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Ciao zio Cecchino

Categoria: Notizie
Pubblicato Domenica, 02 Agosto 2015 16:07
Scritto da Maurizio
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“Ieri pomeriggio lo zio è tornato in Italia”. Così la zia Gilda mi ha comunicato la morte dello zio Francesco, lo zio Cecchino, che si era spento poco prima a Brisbane in Australia. “Il mio cuore è lì con te”: son riuscito a dire solo questo mentre lei mi salutava. Un pianto solitario ha allentato il doloroso magone che mi stava soffocando. Solo dopo alcuni minuti ho capito quanto sia stata speciale quella comunicazione: “lo zio è tornato in Italia”. Zia Gilda non ha voluto dirmi “è morto” e non trovando le parole ha immaginato questo volo spirituale di un ritorno verso affetti natii che lo zio Cecchino, come ogni migrante della storia dell’umanità, non ha mai abbandonato. 

Ma lui le avrebbe detto con quel sorriso dolcissimo “No, io resto qui con te”. 

 

Lui aveva scelto l’Australia. Lo aveva fatto sin dal quel gelido fine inverno del 1956, quando partì da Trieste per un viaggio di sola andata. Non era stata una caccia alla sopravvivenza, ma una scelta. L’amore verso la sua sposa e poi verso i Figli lo avevano convinto senza alcuna costrizione che quella era la sua terra. Aveva capito che ogni Paese è il tuo Paese se sei consapevole del tuo essere uomo.   

Nella dote ricchissima ma immateriale che si ha nell’essere figli c’è l’avere dei Nonni e anche, come zii, i fratelli e le sorelle dei propri genitori. Ho avuto Nonni ovviamente indimenticabili. Ho (ne ho ancora uno solo), ho avuto zie e zii eccezionali: una ricchezza di umanità e di affetto che nessun denaro, nessun altro bene  può pagare.   

Lo zio Cecchino era partito prima che noi, figli di suo fratello, nascessimo.

Ma l’ho avuto sempre presente, nei racconti e nelle poche foto in bianco e nero degli album di Famiglia. Sin da piccolissimo per me l’Australia era lo zio Cecchino. Poi cominciò ad apparirmi in piccole foto che arrivavano nelle leggere buste della posta aerea, prima in bianco e nero e poi a colori. E, dopo ancora, nei filmini 8mm senza audio, nei quali si vedeva l’Australia. Rare telefonate, qualche lettera che cominciai a scrivergli perché mi sembrava giusto  scrivere agli “zii d’oltreoceano” (l’altro è lo zio Pino che vive a Monteral in Canada).

Finalmente l’ho potuto conoscere di persona. Una mattina dell’autunno del 1978 risposi al telefono. Era lui che mi chiese “Cosa devi fare l’8 dicembre?”. Risposi che mancava ancora un bel po’ a quel giorno ma che sarei andato a Messa la mattina e niente altro di speciale. “Va bene - rispose - allora puoi venire  a prendermi all’aeroporto”. Nonna Assunta aveva da poco avuto un infarto. Decisi che quella poteva essere la scossa giusta. La chiamai e le feci parlare col figlio che le diede l’annuncio che sarebbe venuto a farle conoscere il nipotino, Riccardo, che lei non aveva conosciuto quando era stata in Australia cinque anni prima. Posata la cornetta del telefono la Nonna lasciò il dondolo sul quale sferruzzava per stare a riposo e governò la casa, preparando ogni cosa e poi, nei quaranta giorni nei quali lo zio, la zia e Riccardo stettero con noi, cucinando per tavolate di parenti e amici. Ritrovò un’energia giovanile, lucida e senza posa. Si mise a letto il 21 gennaio. Lo salutò la mattina del 22 gennaio “Non pensare a me. La tua vita è là.” Lo zio non era ancora salito sull’aereo e la Nonna morì.

Ma quella fu la stagione nella quale potei cominciare a conoscerlo meglio, non più da racconti, foto, lettere e telefonate, ma dal vero. Sentendolo parlare ho sempre avuto l’emozione di risentire l’inflessione e i toni della voce di Nonno Guglielmo, forse perché come lui lo zio era pronto alla battuta e al commento allegro. 

Lo zio è tornato altre volte, anche vincendo accidenti fisici che avrebbero tenuto a casa più d’uno. E io sono andato in Australia con Nadia in viaggio di nozze. Ho potuto conoscerlo e amarlo come meritava. 

