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Pulizie di primavera

Scrivo questa lettera aperta che in realtà tale non è, poiché non interesserà nessuno al di fuori dei miei ventitré lettori. A loro forse interesserà. O forse no. Il rispetto che ho per loro mi spinge a scriverla con la solita spassionata sincerità. Tanto resta tra noi.

I miei ventitré lettori forse conoscono alcuni, pochi soggetti che pensano di attaccarmi così che debba difendermi o soccombere sotto le loro tremende accuse.

Per loro fortuna non devo difendermi da alcunché perché, se dovessi farlo, lo farei attaccandoli alla loro penosità. 

Chi legge certi scritti però merita almeno un chiarimento, una spiegazione di quel che è stato compresso dalla necessità di non allungarla troppo o di non aggiungere, meglio di non ri-precisare, quel che ho già spiegato e ho ingenuamente ritenuto già chiaro.

Vado per capitoletti provando a non dimenticare nulla.

 

Occorre una premessa sostanziale oltre che formale. La causa che ha scatenato tanti arguti pensatori e tante austere personcine è, soprattutto, quel che ho scritto in “Candidati di una notte di fine inverno” (clicca qui per rileggere l'articolo). Quella noticina era sigillata da un avvertenza che non poteva e non può essere equivocata: Questa riunione non c’è mai stata. Luoghi, dialoghi e perfino i nomi sono da considerarsi di fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale e non voluto”. 

Non sapevo che qualcuno poi si sarebbe ritrovato in scene, dialoghi e personaggi di quell’esercizio di fantasia. Forse lo hanno solo immaginato ma a loro è bastato per poter scaricare di tutto e di più contro l’autore della nota suddetta.  

Aggiungo una notazione quantitativa. Dicono i miei Amici e anche qualcuno che si fa bello di non essermi più amica/amico che "scrive, scrive, scrive, scrive tanto". 

Oh, Amici, Nemici e semplici conoscenti, avete mai provato a fare il conta-parole o il conta-caratteri-spazi-inclusi di tutto quanto scrivete ogni giorno tra Facebook e WhatsApp? E di quanto fa in una settimana? Prima di parlare a vanvera fatevi qualche conticino.  

Ultima premessa è che la gentilissima signorina Annamaria Di Felice merita i miei complimenti. Il suo era tra i nomi di fantasia di quella nota. Ha commentato in modo elegante, evidenziando la sua posizione con un pizzico di buona ironia. Brava. Forse un errore lo ha commesso: non mi ha maltrattato. Rischia di non essere più candidata.   

Arrivo alle accuse, presunte, scombinate, sgangherate, penose, misere e miserrime, più una che denota un "infinito squallore umano" (citazione tratta da un comizio dell’indimenticato prof. Francesco Scotti, primo Sindaco comunista di Miglianico). 

La prima presunta accusa è quella di aver citato persone senza motivo, senza la loro autorizzazione.

Chi svolge attività pubblica, come dirigente, rappresentante o anche socio di sodalizi che non sono chiusi e segreti, è un personaggio pubblico. Il suo nome compare in atti non riservati, la sua presenza è manifesta nelle attività svolte, soprattutto la sua opinione spesso il suo giudicare non sono destinati al chiuso di una stanza privata. Non occorre la loro autorizzazione.

Aggiungo che le persone che scrivono e-commentano-e-commentano-e-commentano e likeano i commenti di chi commenta e poi mettono faccine e addirittura immagini di animali, lo fanno sui social che non sono luoghi privati. Tant’è che, pur non abitando gli spazi di Facebook, certe uscite alquanto vigliacche le conosco. I loro nomi mi sono tornati alla memoria e li ho usati come personaggi immaginari in un racconto immaginario. “Aliquando praeterea rideo, jocor, ludo homo sum” (Plinio il Giovane).   

