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La letterina del sabato 29 luglio

Categoria: Notizie
Pubblicato Sabato, 29 Luglio 2017 09:48
Scritto da Maurizio
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Care Amiche e Cari Amici, 

abbiamo ancora negli occhi i riflessi festosi dei fuochi d’artificio che hanno concluso le Feste Patronali di quest’anno ed è già tempo di accompagnarle con qualche riflessione, non senza dimenticare che ci sono altre feste che si avvicinano. Non ci saranno invece certi divertimenti popolari. L’arena di mezza estate immaginata, ideata, proposta anche sperata da certuni è rimasta irrealizzata.

 

Le Feste Patronali, come vi ho accennato nell’ultima Letterina, sono cominciate con la Novena che ci ha portati alla sera del 26 luglio, festa di Sant’Anna ma in realtà, con il rito vespertino, apertura solenne della Festa in onore di San Pantaleone. Quest’anno il rito dell’esposizione della immagine del nostro Santo è stata molto bella, senza sbavature, perfezionata dalla presenza elegante e molto appropriata della Presidente del Comitato Feste, la signora Melita Tropea, che ha accompagnato quasi con una carezza simbolica la statua del Santo nella breve giravolta che compie dalla teca al trono. Ho visto i momenti toccanti che ogni anno segnano volti diversi ma riempiono il cuore della stessa grande commozione che conosco sin da bambino, uno scuotimento irrefrenabile che fa un po’ strozzare di pianto il canto dell’Inno a San Pantaleone. Tra le cose bellissime avvenute sotto la luce del sorriso del nostro santo Protettore ho colto l’abbraccio che, poco dopo la cerimonia, la Presidente ha fatto al suo sposo: un gesto meraviglioso come lo è il dire senza parole i sentimenti più profondi e sinceri che possono esserci tra due innamorati e tra loro ed il Santo che li protegge.

La Festa di San Pantaleone ha visto una inattesa presenza di cittadini e di fedeli soprattutto alla processione e poi in piazza per la bella serata musicale. È stata molto importante la presenza di tanti Sindaci dei paesi vicini oltre che dell’assessore regionale Paolucci, sia in Chiesa sia durante tutta la processione, segno che siamo usciti dall’isolamento nel quale Miglianico si era chiusa negli anni passati. 

So che non è colpa di nessuno perché le cose vanno così. Ma non dovrebbe più accadere che dove via Roma è più stretta, la Statua del festeggiato, il Santo per il quale si fa la processione e tutta la festa, debba schivare bancarelle e soprattutto larghi furgoni da street-food che restano spalancati senza rispetto per un rito devozionale antico di secoli. 

Facendo questa riflessione ho notato un paio di bancarelle di commercianti ambulanti musulmani. Mi sarebbe venuto da fermarmi e parlare con loro non per discriminarli o cacciarli dall’Italia. Avrei voluto chieder loro di raccontare cosa è il oggi la tradizione cristiana, cos’è la fede in Cristo dell’Occidente che alcuni di essi odiano. Avrei voluto invitarli a telefonare ai loro parenti che abitano nelle nazioni islamiche, far inviare loro foto e video per far capire che loro possono trovare occasione di commerciare e fare buoni affari durante le nostre feste religiose. Credo che nessun cristiano possa commerciare durante le feste religiose nei paesi musulmani mostrando una croce sul petto o sgranando un rosario. O, forse, avrei semplicemente chiesto loro il tempo, i pochi secondi che servono per guardare non la nostra tolleranza ma il volto sereno di San Pantaleone, da lì avrebbero potuto capire come noi professiamo la nostra fede senza aggiungervi odio o avversione per chi non crede o crede in qualcos’altro.

