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La letterina del sabato 28 gennaio

Categoria: Notizie
Pubblicato Sabato, 28 Gennaio 2017 15:44
Scritto da Maurizio
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Care Amiche e Cari Amici,

ieri si è celebrata la Giornata della Memoria, istituita dall’ONU per ricordare l’Olocausto. Ogni celebrazione, anche se è solo virtuale e non si manifesta in convegni, pubblicazioni o eventi particolari, ha un significato se vuole indicare qualcosa per il futuro. Se è un ripiegarsi nella commiserazione postuma, comincia rapidamente a perdere valore e poi si perde definitivamente. La Giornata della Memoria non deve certo indicarci solo che non si deve più ripetere un Olocausto. Tra le altre cose importanti deve farci riflettere su quello che potremo trovare dietro la scelta dell’uomo forte, del risolutore unico delle crisi, osannato momentaneamente dalla folla pronta poi a gettarlo via dopo averlo mal sopportato.

 

Ci sono problemi gravi, molto gravi, lo sappiamo tutti. La risposta più facile è quella che ci presenta il populismo con i suoi volti del momento. Ma, come diceva un sarto-filosofo, il nonno di Ciriaco De Mita, "Se una cosa complessa ti sembra facile vuol dire che non hai capito". La demagogia sa muovere le masse, le utilizza per fini di pochi, non per il bene delle persone che compongono quelle masse, usate come forza per scardinare o rovesciare quel che c’è per far comandare l’uomo forte, “l’uomo della provvidenza”, l’uomo che apparirà come liberatore e poi penserà ai pochi opprimendo i molti.

In questa settimana nella quale quel che è successo è stato messo in secondo piano e senza alcuna luce dal mesto rintocco del dramma di Rigopiano e poi dallo schianto dell’elicottero sul Gran Sasso, c’è un altro evento che ha richiamato la memoria a sollecitare pensieri attenti. Ne ha ricordato la vicenda lo studente che ha parlato giovedì scorso, durante l’inaugurazione dell’anno accademico della Università “G. d’Annunzio”. 

Nel gennaio del 1969, il 19 se non vado errato (morì qualche giorno dopo in ospedale), uno studente universitario, un ragazzo di vent’anni, Jan Palach, decise di darsi fuoco per protestare contro il regime che opprimeva il suo Paese, l’allora Cecoslovacchia, stretta nell’area di influenza sovietica e martoriata dai carri armati russi la primavera precedente. Ricordo la notizia, data dall’inviato del Telegiornale, credo fosse già Demetrio Volcic, e vista nella grotta del Bar dello Sport, il vecchio “Admiral” in bianco e nero che era stato il primo apparecchio tv di Miglianico quindici anni prima. 

Non sono i fatti dell’epoca che ora interessano, ma il messaggio lasciato da quel giovane e indimenticato studente. Era la richiesta di libertà, un valore fondamentale della cui enorme e ineliminabile importanza spesso ci dimentichiamo perché, in fondo, la libertà ce l’abbiamo. La libertà, dicevano con un facile esempio gli oratori della mia DC negli anni Settanta dal balcone di zio Ercolino, è come l’aria. Non ti accorgi di quanto si importante, vitale, fin quando non viene a mancarti perché te la tolgono. 

Jan Palach ha dimostrato in modo eroico che i giovani sanno sperare, sanno credere in ideali puri, alti, nobili, umanissimi e senza tempo. Ecco perché è ancora vivissimo il richiamo a quel martire di mezzo secolo fa. Non dobbiamo aspettare che i nostri giovani arrivino a gesti estremi, eroici in questo caso, disperati quando le strade del loro futuro si chiudono. Dobbiamo avere la serenità di lasciar loro spazio per disegnare e costruire quel futuro. Dobbiamo avere la pazienza di accompagnarli senza dettare il passo del cammino fatto insieme; di consigliarli senza dar loro ordini; di sostenerli senza far mancare loro le critiche positive; di applaudirli senza illuderli di esser già bravi. Ci diranno che avremmo dovuto lasciar loro un mondo migliore. Non giustifichiamoci scaricando colpe su chi c’era prima di noi. Diciamo però la verità, scomoda ma necessaria: il denaro ci ha mangiato l’anima, il cuore e la mente. Il profitto è diventato un dio, un padrone che non ha misericordia. Il godimento egoistico del superfluo ci ha chiuso gli occhi e ci ha tappato le orecchie, sicché non vediamo gli altri che stanno peggio e non ascoltiamo gli altri quando chiedono aiuto, soprattutto i poveri. Quegli altri per noi sono “il resto”, qualcosa che ci dà fastidio. Conta solo quel che ci interessa. Noi non sapremo farlo, forse più semplicemente non avremo il tempo di farlo, ma dobbiamo spingere i giovani a rivoltare questo modo di pensare facendo tornare il denaro quello che deve essere, cioè uno strumento e facendo tornare il profitto una opportunità capace di generare bene comune, non il fine assoluto. 