La seconda presunta accusa, che sembrerebbe più grave, ma è semplicemente ridicola è di aver diffamato non una ma più persone. Il discorso sulla diffamazione come reato lo salto per ora, anche perché potrebbe tornarmi utile per pagarmi le vacanze più di una volta l’anno. Raccontare quel che viene detto pubblicamente non è diffamare. Accorgersi di aver detto cose che si sono rivelati scivoloni, per usare un eufemismo, dovrebbe portare al massimo a una correzione da parte di chi ha commesso l’errore, mai ad accusare chi ha ascoltato come se invece avesse inventato. Commentare quel che viene detto pubblicamente è esercizio di libertà costituzionalmente tutelato. Se uno non ama i commenti o meglio ama solo lodi e like farebbe bene a pensarci prima di parlare in pubblico.

La terza presunta accusa è più falsa delle precedenti, la cattiveria: sarei uno spregevole soggetto che sparge odio.

Ma quando mai! Sanno questi Signori cos’è l’odio? Chiamano odio il pensiero che non concorda con le loro posizioni. Scambiano per odio il ragionamento basato sui fatti di chi li mette a posto, di chi toglie loro la maschera o avverte tutti che c’è chi mette la maschera col sorriso per ingannare gli elettori. Usano una vecchia e trita scorciatoia: fanno le vittime, esercizio nel qual sono ormai a livelli olimpionici. Ai fatti si risponde con fatti o con la prova della falsità dei fatti presentati, alle opinioni si risponde portando il contributo delle proprie opinioni. E si rispettano quelle altrui pur dissentendo da esse.   

La quarta presunta accusa è miserrima. Sarei un uomo rancoroso per le sconfitte subite, peggio ancora, sarei invidioso.

Dei sette vizi capitali l’invidia sinceramente è quello che non pratico. Commetto ben altri peccati, quello no, o comunque, data la mia imperfezione, c’è ma è all’ultimo posto. Comunque è un peccato stupido: è uno spreco di energie. Ho avuto ed ho tanto. Sono consapevole che non una sola, non due sole, ma miliardi di persone hanno meno di me, molto meno di me. Pensate a quanta fame e quante disgrazie ci sono nel mondo. Come si fa a invidiare qualcuno quando si è già così tanto privilegiati?! Di cosa dovrei essere invidioso? Dovrei invidiare chi ha più soldi di me? No, sono sempre felice di chi raggiunge grandi traguardi con le proprie capacità, li ammiro. I ladri, ovviamente li condanno. Dovrei invidiare chi è più bello di me? Invidierei la natura, sarei un pazzo non un invidioso. Mi spiace per chi si attacca a questa miserrima accusa. Ho una Famiglia splendida. Ho tante persone, oltre i miei parenti, che mi vogliono bene disinteressatamente. Ho un lavoro. Ho una casa. Ho la salute, cari miei, ho la salute e i miei accusatori non possono neanche immaginare con quanta gioia posso urlarlo al mondo intero. E sono felice per la salute degli altri. Mi addolora la sofferenza anche di chi non mi vuole bene. Se ci riuscite a trovarla in qualche taschino, recuperate un po’ di vergogna per come qualcuno mi descrive e per chi ha commentato soddisfatto. 

Ho vissuto tanto e tanto ho subito, ecco perché certe cose mi fanno solo pena. Ma se poi si insiste, anche se ho imparato ad avere pazienza, l’insistenza non resterà senza risposta.

Poi c’è la parte delle insinuazioni che sono più che miserrime. Dovrei dire che qualificano, anzi squalificano chi le ha ideate e poi anche chi le ha scritte. Ma sarebbe tempo perso, un inutile richiamo alla sobrietà del pensiero per chi non vuol capire.

Un commento, forse ora rimosso da chi ha evidentemente ha la coda di paglia o forse ha chiesto lumi sulla diffamazione a mezzo stampa, mi invitava a trattare di gossip e di tradimenti, materia nella quale sarei esperto. Di gossip non mi occupo. Tempo perso. Di tradimenti, beh, posso ricevere insegnamenti casomai. Tradimento: ne ho trattato raccontando come certe vicende politico-amministrative locali sono state segnate da questa parola in più occasioni. Basta andare a rileggere gli “Appunti per una piccola storia locale”. Oh, ma qualcuno ha scritto qualcosa di più utile, più documentato e anche stilisticamente più bello per raccontare la storia politica recente e meno recente di Miglianico?

Un'altra insinuazione propria di menti malate è stata quella che sarei dedito all’onanismo, addirittura seriale, non in senso fisico ma mentale.

