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Acta Meridiana - 4

C’è gente che già comincia a dare i numeri, in ogni senso.

È comprensibile, fa quasi tenerezza per certi versi, l’accanimento dei più sfegatati tra i sostenitori delle due liste in lizza nel contabilizzare le presenze registrate nei due eventi di presentazione, quelli del 2 e del 3 maggio scorsi.

Contare le presenze di una o di due serate è un esercizio senza costrutto reale. I miei ventitré lettori sanno, avendolo già letto qui, che, nella seconda metà del secolo scorso le presenze venivano contate perché contavano davvero. Se si fosse aperta una campagna elettorale in piazza con una platea di 150/160 o anche 200 persone, quante ne può stipare oggi la Sala civica, si sarebbe segnata una pagina negativa. Duecento persone in piazza o in via Roma sono manifestamente poche, un brutto segnale. Oggi le cose son cambiate. Avere più di centro presenze è considerato un successo. Dovrebbe essere una consolazione. Non garantisce nulla.

 

Altri numeri vengono dati anticipando già i risultati. Anche questo è un vecchio vizio dei tifosi, sei soloni da bar. Con la differenza che prima, in quel tempo già individuato, il controllo dei partiti era davvero rigorosissimo, le appartenenze erano forti e i conti si facevano arrivando alle unità, perché si potevano fare. Quelli elaborati l’ultima notte erano spesso molto, molto vicini alla realtà del successivo scrutinio con margini bassissimi di errore. Racconto due aneddoti. Nel 1980, gli esponenti del PCI che stavano assistendo allo spoglio nella sezione elettorale n.3 che era a Montupoli, dichiararono che avrebbero vinto per 121 voti. Così fu qualche ora dopo a conti fatti. Nel 1990 la DC, strasicura della sua vittoria, riuscì a dirottare tanti voti quanti ne servirono per far eleggere un paio di consiglieri della minoranza ritenuti più morbidi se non amici. Ora questo non si può più fare. 

Invece l’insieme-che-divide ha deciso di fare l’operazione di imbonimento, di convinzione, quasi di minaccia verso gli indecisi. Qualche borioso signorotto che sin dall’inizio regge alcuni fili di quel non-gruppo va annunciando che Carlo Biasone vincerà per 174 voti. Tutto può succedere. Ma oggi nessuno, proprio nessuno può dirlo. Sono passati cinque anni e le cose son cambiate. Ma, se si leggono i risultati del 25 maggio 2014 si capisce innanzitutto che voteranno circa 3.000 elettori, considerando che c’è una lista in meno potrebbero essere alquanti di meno. Tolte le bianche e le nulle, i voti validi saranno al massimo 2.900, cosa più, cosa meno. La soglia della vittoria va fissata a 1.450 voti. Chi li aveva già dovrebbe perderne non pochi per poter stare sotto di 174 voti. Se si cominciano a sommare le preferenze dei singoli candidati certi numeri direbbero altro. A parte questo e al di là di ogni considerazione, a chi come quel tronfio signorotto va spargendo simili fantasie, va risposto che nessuno, proprio nessuno, può dire di conoscere personalmente tutti gli elettori e nessuno può dire di conoscere già da ora l’orientamento di ognuno di noi che andremo a votare. 

Ma quando non si hanno argomenti qualcuno dà i numeri, in ogni senso. 

L’unica cosa che conta, per chi è interessato a valutare seriamente cosa si stia muovendo, è capire chi c’è ai diversi incontri, se c’è per curiosità, per non far dispiacere questa o quello, per buona creanza essendo stato invitato, per opportunità di convenienza o per una convinzione già maturata. Su questo, al limite ci si può concentrare un poco e regolarsi casomai di conseguenza.

Ad esempio, c’è un numero, anzi due, che significano già molto, molto di più della somma o delle sottrazioni di presenti e assenti. I numeri sono un orario, le 12, e il tre, le persone presenti.

Ieri, alle 12, in piazza erano in tre, come non è mai accaduto a memoria d’uomo fino a quell’ora. I tre confabulavano, concertavano, mettevano a punto strategie e mosse elettorali, brigavano e borbottavano. C’erano Carlo Biasone, Dino De Marco e Nicola Mincone. Stanno lì le radici dell’insieme che divide, stanno in quel piccolo girotondo i motivi dell’avversione al Sindaco Fabio Adezio e alla sua maggioranza di “Miglianico Cambia”. Nell’equilibrio e nella somma di loro tre c’è il manifesto programmatico vero, le intenzioni reali, l’intreccio delle relazioni e degli interessi che non vengono detti ma che verrebbero fuori in caso di affermazione di Carlo Biasone e dei suoi. Vogliono cambiare davvero Miglianico. Sappiamo già come, sappiamo già cosa hanno nei loro pensieri. Loro, quei tre hanno già dato prova di sé per tanti e tanti anni. 

Loro tre sono la somma di cinquantaquattro anni di potere, gestito nelle stanze del Municipio. Quel Municipio non c’è più. Al suo posto c’è il nuovo.    

4 – continua.

 

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