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Fernando Ferrara, l’ultimo ciao

Categoria: Notizie
Pubblicato Venerdì, 17 Ottobre 2014 09:53
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Una mazzata che spezza le gambe, rompe il fiato e gonfia il cuore:  è quella che sentito fisicamente nel leggere lo sms di una persona cara che, alcune ore fa, mi ha annunciato la morte di Fernando Ferrara.

In certi casi uno si prepara o fa finta di farlo; poche ore prima insistevo con un Amico nell’organizzare una visita in  ospedale per andare a far due chiacchiere che, a volte, fanno bene più di una medicina, ignaro del precipitare inatteso delle cose. Ma poi, quando ci si trova davanti al fatto irreversibile, questa autoprotezione non serve, non serve più. Si resta attoniti e la tristezza riempie la giornata che, indifferente, continua a scorrere coi suoi impegni anch’essi inevitabili, colorandola di un grigio opprimente. 

 

Ovunque ho cercato nella memoria, non ho trovato pagine tristi nel ricordo di Fernando, l’Amico delle belle chiacchierate, l’Amico che sta dalla parte che ritieni sbagliata, ma che non riesci a vedere mai come nemico. Era impossibile litigare con Fernando, anche quando le posizioni erano distinte e distanti. Nel privato si avvicinavano nelle confidenze che presentavano la personale lettura dei fatti e la condivisione di attese e amarezze. Poi, nell’ufficialità, la vicinanza dei pensieri e dei cuori appassionati per la nostra Miglianico ritrovava la distanza delle diverse posizioni. Lo vedevo ricollocarsi là dove c’era, forse, non tutta la sua passione, che era più ecumenica rispetto alle divisioni momentanee, ma dove era la casella della coerenza degli impegni assunti. È stato così per anni. È stato così anche in questa lunga primavera. L’amabile trascorrere delle nostre discussioni me lo faceva vedere a volte a disagio schierato così su un fronte dove andava a ricollocarsi nell’ufficialità dell’impegno assunto, anche se non sempre gradito a pieno, com’è naturale nei frangenti in cui le persone non amanti dello scontro si trovano a stare in uno scenario fatto anche di scontri. Al contrasto sulle singole cose, soprattutto sulla scelta dell’autovelox che ci ha fatto discutere fino all’ultimo nostro incontro in piazza, alla polemica robusta e senza flessioni del tempo elettorale non è stata mai aggiunta l’acredine personale, anche perché con Fernando era difficile litigare, e questo per merito più suo che del suo interlocutore. 

Da quando ci siamo incrociati nelle vicende locali è sempre stato così. Ambedue fattivi e propositivi per indole, siamo stati il più delle volte separati dalle appartenenze, ma non siamo stati mai nemici, proprio per questa sua specificità caratteriale che emergeva nel confronto anche il più aspro, insomma più per merito suo, motivo di una mia lunga gratitudine personale.

Il caso emblematico, quello dal quale ho cominciato a segnare questa positiva relazione, risale a quando guidammo le due delegazioni della DC e del PSI nella stagione che ci portava alle elezioni comunali del 1990. L’accordo, che personalmente avremmo voluto, era di fatto difficile. Lo sapevamo, ma non ce lo eravamo detti apertamente, continuando comunque a seminare per far fruttare, se non un accordo, almeno una qualche novità che potesse essere elemento di cambiamento rispetto alla situazione che c’era allora nella nostra Miglianico. Le due delegazioni avrebbero dovuto incontrarsi a fine inverno, rischiando di rompere subito perché il PSI non voleva perder tempo a parlar di consuntivi e di programmi ma voleva garanzie di posti in lista e in giunta e la DC, che si sentiva probabile vincitrice anche da sola, non voleva mollare neanche uno strapuntino. La riunione sarebbe finita male, troppo presto per le nostre comuni sensibilità e anche per i rispettivi interessi tattici. Ma non andò male in quei giorni, perché Fernando si offrì di organizzare una cena per mettere insieme le due delegazioni sezionali. “Organizzo io” disse con quella prontezza e quella disponibilità che erano nel suo dna. E organizzò una cena in un noto ristorante della riviera di Pescara (non potevamo farci vedere insieme…). Fece un piccolo miracolo perché, in forza dell’amicizia che lo legava al ristoratore, riuscì a prenotare un tavolo in un giorno che era difficilissimo. Era infatti l’8 marzo e il locale era pieno di donne in festa. Eravamo gli unici maschietti circondati, letteralmente circondati da tavolate di donne e mimose. Quella sera andò tutto bene, come anche lui voleva. Era difficile - è impossibile - litigare, anche volendocisi impegnare, con l’Amico Italo Palombaro allora dirigente del PSI, questo lo sapevo. Scoprii allora che era impossibile litigare anche con Fernando che aveva saputo metter tanta bambagia in  quella serata che s’annunciava non facile. La trascorremmo con una cordialità che non s’è mai interrotta, anche se siamo rimasti quasi sempre nelle nostre caselle di appartenenza, che si sono incrociate positivamente ma mai sovrapposte definitivamente, come sarebbe successo se avesse accettato di esser candidato quando Delmo Adezio, del quale è stato grande amico, allora segretario della DC, preparava la lista per le comunali del 1980. Ma a quel tempo le distanze erano planetarie, non solo locali. 