Quando poi qualcosa ci scuote capiamo - dovremmo capire - che non è la natura a farci del male. Il terremoto non uccide, le case fatte male uccidono. Le nevicate non uccidono. Uccidono la faciloneria, la prosopopea di sentirsi più forti del maltempo perché si ha una “quattro per quattro” o, peggio, la brama di non rinunciare ad un altro euro guadagnato, l’indifferenza pigra e sciattona, vile e ladra di chi deve programmare, finanziare, vigilare, operare nella prevenzione. Queste cose dell’uomo egoista uccidono. Dopo è sempre tardi. Attrezziamoci ad esser pronti prima a trattare la Natura col rispetto che si deve alla Madre, con l’Amore che si ha verso la Madre, operando con la cura che si ha verso i Figli. 

 

 Le opere e i giorni. 

La stampa locale non sempre ci porta solo brutte notizie. Tra tante vicende cariche di dolore e colorate di tristezza. Miglianico in questi giorni, ha avuto spazi positivi sui quotidiani, sui periodici e, immagino, anche sui social. L’impegno volitivo, intelligente, tenace e fattivo dei nostri giovani amministratori è stato raccontato dai media, che hanno segnalato quanto di buono si stava facendo dalle nostre parti in un momento di vera emergenza. Ne ho avuto prova anche dai colleghi di lavoro al ritorno in ufficio che mi hanno segnalato di aver saputo che a Miglianico si era fatto tanto e anche in tempi brevi. Alcuni, che abitano in altre realtà, più grandi e più piccole, hanno manifestato invidia. È stata una bella soddisfazione poter rispondere a chi mi ha detto "Siete fortunati ad avere un Sindaco così": "Non è fortuna. Siamo stati bravi a sceglierlo".

Altre notizie positive le ho lette su “La Torre”, periodico diretto egregiamente dall’Amico e Collega, Davide Acerra, e realizzato graficamente dall’Amico Alessandro Pagano. Si tratta del piano delle opere pubbliche che l’Amministrazione comunale ha annunciato di voler realizzare in questo anno. Tra le altre, mi piace segnalare la realizzazione di un marciapiede lungo la strada che attraversa Contrada Piane San Pantaleone. Senza accampare il merito di aver segnalato e suggerito quell’opera ma con la soddisfazione si averlo fatto su questo spazio di libertà in tempi non sospetti (clicca qui per rileggere l'articolo del dicembre 2014), saluto con vera gioia questa notizia e spero che questa realizzazione conceda finalmente sicurezza e dignità di abitato urbano ai Concittadini di quella zona e, al contempo, evidenzi la civiltà di questa nostra Cittadina nell’avere attenzione per questi problemi come per gli altri. 

Devo, però, coerentemente insistere affinché l’opera sia completa con la realizzazione di dossi lungo la strada, capaci di rallentarne la velocità di percorrenza che resterebbe un evidente pericolo attenuato ma non eliminato dai marciapiedi. Dicono che la Provincia non autorizzerebbe questi interventi. Dico che essi vanno comunicati e realizzati. Poi, se la Provincia riterrà che siano fuori luogo, proverà casomai a rimuoverli. E voglio vedere come farà senza soldi e mezzi. E dopo ancora, voglio vedere come giustificherà il fatto che altro non può farlo ma la rimozione di cose buone sì. 

Ci saranno anche i marciapiedi lungo via San Giacomo, tra le opere dell’anno corrente. Bene! Sono anni che attendiamo di veder sistemati quelli esistenti, che sono ormai solo ostacoli al passaggio dei pedoni, sotto ogni soglia di misura in termini di sicurezza e di possibilità di passaggio. Era Sindaco l’Amico Nicola Mincone quando fatto un primo progetto. Nicola Mincone divenne poi Consigliere Provinciale e lo è stato per altri nove anni con il dr. Dino De Marco, sindaco e medico con un ambulatorio il cui accesso è ostacolato più che servito da marciapiede e albero di contorno: il progetto non è stato mai realizzato.

Il cambiamento che Nicola e Dino non hanno voluto vedere perché non lo hanno capito, ora lo vedranno: uno ogni volta che andrà alle sue riunioni anti-sindaco e l’altro, ogni istante di ogni giorno, davanti a casa sua.

Sono buone notizie, o no? 

Buona Domenica.