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La letterina del sabato 15 febbraio

Care Amiche e cari Amici,

come promesso nella nota pubblicata ieri l’altro su questo spazio di libertà, ho atteso fino al classico rintocco della mezzanotte che gli autori dei commenti colà trattati alzassero la testa e commentassero a viso aperto, precisando nome e cognome della persona, per loro “il noto blogger paesano”, che hanno dileggiato e diffamato con arroganza e disprezzo. Quei Concittadini-e-non-concittadini, hanno ancora la testa china e una ingiustificata ritrosia, uso un eufemismo, per commentare a viso aperto. 

L’elevata probabilità non basta in certi casi. A questo punto, nella mancanza di certezza assoluta, non posso procedere a trattate quei commentatori come meriterebbero perché il loro bersaglio potrei non essere io. Non posso, per altro verso, slanciarmi a difesa di altri che non so chi siano se non per tutelare e far emergere il principio costituzionale sancito dall’articolo 21 e quello, pur previsto dal codice penale all’art. 595. Ma, come ho già affermato, ripeto che il ricorso al codice penale non sarebbe la risposta che adotterei se scoprissi di essere l’oggetto di quella diffamazione. 

 

In attesa di una certezza che temo potrebbe non arrivare mai, c’è l’impegno assunto verso i miei ventitré lettori - che sono discreti e non parlano con nessuno - di far conoscere loro qualcosa in più: non le parole usate, che ho fedelmente riportato, ma i loro autori, quelli che appaiono nella filiera dei commenti di quel post. Quei profili potrebbero effettivamente corrispondere anche nominalmente a determinate persone ma potrebbero anche essere ingannevoli perché coperti da nickname usati da soggetti in realtà diversi, con diverso nome e cognome. Insomma, bisogna esser cauti. Non lo sarei nel commentare se avessi la certezza. Ma la certezza, che pure ho chiesto chiaramente, per ora non c’è e può venire solo dai diretti interessati. 

Ai miei ventitré lettori devo quanto promesso e mostro loro l’immagine, lo screenshot che ho ricevuto dalla mia affettuosa sentinella social sabato scorso. Lì possono trovare gli elementi che volutamente non ho rivelato loro l’altro ieri.

Eccolo:

Aspetto di sapere se ci saranno smentite, conferme, precisazioni, contestazioni. Sono qui. Leggerete quel che verrà, se qualcosa verrà.

Lo so, alla fine si potrebbe ridurre tutto a una chiacchierata tra sodali, come si dice, tra amici, insomma un banale pur se becero chiacchiericcio. Sarà. 

Fatto sta che la dignità delle persone ha un valore, un grande valore, un valore intangibile, sempre.  È difficile far finta di niente. 

Accantono questa vicenda ancora da disvelare completamente. Anzi, per dar forza a quel che penso sia il comportamento che adotterei proprio in questo caso, passo a qualcosa di enormemente più importante delle chiacchiere di siffatti soggetti affidate ai social.

Il 14 febbraio di quarant’anni, si celebrarono i funerali del prof. Vittorio Bachelet. Era un uomo mite, colto, saggio, tollerante. Era stato ucciso due giorni prima, il 12 febbraio, dai brigatisti rossi, Annalaura Braghetti e Bruno Seghetti, lungo le scale dell’Università “La Sapienza” di Roma dove insegnava “Diritto pubblico dell'economia” presso la Facoltà di Scienze politiche. Era vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Era stato, tra l’altro, il Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana. La mia tessera del 1974, che conservo ancora, aveva la sua firma. 

La cerimonia funebre in chiesa fu trasmessa in diretta dalla RAI. La seguii e, al momento della Preghiera dei Fedeli, avvenne una cosa meravigliosa. Il figlio secondogenito di Bachelet, Giovanni, allora ricercatore universitario a New York, si era messo in coda ai fedeli che leggevano le singole intenzioni e, quando toccò a lui, lesse questa preghiera.      

«Preghiamo per i nostri governanti: per il nostro presidente Sandro Pertini, per Francesco Cossiga. Preghiamo per tutti i giudici, per tutti i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi nelle diverse responsabilità, nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano in prima fila la battaglia per la democrazia con coraggio e amore. Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri

Il silenzio fu squarciato da una grande applauso. Come tanti, lì e davanti agli schermi televisivi, venni scosso da una forte emozione che ricordo ancora perfettamente. 

In una intervista rilasciata al “Corriere della Sera” qualche giorno fa, l’attuale prof. Giovanni Bachelet ha spiegato quel messaggio concordato con la Famiglia e dettato dalla convinzione che il suo Papà, amico di Moro, voluto prima da Giovanni XXIII e poi ripetutamente da Paolo VI al vertice dell’Azione Cattolica, avrebbe scelto quelle parole, avrebbe scelto il perdono e non la vendetta, la vita e non la morte.

Buona Domenica.   

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