Certo non era possibile litigare con Fernando nelle occasioni conviviali che la Delegazione di Chieti dell’Accademia Italiana della Cucina ha organizzato ogni anno a Miglianico unendole alla devozione per San Pantaleone. La sua è stata una presenza puntuale e costante, generosa e attenta al ruolo istituzionale di vice-sindaco che ha ricoperto per cinque anni. Il saluto che gli abbiamo sempre chiesto di rivolgere ai convitati, in quelle che non sono semplici cene perché l’Accademia Italiana della Cucina è Istituzione Culturale della Repubblica Italiana, è stato sempre cortese e misurato e, per me che lo ascoltavo con cuore attento, è stato un punto di onore per Miglianico. A  fine conviviale sono andato sempre a ringraziarlo perché lo ha meritato ogni volta.    

Nel quinquennio amministrativo appena tramontato avremmo potuto invece avere mille motivi per mettere acredine nella distinzione delle posizioni che si confrontavano. Ma con Fernando è stato impossibile. E non perché avesse la furba presunzione di chi si confronta dalla posizione di comando con chi non sostiene la maggioranza, ma perché sapeva discutere, a volte anche accettando più delle colpe che l’interlocutore metteva in campo, e anche questo, che era una sua dote, consentiva di non uscire mai dalla cordialità personale. 

A ciò Fernando ha saputo abbinare, più di tutti quelli della maggioranza di cui ha fatto parte, uno stile istituzionale dalla cifra importante, senza sbavature e con una sobrietà, direi un’eleganza, che lo hanno contraddistinto, nel senso proprio del termine. 

Ho applaudito più forte rispetto agli altri annunci riguardanti la sua parte, quando il presidente della sezione numero 1 nella notte del 26 maggio scorso ha letto il nome di Fernando Ferrara come consigliere di opposizione eletto nel gruppo di “Progetto Miglianico”. È stato un gesto spontaneo e sostenuto da questa lunga consuetudine di cordiale confronto. Purtroppo il mattino dopo ho scoperto che il risultato era diverso e ho provato la tristezza che prova un Amico in certo casi. Affermo, certo di aver ragione, che sarebbe stato un eccellente consigliere di opposizione, anche perché la sua sarebbe stata un’opposizione civilissima e tutta indirizzata alla proposta e, soprattutto, alla responsabilità istituzione.   

Ho avuto poi il tempo di congratularmi con lui per come ha saputo reagire a quella  sconfitta, una sconfitta che non sentiva come frutto di una sua responsabilità ma che forse gli pesava un po’ di più proprio per questa sua innocenza, avendo fatto il possibile per evitare un naufragio che stava diventando disastroso. Avrebbe potuto scappare, avrebbe potuto sfilarsi, ma non lo ha fatto. Di questo, rimproverandolo per le cose che sapevo dalle sue confidenze, gli ho però dato atto come segno di coraggiosa coerenza. Fernando ha accolto la sconfitta, certamente con l’amarezza che tutti provano in certi frangenti, ma con una signorilità di stile e di consapevolezza democratica che non è frequente rilevare nelle ore successive al responso delle urne. Ho avuto modo di dirgli, in quell’ultima chiacchierata in piazza ancora animata dal disaccordo sugli autovelox, che lo avevo ammirato quando avevo ricevuto la notizia di come aveva poi, in sede di analisi del voto fatta nel suo gruppo, mostrato di comprendere quel che era il suo ruolo dopo le elezioni. Si era così ritagliato un posto dove avrebbe predominato la luce della dignità personale, una scelta non facile per chi - la maggioranza delle persone - si fa, invece, travolgere dalla quella parte della passione politica che fa montare un po’ la testa anche ai candidati che racimolano pochissimo consenso. 

Ci eravamo dati appuntamento per continuare quel discorso già proiettato al futuro prossimo e che stavamo interrompendo perché era ormai ora di pranzo. 

Quella pausa, allora dolcemente imposta dai reciproci affetti familiari, è diventata troppo lunga per questa vita. Nell’altra certi discorsi non li faremo, sarà polvere lasciata nella terra impastata dalle lacrime che ora non mi fanno vedere più neanche i tasti su cui scrivo, e la pausa dedicata agli affetti più belli sarà eterna. 

Sono sicuro della fede in Cristo che è la resurrezione. Rivedrò ancora Fernando, vedendomelo venire incontro con quel passo asciutto e sobrio del suo passeggiare, quello che ha cadenzato la sua andatura anche lungo le scale non facili che il Buon Dio in questi ultimi mesi gli ha indicato per salire in Paradiso. Quel suo inconfondibile passeggiare qui è stata tante volte l’occasione di tanti discorsi colorati di cordialità e ripiegati nelle tasche delle reciproche confidenze che ora sono tesori personali, e, tante altre volte, è stato il motivo del semplice scoccare di un reciproco “ciao”, l’ultima parola che ci siamo scambiati.