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Acta Meridiana - 13

Devo comunicare ai miei ventitré lettori che stasera non ci sarà l’atteso comizio in piazza. “Miglianico Cambia” ha deciso di modificare il proprio calendario lasciando come data quella di stasera per il centro abitato ma modificando la sede, non sarà la piazza ma la sala Civica comunale. Dovremo attendere domani sera, venerdì 17, per rivivere le sensazioni del comizio in piazza, se l’insieme-che-divide non ci ripensa e dirotta anche il suo appuntamento in Sala Civica. Non amo le previsioni, non le so fare. Ma mi sbilancio. Carlo Biasone il comizio lo farà, ne ha un bisogno assoluto.  

Stasera i due contendenti continueranno a duellare a distanza. “Miglianico Cambia” in centro e l’insieme-che-divide in Contrada Piane San Pantaleone. 

 

Va segnalato un fatto. Comincia ad esserci una piccola divaricazione nella condotta dei due schieramenti. In realtà essa c’è stata sin dall’inizio perché “Miglianico Cambia” si è presentata parlando di valori. L’insieme-che-divide ha puntato sui disvalori, come l’orgoglio, il riprendersi, il riavere cose. 

Il Sindaco, Fabio Adezio, sta riservando una sempre maggiore importanza ad eventi di peso, quali sono le inaugurazioni delle opere completate. Punta sulle cose fatte, sui risultati amministrativi, molto di meno sulla polemica frontale con l’avversario. Sembra ancora indifferente al fatto che la differenza tra i contendenti va sempre marcata a proprio favore per renderla elemento distinguibile e riconoscibile. 

Carlo Biasone comincia ad uscire allo scoperto con i suoi attacchi, confermando che le chiacchiere fatte dall'1 marzo a questa parte su "ascolto, condivisione, partecipazione" e altre sdolcinature rituali del genere erano appunto solo chiacchiere di abbellimento e di mascheramento delle vecchie rughe. L’ultimo post pubblicato, ad esempio, è il ripescaggio di una mal riuscita polemica avanzata da quel che resta di “Progetto Miglianico”. È relativa alla provenienza dei fondi utilizzati in questi cinque anni dalla maggioranza. La zappata sui piedi non è di poco conto perché utilizza pedissequamente gli spuntati strumenti polemici di Dino & Co. senza calcolare che se quei soldi non sono stati spesi forse è perché Dino & Co. non hanno saputo amministrare. E ora Dino & Co. Stanno praticamente tutti, non tutti, dalla parte di Carlo Biasone. Ma a lui sta bene così. Questo la dice lunga sulla presunta, sulla falsa novità di Carlo Biasone e del suo non-gruppo. Il vintage scelto da Carlo è da bancarella di vu cumprà: roba scaduta. 

Il fine settimana sarà utile per approfondire ulteriormente questi aspetti.

Ora devo tornare all’impegno assunto con i miei ventitré lettori per fare qualche riflessione sulla ri-scoperta di alcuni temi da parte dall’insieme-che-divide, argomenti che in realtà evidenziano altro. Si tratta sempre di richiami al passato. Ma non sono argomenti di carattere schiettamente programmatico.

Si tratta di promesse elettorali, anzi di clientelismo. 

Durante la campagna elettorale delle Comunali 1975 ci fu un intenso scambio di accuse tra la DC, guidata dal Segretario di Sezione, dr. Fernando De Felice, con capolista l’ing. Enrico Del Ciotto, e la Sinistra Unita, guidata dal Segretario del PCI, dr. Luigi D’Adamio, e con capolista il prof. Francesco Scotti.

Anche allora le opere erano al centro della vivace polemica, fatta tutta sui balconi e agitata con diversi punti di vista. La Sinistra Unita rimproverava alla DC di non aver fatto niente e vantava i meriti amministrativi sul piano delle opere realizzate delle maggioranze social-comuniste alla guida di centri importanti, come Bologna, ma anche di paesi a sud di Miglianico, come Tollo, “il Cremlino d’Abruzzo” (la definizione è mia e risale ad un comizio che ho fatto nel 1979, ndr.).

La DC affidò al suo capolista, il giovane ingegner Enrico Del Ciotto, la presentazione di un discreto programma allora contenuto schematicamente in due fogli ciclostilati.

La risposta del Segretario del PCI non si soffermò sui dettagli e sulle controproposte come anche allora avrebbe dovuto esser fatto. Liquidò tutto con l’accusa che quel programma sarebbe costato due miliardi e che il Comune non li avrebbe mai trovati. 

