è la mafia. (chiuso l’inciso) -

Messo davanti a certe accuse, che pur non dovrebbero esser indirizzate ad alcuno che non sia il Sindaco o un amministratore comunale, replico proponendo una riflessione che mi sembra - è - pacifica.

A maggio, il 25 maggio scorso, la scelta è stata quella sulla quale abbiamo votato: tre candidati a sindaco con le rispettive tre liste di candidati, loro e nessun altro. Abbiamo scelto serenamente e, secondo me, abbiamo scelto il meglio. A parte il penoso tafazzismo di chi arriva ad invocare i passati prossimi e remoti, per ogni problema che mi viene posto, rispondo al mio interlocutore chiedendogli se oggi quel problema sarebbe risolto meglio o peggio, anzi se l’intera situazione comunale sarebbe migliore o peggiore se avessimo come sindaco il dott. Carlo Di Federico con il suo gruppo del “M5S” o se avessimo come sindachessa la dr.ssa Catia Giovina Mattioli Stella, con il suo gruppo “Progetto Miglianico”, tra l’altro, ora privato, dolorosamente privato, della saggezza, della responsabilità democratica e dello stile istituzionale di Fernando Ferrara. 

La risposta è la stessa, sempre la stessa.

Chi vive?...

E vive…..

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