È stata una riflessione fatta nei pochi passi che occorrono per attraversare l’incrocio di via Roma con via Dante Alighieri. Mi ha distolto solo per un poco da un altro pensiero, quello che riguarda un’idea che pure si è affacciata ma che qualcuno, sicuramente colto e potente in ambito civico, ha ricacciato indietro forse perché indegna. L’idea, nata all’inizio dell’estate e ascoltata in uno dei gioiosi conciliaboli serali che si tengono in piazza, era quella di introdurre una novità che poi tale forse non sarebbe: cantare l’Inno a San Pantaleone durante la processione con l’accompagnamento della banda musicale. La banda non avrebbe avuto problemi a imparare il motivo e anche a provarlo con il coro. Il canto ormai lo conosciamo tutti e comunque non sarebbe stato un problema distribuire qualche fotocopia con il testo prima della processione. I problemi non c’erano, non ci sono. Ma un problema deve esserci, perché sarebbe inconcepibile non introdurre un qualcosa che darebbe una particolare solennità alla processione, rendendola forse unica. Del resto noi l’Inno a San Pantaleone lo abbiamo ed è anche alquanto antico. Molti altri no. Ma se non s’è fatto dopo che è stato proposto un motivo ci deve essere. Una volta c’era il vizio di non adottare certe decisioni perché, pur se ritenute molto buone, avevano il difetto di esser state proposte da persone sgradite. Non posso immaginare che nel XXI secolo a Miglianico ci possa essere ancora chi ragiona così. Sarebbe triste, molto triste. Non torno sulla “Cassarmonica perché ne ho già trattato. So di aver ragione e non mi farà piacere sentirmelo dire quando sarà passato ancora molto altro tempo e si capirà quanto valore abbia la “Cassarmonica”, usata anche solo come simbolo della festa.                  

Chiudo questa prima riflessione sulle Feste Patronali di quest’anno con un passaggio sugli spettacoli. Sono stati molto belli quelli scelti dal Comitato. Purtroppo eravamo in pochi a quello del 26 sera, che è stato di grande valore e di irresistibile forza coinvolgente. Pregevole è stato - lo si sapeva - il concerto dell’Orchestra di fiati e dei cantanti esibitisi il 27, anche se una piazza in festa qualcosa toglie alla musica sinfonica e lirica. Degna delle attese è stata infine la esibizione di Chiara ieri sera, con una piazza affollata soprattutto di giovani, che addirittura ha più volte applaudito l’artista, cosa non frequente a Miglianico. 

Lo spettacolo pirotecnico che ha chiuso i festeggiamenti ha distratto qualcuno dai primi bagliori che gli hanno illuminato un balcone recentemente famoso con presenze che hanno suscitato gustosi commenti. 

A proposito di vicende osservate quasi con assillo quotidiano da quella sontuosa tribuna dove fioriscono critici e criticoni, devo riprendere quanto detto a proposito dell’iniziativa che il mio Cugino ed Amico, il prof. Manuel Giampiero Sulpizio, ha annunciato dieci giorni fa. È tornato poi a sollecitare le parti che lui voleva far confrontare sotto la sua moderazione nel pubblico dibattito proposto, quello sulla piazza che verrà. Non ripeto quanto scritto. Constato che Giampiero Sulpizio è rimasto solo, anzi, purtroppo non da solo, condizione niente affatto disprezzabile per lo spirito nobile di un poeta illustre e di un critico letterario affermato in Italia ed all’estero quale egli è. Ha avuto la sola adesione di “Progetto Miglianico”. Da un lato questo ha alimentato sospetti e relative polemiche sul perché ci sia stato l’improvviso post di Giampiero Sulpizio su un profilo Facebook non suo, dall’altro lato ha purtroppo fatto dire che, stando così le cose, per lui era meglio esser solo che male accompagnato. 

Comunque, il tempo è scaduto. 

Chi vuole bighellonare nelle praterie di Facebook trovi un altro gioco e non stia più a tirare per la giacchetta Giampiero Sulpizio.

Questa Letterina si chiude con il ricordo affettuoso di tre Miglianichesi che ci hanno lasciato avviandosi verso il Paradiso.

Il primo pensiero è per la signora Nicoletta, Mamma dell’Amico Giovannino Solimes, una donna sempre sorridente, volitiva, tenace, instancabile. Alla sua generosità di cuoca, alla sua pazienza e alla sua cordialità sono legati ricordi particolarissimi. Alcuni sono importanti e si rifanno alla stagione bellissima della Democrazia Cristiana di Miglianico. Fu lei, in casa sua, a signoreggiare la cucina per il pranzo di benvenuto con tante personalità locali e regionali quando Lorenzo Natali venne a Miglianico il 1 maggio del 1979 per aprire la prima campagna elettorale europea.
Ma è stato il suo sorriso l’ingrediente più buono nelle tante sere trascorse a cena discutendo allegramente a tavola con Amerigo e con Amici indimenticabili come l’avv. Carlo De Cata e Remo Coletta. Mi piace pensare che, senza più l’affanno della cucina, ora li abbia trovati ad una mensa più luminosa e serena. Che Dio li benedica.

