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La letterina del sabato 1 agosto

 

Care Amiche e cari Amici,

prima di entrare nel tema scelto per questa Letterina voglio dire una cosetta. Essa è rimasta come una vana attesa sin dai primi tempi della clausura imposta dalla pandemia da COVID-19. I postatori del cibo, sin dai primissimi giorni dell’emergenza, mi hanno bombardato di foto con pani e pizze, paste fresche paste ripiene, involtini, ricette riscoperte o innovative, insomma pietanze e leccornie di ogni sorta fatte cadere a valanga solo sui social.

Come segnalava acutamente l’ex Presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, prof. Giovanni Ballarini, occorrerebbe chiamare più correttamente queste Amiche e questi Amicipornografi del cibo. Infatti mostrano senza risparmio di dettagli quel che può esser solo visto ma non goduto. 

 

Ovviamente non è questo che mi ha lasciato sconfortato e anche un po’ incavolato. E non solo me. Vi ricordate? Tutti hanno inviato con le foto delle proprie performance in cucina altrettante promesse di pronti abbracci e di sicura condivisione di tutte quelle cose buoneMa poi, a clausura finita, le promesse di condivisione, di assaggio, di convivialità con tanto di abbracci sono svanite. Oh, non ho assaggiato neppure una briciola dei mille pani e delle belle pizze mostrati in foto, non ho sentito neppure l’odore dei cento e cento intingoli postatinon ho visto neppure un ceppo darrosticino né un osso di arrosto se non nel ritorno alle piccole consuetudini conservate nell’affetto senza l’ausilio dei socialVi racconto questo aspetto alla fine divertente per dire che la lezione della clausura sembra non aver portato nulla di buono ma, anzi troviamo in giro un aumento di egoismorigurgiti di sprezzante saccenzaaumento di aggressività. Che peccato.

Non solo sui temi più seri relativi al COVID-19 ma anche su altri legati alla nostra vita locale ho incontrato recentemente persone che hanno voluto dedicare il tempo del nostro stare insieme ad impormi un proprio monologo. Stranamente, quasi si fossero messi d’accordo, cosa che certamente non è avvenuta, i miei monologhisti si sono giustificati del tempo rubatomi dicendomi che avevano voluto togliersi dei sassolini dalle scarpe

Non citerò i miei monologhisti degli ultimi giorni, anzi delle ultime ore. Voglio però offrire loro le considerazioni che mi hanno lasciato nel gargarozzo avendo chiuso il loro discorso andandosene senza attendere risposta.

Parto dalla Festa di san Pantaleone della quale ho già detto le tante cose positive.

La mattina del 27 luglio ho notato una non giustificabile assenza in piazza di amministratori comunali, sia Sindaco e assessori sia anche quelli che #parlaconloroseciriesci. Dopo tanta distanza era non solo opportuno ma doveroso esserci, incontrare i Cittadini, salutarli, ascoltarli, parlare con loroAd onor del vero, per quel che ho potuto constatare di persona, qualcuno si è visto, come Tommaso Palmitesta che dava man forte alla Pro Loco, Massimo Sulpiziopoi, verso mezzogiorno, Toni Mattioli e Fabrizio Papponetti. Posso aver essermi distratto e in questo discorso non sono importanti i nomi quindi dimenticarne qualcuno deve essermi perdonato. Ma la realtà questa è stata nella sostanza. E non è stata una bella realtà. Esserci stati a sera, durante la Santa Messa in piazza, non è stato lo stesso, perché ci si è fatti vedere, certo, ma è stato un vedere distantnon un incontro.    

L’insieme-che-divide, dal canto suo, ha perso un’altra, l’ennesima occasione per dimostrare di avere qualcosa di positivo da fare e da dire. Non ho trovato una parola, non un cenno, non un messaggio virtuale o reale e men che mai un gesto esplicito da parte dei divisori per sollecitare i Cittadini a contribuire ad una festa che era eccezionale in un anno eccezionale. Vabbè, la minoranza può avercela con il Comitato Feste appena dopo le elezioni leggi sconfitta ma la festa di questo travagliato anno 2020 è stata organizzata dalla Parrocchia con l’aiuto di istituzionale del Comune e quello operativo della Pro LocoQuest’anno con chi potevano avercela?!

Non voglio commentare il manifesto fatto affiggere dalla Confraternita di San Pantaleone. Qualunque cosa dica sarebbe letta in modo volutamente distorto. Spero non venga stravolta la constatazione che è sembrata chiara a non pochi, cioè che il “pio” sodalizio abbia voluto reagire così alla assenza della sua intestazione sul manifesto ufficiale della Festa. Se così fosse sarebbe un doppio errore, il secondo dei quali sarebbe il non aver capito/accettato che se in testa al manifesto c’è scritto “Parrocchia di San Michele” vuol dire che tutte le componenti della parrocchia si intendono rappresentate.  

Questi accidenti però sono marginali rispetto alla cosa che è stata più grave e che deve suscitare più di una riflessione. 

Noi tutti, tutti noi siamo stati sordi, indifferenti, quasi con atteggiamento di sfida verso chi stava organizzando quella festa eccezionale in un anno eccezionale. È come se avessimo voluto metterci a braccia conserte per vedere cosa sarebbe successo, che è peggio che assistere ad un cosa che non ci riguarda affatto.

Mi chiedo, è questa la nostra devozione per san Pantaleone? È questo l’affidamento al nostro santo Patrono? Così di alimenta la speranza che le nostre feste e la loro plurisecolare tradizione proseguano? 

Aggiungo una piccola provocazione, che in realtà è solo amara, ma spero utile. Mi verrebbe da dire che è stato bello non sentire i rumori dell’allestimento del palco per lo spettacolo del 28 sera. Che è stato bello poter uscire e rientrare sempre il 28 sera senza trovare transenne e tir a bloccare la piazza e le vie di accesso. Che è stato bello la notte tra il 28 e il 29 luglio poter dormire senza rumori di smontaggio del palcodegli scarichi di bottiglie vuote, dei passaggi di mezzi che puliscono. 

È stata davvero bella questa quiete non voluta da accortezza e attenzione ma imposta da una disgrazia mondiale?

No, è stata una cosa molto triste. È stata una costernazione sofferta in silenzio. Sono nato e cresciuto dove c’era un bar e la festa, la mia festa era fatta di bottiglie da portare e riportare; era fatta di bancarelle e di calca di pellegrini in via Roma che camminavano su un tappeto di bucce di noccioline; era fatta di attesa per la banda, per il complesso e per il cantante; era fatta soprattutto dell’attesa di rivedere persone che tornavano a Miglianico per la festa del Santo, persone che per esserci a san Pantaleone si erano presi un giorno di ferie (quanti lo hanno fatto quest’anno e negli ultimissimi anni?); era fatta dell’attesa di conoscere chi, amico di famiglia o di famiglie vicine, dopo tanti anni aveva fatto nuovamente una scappata a Miglianico; era fatta di curiosa attesa per poter conoscere chi era emigrato quando non ero ancora nato. 

Questa era l’emozione della Festa e anche per questa emozione quelli erano giorni di festa. 

Questa emozione vale più di due o tre notti senza sonnovale più di un divieto di sosta o di transito, vale più dellindifferente egoismo; vale più della silenziosa avversione di chi ama il tanto peggio pensando di trarne vantaggio; vale più di tante altre cose perché le nostre Feste patronali per noi Miglianichesi sono un enorme valore, un patrimonio immateriale fatto di tradizione e di emozione.       

Buona Domenica.

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