Zio Cecchino mi ha dato una lezione indimenticabile innanzitutto come marito. Non c’è stato giorno, non c’è stata occasione che non ha colto per lodare la moglie. Ha avuto per la zia quel misto di amore, di stima e di rispetto, senza ombre e senza riserve, una venerazione totale e spassionata che difficilmente ho trovato in altri uomini. L’ho visto ballare con la zia ad una grandiosa festa di Natale nel dicembre di quel 1996. Era un uomo innamorato quel ballerino agile e coordinato oltre la canizie dei bei capelli, che vedevo davanti a me. Che fortuna poter vivere così il matrimonio anche dopo tanti anni, pensai. E me lo augurai. L’ho apprezzato come padre, attento, affettuoso ma capace di quella severità necessaria per tracciare le vie buone così che i figli Assunta, Carla e Riccardo potessero percorrerle. Mi ha dato una lezione come figlio e come fratello. Aveva devozione per i genitori e anche per i suoceri, un affetto specialissimo, esemplare, ho visto trasparire in ogni gesto, in ogni parola verso Nonna Assunta. Amava e rispettava i suoi fratelli. Sentirli parlare tra loro e sentir parlare ciascuno di loro in assenza degli altri è stata una gioia indelebile. 

Ho ovviamente constatato il suo valore di lavoratore e di imprenditore. Ha avuto successo ma non si è montato la testa. Ha mantenuto rispetto e amicizia verso tutti e fino a stamattina non pochi mi hanno parlato di lui come di una persona cortese, disponibile e umile, sorridente e gioviale. Era così. Lo era anche quando è difficile esserlo. Se si arrivava a discutere con qualcuno fermava tutto dicendo “non fa niente. Va bene”. Era tifoso ma non fazioso. Era di fede granata. Portò quasi il lutto quando il Grande Torino passò dalle glorie degli stadi alla storia ed al mito con la tragedia di Superga. Del Miglianico, come del Pescara, seguiva tutto ed era spesso lui ad aggiornarmi su tanti particolari. Non litigava per il calcio, del quale era estremamente competente e molto ben informato. Mi sorprese quando, viaggiando con lui, in Italia e in Australia, coglieva un qualsiasi cognome, anche da un’insegna pubblicitaria per ricordare questo o quel giocatore non solo della serie A ma anche delle serie inferiori. Lo sport era una passione e, forse, era anche un modo di restare legato alla sua gioventù, agli amici più cari. Leggeva ogni giorno un giornale sportivo italiano, anche se in Australia arrivava il giorno dopo, e lo leggeva tutto, davvero tutto. 

Aveva una generosità senza apparenze, sincera e discreta, pronta e efficace. E mi spiegò la sua filosofia, che sarebbe un insegnamento valido per tanti. Aveva raggiunto il benessere economico lavorando e facendo valere le sue doti. Aveva trovato nella moglie una collaboratrice eccezionale alla quale attribuiva gran parte del suo successo. Ma aveva quel distacco dal denaro motivato dall’aver compreso altri valori. Scherzando un giorno mi disse che sulla sua tomba avrebbe dovuto far scrivere “Qui riposa uno che non si è fatto case e appartamenti ma ha speso i suoi soldi per viaggiare e per girare il mondo”. 

Ma era rimasto anche orgoglioso della sua Miglianico.   

Oltre ad una notevole pazienza, aveva una dolcezza innata, nella voce e nei modi. Segno di una bontà naturale provata anche da un gene particolare: attirava i bambini, soprattutto i più piccoli. Mi confessò divertito che alle feste e nei vari incontri tra famiglie di amici lui era sempre circondato, quasi assalito dai bambini. E questo gli dava una gran gioia. Immagino quanto abbia gioito negli anni che il buon Dio gli ha concesso donandogli la compagnia dei nipoti. 

Ora il suo sorriso sereno si è spento e lui potrà riposare, dopo tanto lavoro e dopo tanta tenacia di resistere e combattere gli accidenti fisici che lo hanno provato non poco negli anni recenti. È il primo della Famiglia (a voler essere pignoli il secondo dopo zio Amerigo, il fratello del Nonno “emigrato” e morto negli USA) a riposare lontano dall’Italia. Ma questa distanza non esiste nell’affetto. Tra l’addio di sua Madre “vai, la tua vita è lì” e l’immagine della zia Gilda “lo zio è tornato in Italia” ora c’è un luogo senza distanze, dove si è riacceso il suo sorriso, perché lì è tutto sorriso: il Paradiso.