Se n’è andato un altro Amico in questo caldo fine luglio, Gasperino Antonelli. Con lui scompare un altro protagonista della stagione politica che ha preceduto il mio modesto impegno nella DC. L’ho trovato sempre vicino e disponibile, senza mai presentare una richiesta personale se non tanti piccoli consigli offerti, mai imposti, benché avesse età ed esperienza per farlo; un tesserato sereno nelle sconfitte e tranquillo nelle vittorie. Negli ultimi frangenti politici lo chiamavo senatore, perché era il mio iscritto con più anni nella carta d’identità. Gasperino, “Spirìne di Sucone”, apparteneva ad una generazione di militanti politici - di tutte le parti in campo - che è stata largamente bistrattata ma che invece era composta da persone capaci di impegno tenace, consapevoli della propria appartenenza, fieri avversari ma mai nemici personali, pazienti nelle attività di propaganda e di proselitismo, non accecati dal potere o storditi dal carrierismo. Essendo il Papà di una grande Amico quale è Agostino, gli ho voluto bene due volte e due volte ho provato dolore per la sua morte.

Al funerale di Gasperino, assorto nel mio silenzio, mi sono trovato a pensare ad una altro dolore provato nei giorni di Festa Patronale, è un dolore non cancellato che ha compiuto quarant’anni. Il 27 luglio del 1977 fui svegliato da mia Nonna Assunta che mi disse solo “s’ha morte”. Aveva appena avuto la notizia della scomparsa di Rocco Cipollone, deceduto per le conseguenze di un incidente stradale occorsogli un paio di settimane prima di ritorno dal matrimonio della figliola di un vicino di casa. Quel giorno la Festa fu soffocata da un dolore immenso, condiviso da tutta Miglianico. Rocco, “Ruccucce” era per me, piccolino, un uomo imponente, eppure mai grossolano, con quel viso tondo dall’indimenticabile sorriso. Son nato lì, difronte a casa sua, la sua officina di fabbro era ogni girono la prima cosa che vedevo guardando fuori dalla porta del bar. La forgia, lo spettacolo delle scintille infuocate quando saldava e soprattutto quando accendeva la sega circolare, il battere del martello sull’incudine erano immagini e suoni di ogni giorno. Poi arrivarono i colori dei trattori agricoli. E tante altre cose, come la disponibilità a darci, con fare quasi complice, i cuscinetti per preparare il carruccio, il nostro mezzo di trasporto… a spinta. A lui devo una pagina simpatica della mia vita di fanciullo. Ogni anno, finita la scuola, potevamo prendere la bici, avevamo un’Atala, con le classiche rotelle. Un anno non si trovavano le rotelle della bicicletta. Andai da Rocco a chiedergli se le riportava da Pescara ma avevo fretta e lui non sarebbe andato certo a Pescara per le rotelle della nostra bicicletta. Mi disse di salire in sella e afferrò il sellino con quella sua mano grande e forte che quasi mi sollevava. "Tu pedala che ti reggo io. Non aver paura". Mi portò fino alla bottega di Peppino Mancinelli, “Mapone”, poco più di una ventina di metri. Mi fece rigirare e mi disse "Ti aspetto giù. Ora ti regge Peppino". Andò giù e arrivai da lui ma Peppino aveva avuto un cenno da Rocco e non mi aveva accompagnato. Lui sorrise. "Le rotelle non ti servono più". Aveva ragione. Le rotelle non servirono più. Imparai così ad andare in bici.

Il pomeriggio del 28 luglio di quarant’anni fa il funerale di Rocco Cipollone segnò un momento importante. Era morto il Papà di Marina, amica sin dall’infanzia, di Peppino e di Luciano, di Antonietta e di Angelina, più grandi di me. Era una presenza quotidiana, importante, forte, che veniva a mancare. Il dolore che ho provato allora lo sento come fosse attuale, vivo. Tra l’altro quello fu l’anno del mio esame di stato con una classe molto unita che si scioglieva e disperdeva noi in varie direzioni. A fine di quel luglio andò via da Miglianico Maurizio Gubbiotti, coetaneo e amico dagli anni dell’asilo, che si trasferiva per sempre a Pianello, vicino Perugia. Assenze che si sovrapponevano alle assenze. Alcune son state colmate da una consuetudine di vita mai interrotta. Quella di Rocco è stata incolmabile. Ogni volta che salgo le scale del Santuario accarezzo quella ringhiera, massiccia e pur non grossolana, disegnata da don Vincenzo e realizzata, insieme ai portoni della Cripta e della sala dei confessionali proprio nell’officina di Rocco Cipollone. È naturale pensare a lui facendo quelle scale e aprendo quelle porte. È il mio modo di ricordarlo com’era, com’è rimasto nel mio cuore.

Buona Domenica.