L’insinuazione non merita altro che l’invito a chi l’ha partorita, a chi l’ha ripresa e a chi l’ha commentata, che è il più scemo, a farsi curare perché ha seri problemi, forse anche dal punto di vista sessuale. Questi o sono nostalgici dei tempi in cui non vigeva la Merlin o, non potendo più divertirsi, ora hanno allucinazioni da astinenza. In certi casi la meditazione e, meglio, la preghiera sono momenti di serenità eccezionali.

A proposito di preghiera. Non poteva mancare il campione della moralità cristiana. Secondo i criteri di vigliaccheria che purtroppo l’uso distorto dei social insegna, ha sparato nel mucchio accusando indistinte persone di scrivere e di spargere odio (vi fa pensare a qualcuno in particolare?) e poi di andare a sedere nei primi banchi a tutte le Messe o nei gruppi di associazionismo cattolico di ogni sorta. L’inquisitore, una gentile Concittadina, beata lei, riesce a vivere pienamente i valori del Vangelo, ama il prossimo, è misericordiosa, caritatevole e è dedita alla piena adorazione di Dio. Persone come queste sono la forza e la speranza del mondo. O meglio, lo saranno quando aggiungeranno anche la sensibilità a non ergersi a giudici in materia di fede. Quello toccherà a Chi ci ha creati per amore quando saremo al suo cospetto dopo la resurrezione. Chi va in Chiesa fa bene ad andarci, va rispettato il suo dialogo con Dio il solo che sa leggere nel suo cuore. Nessuno di noi deve pensare di essere migliore di chiunque altro al punto da giudicare perché va in Chiesa e poi addirittura valutare dove siede. Dobbiamo invece esser tristi e sentirci incapaci di dare buon esempio per ogni persona che non va in Chiesa, forse anche perché non vuole sentirsi additato a peccatore da chi si mette su un gradino più alto. 

Non dimentico la grande accusa, presunta e sgangherata più di altre, che periodicamente mi viene scagliata contro da chi non ha proprio niente da argomentare. "Non ci hai mai messo la faccia". "Perché non ti candidi così vediamo quanto vali?". Addirittura un richiamo epocale: "Sei lì da mezzo secolo e non passi mai di moda". E altre facezie simili. Ma perché si fanno mettere in bocca certe fesserie? Dovrebbero dire a chi dà loro questi suggerimenti: "Chiediglielo tu che lo conosci bene!". 

Ho già risposto almeno una volta. È passato più di qualche mese. È il caso che lo faccia ancora, spero sia l’ultima volta. 

Ci ho messo la faccia molte volte. Quando son salito su un palco o su un balcone per chiedere voti per il partito che rappresentavo ci ho messo la faccia oltre che le parole, alquanto efficaci. Come Segretario della Sezione DC di Miglianico, tra le altre, ho condotto, mettendoci la faccia, le campagne elettorali del 1987 (Politiche), del 1989 (Europee), del 1990 (Regione, Provincia, Comune), del 1992 (Politiche). Ho condotto da segretario dell’UDC la campagna elettorale del 2004 (Provincia e Comune) mettendoci la faccia per far eleggere Nicola Mincone alla Provincia, Dino De Marco come sindaco e Carlo Biasone come vice-sindaco, quella del 2005 (Regionali). Nel 2009, su invito perentorio del mio Amico Carlo Biasone: "domani sera ti rimetti la giacca e sali tu sul balcone a presentare la lista", ho tenuto il comizio di apertura per presentare la lista Viva Miglianico Viva, perché nessuno se la sentiva di metterci la faccia. Sono stato Segretario della Sezione DC di Miglianico dal marzo 1987 allo scioglimento della DC. Sono stato segretario dell’UDC, perché nessuno voleva “rischiare” nel farlo, dal novembre del 2003 alla chiusura della sezione, soffocata il 31 ottobre del 2008 per consentire il passaggio al PdL berlusconiano e la candidatura alle regionali di Nicola Mincone. La chiusura non l’ho fatta formalmente fino al successivo 2009 solo perché mi occorreva utilizzare il diritto di tribuna per avviare la campagna di opposizione a Dino De Marco. Lo feci con la manifestazione “Prima che passi un anno” tenuta in sala civica a fine aprile di quell’anno. Lì, presentato da Antonello Antonelli, ci ho messo la faccia, da solo, senza paracadute, come si suol dire.

