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La letterina del sabato 3 novembre

Categoria: Notizie
Pubblicato Sabato, 03 Novembre 2018 12:40
Scritto da Maurizio
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Care Amiche e cari Amici,

prima di parlarvi di quel che sta per accadere presto e molto più in là voglio tornare a quel che è accaduto. Trattenere un commento può apparire inutile, perché quando lo si manifesta questo tempo accelerato lo respinge come non avesse più posto nei suoi vagoni. Invece così non è. 

Tutti si sono lanciati nel commentare l’evento più emozionante vissuto nello scorso fine settimana, cioè la inaugurazione e la benedizione delle nuove porte del nostro Santuario. Lo hanno fatto a ragione. È vero anche che si è scelto di far apparire quel che si avviava a essere il tono prevalente, cioè positivo ed elogiativo, mantenendo nel colloquio privato critiche, scetticismo, dubbi e qualche malignità. Il conformismo è una pressa ancor più inesorabile in questa epoca dei social.

 

Poco prima, durante e subito dopo l’evento di sabato scorso, la mia vecchia deformazione di apprendista giornalista mi ha fatto cogliere commenti niente affatto positivi e silenzi che hanno volutamente marcare disappunto e contrarietà di vario genere. Dar loro ogni torto a prescindere non si può. Ma è altra cosa. Qualcuno, più di uno, mi ha chiesto anche con insistenza quale fosse il mio pensiero manifestando un suo pregiudizio immotivato sul mio modo di pensare. Non ho risposto allora, in quella sera che stava passando all’ultima porzione di notte scandita dall’ora legale. Ho atteso questi giorni volutamente e ora posso rispondere. Prima di farlo confermo qualche che vi ho già scritto sulla cura delle cose care. Potrei anche non farlo perché ho ascoltato pensieri molto simili nei discorsi ufficiali di sabato scorso. Ma è bene che ciò che è bene trovi sempre il posto in prima fila.

Di architettura, di arte sacra e di artigianato artistico so poco e niente. Mi affascinano le parole che sanno spiegare la pietra, la lavorazione dei materiali, la composizione dei manufatti e tutto quello che diventa opera e in certi casi opera d’arte. Mi limito a restare ancorato ad un vecchio insegnamento ricevuto in gioventù, cioè quello di lasciarsi libero di sentire o meno una emozione. Il bello mi dà una emozione speciale. Non ci si può ingannare, perché il bello è vero. Nel bello c’è la imitazione e la traduzione dell’armonia del creato e questo richiama dal profondo una emozione che non ha bisogno di altra spiegazione. 

Poi c’è la meraviglia che provo quando le parole che mi giungono riescono in pochi secondi a togliere dai miei poveri occhi il velo dell’ignoranza e consentono loro di vedere quel che guardavano senza avere una visione definita dei contorni, delle prospettive e dei colori. Don Gilberto ha fatto questo. La luce su quelle porte l’hanno accesa le sue parole. La visione chiara di quelle opere, la profondità di quei rilievi si è così rivelata enorme grazie alle sue spiegazioni. 

Infine c’è la passione che da cittadino, da uomo “animale sociale” ho provato quando il Sindaco ha richiamato il valore civico, storico e filosofico del bello e ha sollecitato la sua cura. Il nostro Sindaco ha avuto la delicatezza e la riconoscenza di citare don Vincenzo. Ha fatto bene, ha fatto benissimo. Sarebbe stato imperdonabile se il ricordo di don Vincenzo non fosse risuonato in quel momento solenne davanti alla nostra Chiesa Madre.

Per l’unico tra i miei lettori che non capisce ancora il mio commento lo traduco semplicemente così: meraviglioso. Ringrazio Dio di aver potuto vivere un momento meraviglioso. Quelle porte, le nostre porte, parleranno alle generazioni dei secoli futuri, nel tempo in cui potranno cambiare tante cose ma non potrà venir meno la capacità dell’esser umano di meravigliarsi.

Poche ore dopo questo evento, cioè la mattina della domenica, dalla piazza di Miglianico è partito Il cammino dei vignandanti”. Le cronache hanno già raccontato tutto. Va sottolineato che questo evento, apparentemente piccolo, ha avuto e avrà una enorme importanza se sapremo capirlo e accompagnarlo. Tra i duecento iscritti (sarebbero stati almeno il doppio se gli organizzatori non avessero dovuto contenere le iscrizioni a quella cifra) c’erano molti arrivati in pullman da fuori regione e alcuni giunti appositamente dalla non vicina Scandinavia. Questo significa che abbiamo così intercettato almeno 60/70 persone che non conoscevano Miglianico, i suoi vigneti, le sue cantine, i suoi orti e la sua felice posizione. Ora hanno visto tutto questo e sanno. Da ora in poi tocca a noi fare in modo che non dimentichino lo stupore di aver visto tanta grazia di Dio.

Il Sindaco ha annunciato che il prossimo 17 maggio a Miglianico passerà il Giro d’Italia con la sua carovana rosa. È un’altra grande notizia. Tutta Miglianico deve sapersi preparare perché quei pochi minuti di telecronaca e radiocronaca planetarie sono un’occasione di quelle da non perdere assolutamente. Saremo in piena campagna elettorale, ma in quel giorno dovremo ritrovarci tutti uniti a far sentire al mondo il nostro Viva Miglianico.

Care Amiche e cari Amici, tralascio alcune considerazioni legate alle vicende della politica locale. Le conservo per la prossima Letterina che profumerà già di novello castagne grazie alla nostra infaticabile Pro Loco che sta preparando tutto egregiamente per il prossimo fine settimana.  

È giusto però non tralasciare una ricorrenza storica, di quelle che capitano davvero una volta sola nella vita di un uomo. Domani, 4 novembre, insieme alla Giornata delle Forze armate ricorderemo i cento anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale. La vicenda storica non va certo esaminata qui per la vastità dei fatti e la complessità del loro svolgersi. 

A noi interessa prevalentemente la nostra Miglianico. Certo quell’evento ha riguardato anche noi perché ci sono stati Miglianichesi in armi, combattenti, decorati sul campo, Miglianichesi morti, reduci, poi, molti anni dopo, insigniti tutti del titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto.

La riflessione da fare, che riguarda anche noi Miglianichesi, oggi è questa. I miei Nonni, come i Nonni di tanti di voi, hanno vissuto da combattenti quella Guerra. Ce l’hanno raccontata senza il rigore storico dei libri e dei convegni ma con la passione della sincerità di chi in quello scenario di fango e di morte c’era. I nostri Padri hanno poi partecipato ad altre guerre, la Guerra d’Africa, la Seconda Guerra Mondiale. I loro racconti erano alimentati da ricordi più freschi ma ancor più tragici.

Noi non avremo guerre da raccontare ai nostri Figli. 

Da sempre, cioè da quando l’uomo ha abitato in forma organizzata questa parte del mondo che chiamiamo Italia, la nostra generazione, quella di chi è nato dal 1945 e nei successivi 73 anni contati fino ad oggi, è la prima che non avrà una guerra da raccontare ai propri Figli, una guerra vissuta personalmente, soprattutto combattuta in Italia. 

Non è poco. È molto più di tantissimo. Ce lo dovremmo ricordare al posto di dimenticare quanto sia bello poter contare la cifra zero dei caduti in guerra di questi 73 anni di pace in Italia.

Buona Domenica.