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La letterina del sabato 6 gennaio

Care Amiche e cari Amici,

è già l’Epifania, una festa molto importante non perché è quella che tutte le altre porta via ma per quel che presenta all’attenzione dei fedeli e anche di chi non crede ma ha la curiosità di capire, di sapere, di indagare. È la manifestazione del Signore.

Sarà arrivata la Befana? Spero di sì e che abbia portato a tutti doni bellissimi.

 

Ho ancora dentro l’emozione della notte prima dell’alba dell’Epifania. Scendevamo con sorella e fratelli in cucina per veder se c’erano doni per noi. A Papà toccava sempre carbone qualche cipolla e poco altro per celia. Noi trovavamo un pacchetto che ci faceva esplodere di gioia e ci impegnava nel gioco nuovo fino all’ora della Santa Messa, quella del Fanciullo, celebrata alle 9,30. Poi quel gioco diventava elemento condiviso con gli amici nelle poche ore che restavano prima di tornare al ritmo del calendario scolastico. 

Oggi mi crogiolerò qualche minuto in quei bei ricordi. Poi vivrò un’altra Epifania, quella certamente della Santa Messa e poi, nel pomeriggio, nella sala Civica, quella della gara dei “Calcionetti”, che avrà inizio alle 16,00 e proseguirà con una fantastica tombola ricchissima di premi. 

Comincia così il nuovo anno della nostra inarrestabile Pro Loco che organizza questa manifestazione molto interessante indirizzata alla ricerca del miglior calcionetto tradizionale e del miglior calcionetto innovativo. 

Me ne occuperò prossimamente. Anticipo solo che ancora una volta si avvicinano i giorni nei quali occorrerebbe riunire le associazioni locali, quelle che durante l’anno fanno cose piccole o grandi, per coordinare i calendari, per stabilire le priorità, per decidere eventuali innovazioni. Va fatto prima che gli impegni risucchino i volenterosi nel loro generoso operare, senza lasciar il tempo di programmare tutti insieme, come ciascuno dichiara si dovrebbe fare.

Domani cominceremo a smontare alberi, luci e presepi. Anche questo è un rito. Stamattina avremo fatto fare l’ultimo tratto di stradina ai Re Magi e li avremo collocati davanti alla capanna. 

Ho scoperto per un caso che questa storia affascinante dei Magi, i sapienti che hanno seguito la stella, ha una versione singolare e toccante. L’ho scoperto perché lo Zio Cecchino, morto in Australia, si chiamava Francesco Artibano. Mi sono chiesto come mai avesse quel nome. Per molti anni ho pensato a uno di quegli accidenti allora non infrequenti all’atto della registrazione dei figli all’anagrafe. Pesavo cioè che mio Nonno Guglielmo volesse chiamarlo Artigiano e avesse scelto un nome aulico o derivante da chissà quale tradizione letteraria. No, scelse Artibano. Non so perché. Ma indagando sull’origine di quel nome più unico che raro tra i miei conoscenti ho scoperto questa storia bellissima            

La storia del quarto Re Magio

I Magi, mentre scrutavano la volta celeste, scoprirono una nuova stella che brillò per una notte e poi sparì. Dopo qualche tempo, il cielo fu solcato da una scintilla blu che roteando emetteva splendore di porpora, finché divenne una sfera scarlatta con raggi lucenti e un vivissimo punto centrale bianco. Era il segnale della nascita del Re atteso da secoli. Lo videro i magi di Borsippa. Lo vide anche Artibano, che abitava a Ecbatana, distante dieci giorni di cammino.

Gaspare, Baldassare e Melchiorre decisero di partire per Gerusalemme. Anche Artibano, si preparò per il viaggio. Vendette tutti i suoi beni e acquistò uno zaffiro, un rubino e una perla da portare al Re e, montato in sella al velocissimo Vosda, galoppò verso Borsippa. Attraversò boschi, guadò fiumi, s'inerpicò per colline e montagne, quando a una svolta pericolosa trovò un moribondo abbandonato sulla strada.

Artibano saltò dal suo corsiero e, caricatosi l'infelice sulle spalle, lo adagiò sotto una palma, gli bagnò le labbra riarse, lo ristorò e il moribondo dopo qualche tempo aprì gli occhi. «Voglia il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ricompensarti - disse - faccia prosperare il tuo viaggio fino a Betlemme, perché è lì che deve nascere il Messia, che tu vai cercando».

Artibano si rimise in cammino verso la mezzanotte... e alle prime luci dell'undicesimo giorno entrò in Borsippa, ma non trova i compagni. Essi avevano atteso 10 giorni, poi erano partiti lasciandogli un messaggio: «T'abbiamo aspettato sino alla mezzanotte..., seguici attraverso il deserto».

Arabano, allora, vende lo zaffiro, appalta una carovana e riprende il viaggio affrontando i pericoli e i disagi del deserto.