Da allora non ho tessere di partito. Sono un normale cittadino. Quando scrivo ci metto la firma. Quando parlo ci metto la faccia. Sempre ci metto cuore e cervello.

Non mi sono candidato con la DC perché ho tenuto fede al patto fatto con Mario Amicone: avrei curato il Partito da Segretario senza utilizzare quell’incarico per fare il candidato. Il Segretario del partito era l’unico presentatore di lista, potevo mettermi in lista e nella posizione che volevo, senza che nessuno potesse dire nulla. Forse ho commesso errori nel presentare certe liste. Avrei dovuto fare il furbo? No, ho rispettato gli impegni presi. Non tutti lo hanno fatto. Un segretario di sezione, se si candida, deve raccogliere più consensi degli altri, altrimenti tutta la Sezione risulterebbe mortificata. Sarebbe successo e sarebbe finita l’armonia della nostra Sezione. Ho sempre preferito che si candidassero altri Amici per due motivi eccellenti: erano tutti migliori di me; avevano l’ambizione per candidarsi, una qualità indispensabile. È una qualità che non ho.

Quando mi è stato chiesto - per motivi di servizio - mi sono candidato all’interno del Partito per i vari livelli congressuali, all’interno delle associazioni (UCSI, ACLI, Pro Loco), a Scuola, prima da studente ai tempi del Liceo e poi da genitore. Sono stato sempre eletto, tranne una sola volta quando il carissimo comparuccio, prof. Antonello Antonelli, mi ha chiesto di riempire la lista per il rinnovo dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo. Sono stato il primo o il secondo dei non eletti, senza aver fatto ovviamente campagna elettorale viste le condizioni date. È poco. È la verità. 

Senza voler provocare alcuno affermo con grande serenità che, se mi fossi candidato in qualunque delle elezioni comunali che ho elencato sarei stato eletto. Avrei tranquillamente preso più voti di quanti ne assommano i soggetti che in questi giorni hanno provato a offendermi e dileggiarmi. Oggi, arrugginito, fermo ai box dell’attività di partito da troppi anni per poter esser rimesso in pista, cosa che assolutamente rifiuterei, se mi candidassi prenderei più voti di quanti ne assommeranno quegli stessi soggetti, ammesso che siano loro ad avere il coraggio di metterci la faccia e di candidarsi uscendo dalle tetre trincee delle loro tastiere.

Sono impopolare e nuocerei probabilmente alla lista che mi accogliesse, questo è un discorso di opportunità del momento. Ma la soglia dei voti sarebbe sostanzialmente la stessa, molto più alta se scegliessi una lista comoda, come quella che va di moda al momento. Parte della mia impopolarità, tra l’altro, dipende a dal fatto che non ho generato clienti pronti a far da tifosi. E non pochi degli Amici che ho lealmente e strenuamente sostenuto, anche facendo comizi con 39 di febbre, si son sempre guardati bene dal garantirmi popolarità anche per non mettere mai a rischio il proprio posto.    

Manca la controprova di quanto affermo? Manca anche la prova di chi mi accusa. 

Lascio in ultimo la più squallida insinuazione. Mi dà fastidio doverla citare e soprattutto replicare, ma oggi ho deciso di farlo. L’ho deciso oggi pomeriggio. È il giorno di San Giuseppe, un uomo che praticamente non dice una sola parola nei Vangeli. È a festa del Papà. Sono andato a salutare il mio Papà appena tornato dal lavoro, da solo. Prima di arrivare alla cappella di famiglia son passato davanti ad altre cappelle e, come sempre, mi sono fermato o sono entrato a salutare con una piccola preghiera persone indimenticabili, che sono anche i Papà di Amiche e Amici: Lucio Zannolli, Ermanno Anzellotti, Remo Firmani, Delmo e Gabriele Adezio, Fernando Marinucci. Sono rimasto un po’ con i miei e poi ho proseguito rapidamente perché s’era fatto tardi, con altri saluti, il più vicino, Vincenzo Biasone, poi Pasquale Innamorati, Gabrielino Adezio Deddé, don Vincenzo, mio Nonno Raffele, zio Titino, Franco De Lutiis, Peppino Mancinelli “Mapone”, Peppino Firmani di Guizzardo, Tommaso Ricciuti “Calimero”, Arpinolo Cicchitti, e girando prima di uscire, Mario, Renato e Pietro D’Ercole, e infine Cesidio D’Amato che non è stato padre ma un grande maestro certamente sì. Lungo questo saluto velocissimo che me ne ha fatto saltare tanti altri, ho meditato se scrivere questo che segue. Loro, i miei Amici salutati oggi, non hanno colpa, ovviamente.