Il dottor D’Adamio in realtà fece molto di più, come ho avuto modo di raccontare in altra occasione. Agitò in piazza una bottiglia di acqua che conteneva un paio di vermi. Nessuno li vide ma i suoi tifosi applaudirono calorosamente mostrando di credere che ci fossero e che fossero veramente usciti dalle tubature comunali di una casa privata in una delle nostre Contrade. I vermi c’erano. Ma erano stati imbottigliati qualche minuto prima da due militanti comunisti del tempo. Lo stesso Segretario del PCI tirò in ballo ognuno degli ex-assessori con accuse inventate ma che allora la piazza applaudì. Disse, ad esempio, che il compianto Remo Firmani si era fatto fare una condotta volante dell’acqua di irrigazione sui suoi vigneti e che il compianto Gasperino Antonelli aveva addirittura “rubato” le tegole del Municipio, anche allora ristrutturato e lasciato nello stesso posto, per coprire il tetto della propria abitazione in fase di costruzione. Il tetto mostrava che l’accusa era falsa. I tubi che non c’erano sui vigneti dei Firmani attestavano la stessa cosa. Che le accuse fossero inventate lo aveva pre-avvisato lo stesso oratore ai due presunti colpevoli dicendo loro che quello avrebbe detto la sera in piazza. Erano solo “ddu pallùne” (bugie apparentemente credibili che necessitano di un periodo più lungo di una campagna elettorale per essere riconosciute come tali, cioè false, ndr.). I giovani candidati della DC non difesero i loro Amici, allora era considerato controproducente difendere “i vecchi”. La DC di Miglianico aveva dovuto/voluto rinnovare completamente la lista, lasciando a casa tutti gli ex-amministratori. La lista non era male, in verità. Gli elettori di Miglianico però credettero che si trattava di una mera operazione di facciata, fatta di giovani messi per nascondere i vecchi che rimanevano alle loro spalle, dominavano il Direttivo della DC e avrebbero continuato a manovrare il tutto.

Son passati tanti anni, diranno i miei ventitré lettori. Sarà.

In quella storica campagna elettorale che portò per la prima volta la DC all’opposizione e i social-comunisti al potere, la polemica più insidiosa riguardò una forma precisa di clientelismo elettorale. Tutti sapevano che Il Comune avrebbe dovuto assumere un nuovo “vigile comunale-messo”. Si scatenò un pandemonio di insinuazioni, presunti ricatti elettorali, favori, raccomandazioni e millantate certezze sul futuro vincitore del concorso che ancora doveva essere bandito. Tutto si tradusse anche in farsa: una parte accusava e contro-accusava l’altra alternativamente sicché l’unico cappello da vigile diventò il simbolo della incompatibile moltiplicazione delle teste.

Oggi non c’è questo aspetto farsesco. Ma un certo richiamo vintage lo si trova ancora. Non c’è nella propaganda ufficiale, non va più di moda. Però la promessa sotto elezioni ad alcuni piace ancora molto, pare che funzioni. Ci sono scelti soggetti tra i manovratori dell’insieme-che-divide che non hanno perso l’allenamento alle attività della vecchia bassa politica. Non si tratta più del "metteremo le fabbriche" ma di posti più vicini, dentro casa, nella casa Comunale e nel campo da Golf. Costoro raggiungono le persone potenzialmente interessate e promettono, promettono, garantiscono, assicurano, giurano. Cosa? Anche il posto da vigile, ovviamente. E altri, tanto una promessa non è una cambiale, la si può fare stringendo al massimo la mano, per quel che vale nella onorabilità di certe persone. 

In certi altri casi i maggiorenti del non-gruppo - questo si va raccontando - hanno preventivamente già sistemato il “loro futuro”. Lo hanno fatto nei mesi della preparazione dell’ordito poi tessuto con i colori più nuovi possibili. Si dice che ci sia l’architetto dalle propensioni ghibertiane che ha in tasca la certezza, in caso di vittoria di Carlo Biasone & co., di sedere sulla potente poltrona di capo-ufficio tecnico, una postazione che tra non molti mesi potrebbe essere libera. In realtà è di poter garantire il controllo di quell’ufficio, strategico per chi ha certe mire, a chi ha il suo stesso sangue o le chiavi dello stesso studio. Ci sono pretendenti a ruoli contabili e di semplice livello esecutivo, “quota-cento” o non “quota-cento”. Loro non lo sanno, perché non hanno partecipato a certe riunioni. Dovrebbero però almeno immaginare che le loro terga sono sicuramente più numerose delle sedie che si stanno per liberare. Invece quelli che l’accordo l’hanno fatto in sede di allestimento del non-gruppo affidato a Carlo Biasone si devono solo preoccupare di garantire voti. Per loro il pericolo della moltiplicazione non c’è. Sanno che il posto toccherà a ciascuno di loro, è nei patti.

Nel 1975 le promesse fatte andarono tutte deluse. La campagna elettorale è una cosa: sono schermaglie, confronti, dibattiti, polemiche e promesse che durano per qualche giorno, un mese o poco più. I concorsi si fanno dopo, qualche volta molto dopo i comizi, le riunioni e le visite di certi soggetti che girano per le case come i Testimoni di Geova.

Queste indiscrezioni che svelano le mire personali e di consorteria di soggetti non in prima linea come candidati ma in alto nell’insieme-che-divide non sembrano valere per “Miglianico Cambia”, lo dimostrano chiaramente le più recenti vicende concorsuali. 

Del resto, per fare la vecchia politica ci vogliono persone adatte. I giovani innamorati del cambiamento non la sanno fare, si farebbero tanare dopo dieci minuti, sul clientelismo dei posti di lavoro e anche su altri aspetti legati alla cosiddetta “mangiatoia”. Ma di questo continueremo a ragionare più in là. 

Ci attende un fine settimana pieno di fatti concreti e di chiacchiere-chiacchiere-chiacchiere-chiacchiere.

13 – continua. 

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