Giunse a Betlemme dopo tre giorni che i suoi compagni avevano deposto ai piedi del Re l'oro, l'incenso e la mirra... ed erano ripartiti per un'altra via.

Il villaggio pareva deserto: gli uomini erano nei campi e i ragazzi al pascolo delle greggi. Dalla parte di una casupola sulla strada udì una flebile nenia. Entrato vide una giovane madre. La donna ospitò il forestiero, ristorandolo e parlandogli di tre stranieri, vestiti come lui, giunti dall'Oriente poco prima, guidati da una stella al luogo dove abitava Giuseppe, la sua sposa e il Bambino. Essi l'avevano adorato lasciandogli in omaggio ricchi doni; ma poi erano spariti misteriosamente, come pure, in segreto, la notte successiva scomparve la Famiglia di Nazareth, dirigendosi forse in Egitto.

Artibano si diresse allora verso Ebron alla volta dell'Egitto. Egli sperava di raggiungere la Sacra Famiglia nelle oasi del deserto, sotto le palme o i sicomori, ma invano. Si spinse fino a Elaiopoli e a Menfi; percorse le rive fiorite dei Nilo, si aggirò tra le Piramidi dei Faraoni, all'ombra della sfinge; ma le sue ricerche non approdarono a nulla.

Scoraggiato e deluso tornò in Palestina nella speranza di poterli trovare. Dopo alcuni anni di peregrinazioni si rivolse ad un rabbino perché gli indicasse in quali paraggi avrebbe potuto incontrare il Messia. Il rabbino, preso un papiro, lesse: «Il Messia conviene cercarlo tra i poveri, tra gli umili, tra i sofferenti e gli oppressi».

A tali parole, Artibano vendette il rubino e si diede a nutrire gli affamati, a rivestire gli ignudi, a curare gli infermi, a visitare i carcerati. Passarono così trentatré anni da quando era partito in cerca della «Vera Luce». I suoi capelli, allora di un bel nero lucido, si erano fatti bianchi. Lacero ed esausto, ma tuttora in cerca del Re, era tornato per l'ultima volta a Gerusalemme nel periodo della Pasqua.

La città santa brulicava di gente, venuta dalle terre più lontane alla festa del Tempio. Era il venerdì della Parasceve... e nella folla si notava un'agitazione particolare. Egli, imbattutosi in un gruppo, domandò la causa del tumulto e dove andavano tutti. «Noi andiamo - risposero - al luogo dei Teschio fuori le mura, dove c'è la crocifissione di due malfattori e di un altro chiamato Gesù di Nazareth, il quale ha fatto molte opere prodigiose in mezzo al popolo ed ora è messo a morte perché si dice Figlio di Dio e Re dei Giudei».

Artibano pensò fra sé: «Non potrebbe essere quel Gesù, nato a Betlemme trentatré anni fa? Che abbia trovato finalmente il mio Re nelle mani dei suoi nemici? Arriverò in tempo almeno per offrire la mia perla per il suo riscatto, prima che Egli muoia?».

Così il buon vecchio seguì la moltitudine, quando, lungo la salita, una fanciulla di Ecbatana, riconosciutolo dal costume per suo connazionale, gli si avvicinò scongiurandolo in ginocchio: «Per amore del Dio della Purezza, abbi pietà di me; sono una misera schiava della tua stessa fede; salvami, ridandomi la libertà».

Il vecchio, non possedendo che un'unica perla, la consegnò alla sventurata concittadina per il suo riscatto.

Improvvisamente si udì un boato; la terra sussulta; il cielo si oscura; le mura delle case si spalancano e crollano; nuvole di polvere riempiono l'aria; soldati e popolo fuggono terrorizzati.

Artibano e la fanciulla si rifugiano sotto i loggiati del Pretorio. Una nuova scossa di terremoto, più violenta, fa cadere una pietra contro le tempie di Artibano, che traballa pallido, esanime.

La ragazza lo sostiene con le sue braccia, mentre il sangue scorre a rivoli dalla ferita. Non è morto, lo si sente pronunziare queste estreme parole: «Non così o mio Signore... quando mai ti vidi affamato e ti nutrii? Assetato e ti porsi da bere? Quando mai ti vidi forestiero e ti ospitai? In carcere e ti visitai? Nudo e ti rivestii? Per ben trentatré anni ti ho cercato ansiosamente, ma non ho mai avuto la soddisfazione di poter contemplare il tuo volto, né di renderti il minimo servizio, o mio dolce Re!».

Artibano cessò di parlare. Ma un'altra voce si fece udire a suo conforto: «In verità in verità ti dico, che ogni volta che tu hai fatto ciò ai tuoi simili, ai miei fratelli, tu l'hai fatto a me». Un grande respiro di sollievo gli uscì dalle labbra. Egli aveva finito il suo lungo viaggio. I suoi doni erano stati veramente graditi. Artibano, il quarto dei Magi aveva finalmente trovato il Re.”

È una bella storia, vero?

Buona domenica!

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