Il dott. Antonio Sandro Di Prinzio, uno-e-trino non perché ha doti divine ma perché fa il furbo, elucubra stando contemporaneamente in tre posti, il PD, “Progetto Miglianico” e l’insieme-che-divide, stanco di scrivere tanto per tre parrocchie, risparmia energie e usa frasi fatte. Eppure è bravo a scrivere, perché quando deve avere coraggio usa degli altri? Il suddetto pubblica questa frase artatamente costruita solo per introdurre la frase fatta:"La cattiveria si manifesta in molte forme: dalla violenza fisica al piacere di ferire gli altri con le parole. La cattiveria nelle piccole comunità usa le arti raffinate della zizzania e del dubbio. Più la calunnia è mascherata da molte e belle parole, maggiore è la volontà di ferire gli altri. Ma la cattiveria quasi sempre è figlia dell’invidia. “Dall’invidia si diventa strabici” (Anton Cecov)".

La tiritera sulla cattiveria l’ha sintetizzata frequentando le riunioni ristrette e riservate dell’insieme-che-divide e forse l’ha poi elaborata guardandosi allo specchio. Ma sono problemi suoi. 

Il riferimento che mi dedica voleva essere semplicemente cattivo, invece appartiene a quella categoria descritta in apertura con le parole del prof. Francesco Scotti, quella ricompresa nell’ "infinito squallore umano". 

Perché dico che lo dedica a me? Non nascondiamoci, io, solo io sono strabico. Lo sono dalla nascita. Ci convivo da 60 anni con quello che non è un pregio estetico, anzi è un handicap fisico e soprattutto sociale. Alle donne si prova a farlo pesare di meno dicendo che è “uno strabismo di Venere”. Ai maschietti questa delicatezza non viene neanche concessa. Ai maschi si può dire tranquillamente che "È quello con gli occhi storti". Da bambino me lo hanno detto tante volte: "Ti l’ucchie stùrte". Non è stato mai per farmi un complimento.

Non mi ferisce sentirmelo ripetere da cotanto uomo. 

Spero solo che un simile squallore venga risparmiato a chiunque altro. 

Caro Sandro, sono strabico, ma non ti invidio. 

Non invidio nessuno ma sono strabico lo stesso. 

Non potevo esser invidioso prima di nascere, questo lo capisci anche tu, anche se sei foderato di avversione. 

E sono felice, sai perché? 

Guardo negli occhi mia Moglie e le mie Figlie. Guardo negli occhi le mie Amiche e i miei Amici. Lo faccio senza dovermi vergognare, di niente, neanche di avere gli occhi storti.

Guarderò negli occhi il mio Signore quando verrà la mia ora e Lui non farà caso al fatto che ho l’ambliopia. 

Guardo sempre negli occhi le persone quando parlo con loro. Forse è per questo che a volte riesco a parlare ai loro cuori. È una cosa meravigliosa. 


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BREVE APPENDICE GIURDICA. La diffamazione su Facebook.

La diffamazione a mezzo Facebook, in particolare con riferimento a post diffamatori, può verificarsi in due generali ipotesi: a) la prima è quella della pubblicazione su pagine personali, alle quali, per accedere, è necessario il consenso del titolare, ove si deve ritenere la comunicazione non potenzialmente diffusiva e pubblica, in quanto, attraverso Facebook si attua una conversazione virtuale privata con destinatari selezionati che hanno chiesto previamente al presunto offensore di poter accedere ai contenuti delle pagine dallo stesso gestite; b) la seconda è caratterizzata dalla pubblicazione di post, commenti o quant’altro su pagine nelle quali l’utente non sceglie direttamente i propri interlocutori.

La pubblicazione, sulla bacheca del proprio profilo personale di Facebook, di un messaggio a contenuto lesivo dell’onore e della reputazione di un soggetto, integra il delitto di diffamazione aggravato dall’utilizzo di altro mezzo di pubblicità, contemplato nel comma 3 dell’art. 595 c.p.

Presupposti per la diffamazione a mezzo Facebook sono: a) la precisa individualità del destinatario delle manifestazioni ingiuriose; b) la comunicazione con più persone alla luce del carattere pubblico dello spazio virtuale e la possibile sua incontrollata diffusione; c) la coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare offesa al decoro, onore e reputazione del soggetto passivo.

Per quanto attiene il contenuto del messaggio nella sua concreta portata oltre al contesto in cui esso si colloca, bisogna analizzare la concreta portata offensiva. Infatti nel caso in cui il soggetto agente posti un messaggio privo di intrinseca portata offensiva non può rispondere del reato di diffamazione, a nulla rilevando che tale messaggio fosse inserito in una discussione ove altri utenti avevano in precedenza inviato messaggi contenenti espressioni offensive, e anche per l’ipotesi in cui risulti che egli, pur condividendo la critica alla persona offesa, non abbia condiviso le specifiche espressioni utilizzate (Cassazione penale, sez. V, 21/09/2015, n. 3981).

Ai fini della valenza lesiva il messaggio deve essere inoltre contestualizzato, ossia rapportato al contesto spaziotemporale nel quale è stato pronunciato, tenuto altresì conto dello standard di sensibilità sociale del tempo e del contesto familiare o professionale in cui si colloca. (Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 451).

Le cause di giustificazione

a) Provocazione

Per quanto riguarda eventuali cause di giustificazione della provocazione nei delitti contro l’onore, tramite il social, molteplici tribunali ordinari hanno ritenuto che il requisito dell’immediatezza non deve intendersi come reazione attuata nello stesso momento dell’offesa ma può consistere in una reazione successiva purché dipenda sempre dalla natura della ritorsione all’offesa.

b) Diritto alla critica

L’ironica recensione pubblicata su Facebook non integra gli estremi della diffamazione, operando in un "libero mercato" nel quale si accettano recensioni positive e negative. Un’ironia che può fondarsi anche su una recensione, configurando tale manifestazione di volontà espressione del diritto di critica che non mira a ledere l’onore o il prestigio.

Riferibilità soggettiva del messaggio

Altro elemento rilevante della fattispecie è la correlazione tra i commenti e gli autori. Tale nodo risulta uno dei più complessi atteso il dilagare di profili non corrispondenti a reali entità personali.

La Cassazione negli anni ha più volte sottolineato la necessità di tale prova disponendo spesso l’annullamento di sentenze nelle quali per i commenti sprezzanti non sia emersa alcuna correlazione con gli autori. Fornire tale prova risulta per la parte offesa, altresì costituita quale parte civile, molto complessa in ragione di un inevitabile confronto con norme estere, che spesso non consentono la precisa individuazione del account personale.

In linea di massima però i giudici italiani sono protesi a ricollegare il messaggio, a contenuto diffamatorio ad un soggetto in ragione dei dati di registrazione riferibili ad una specifica persona individuata o facilmente individuabile in modo univoco, pertanto le affermazioni lesive ove non si possa configurare un “furto di identità”, devono ritenersi provenienti dal soggetto al cui nome era stata effettuata la registrazione.

In ipotesi invece di diffamazione attraverso messaggi non diretti alla persona offesa, o nei quali essa non è citata, la suprema corte ha affermato che può desumersi però la riferibilità soggettiva del messaggio diffamatorio da circostanze fattuali quali i pregressi e burrascosi rapporti lavorativi intercorsi tra le parti. Pertanto anche la non menzione del nome dell’offeso, ma l’utilizzo di espressioni, qualità e qualifiche a questo inequivocabilmente riferibili, risulta bastevole.


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