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“Gli ultimi giorni della Città di Sauria”, di Camillo Fabbucci

Categoria: Il dimenticatoio
Pubblicato Mercoledì, 02 Novembre 2016 11:35
Scritto da Maurizio
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Premessa.

Ho già raccontato la storia d’amore dei due protagonisti, Diomede Valignani e la bella Rosalba dei Comneno, che generò la nascita di Miglianico (clicca qui per rileggerla) e, collegata ad essa, la storia dell’accoglienza che la fece crescere e diventare borgo abitato e attivo. Nel narrare ciò e nello spiegare che si tratta di quanto appartiene alla nostra tradizione orale, che ha un riferimento nella figura di Mastre Camille Fabbucce, poeta calzolaio, vice-podestà, appassionato di lettura e di storia locale, anticipai l’intenzione di pubblicare un poemetto che lo stesso scrisse sugli ultimi giorni di Sauria. Questo è il nome della cittadina che si trovava all’incirca laddove il ponte autostradale si va ad appoggiare sui colli del versante Ortonese e che fu saccheggiata e distrutta nel corso delle incursioni turche verificatesi a metà del quindicesimo secolo.

 


“Gli ultimi giorni della città di Sauria”, è ambientato appunto a Sauria, non è altro che il racconto di una giovane dama di compagnia della Principessa Gilda. Il periodo storico è quello delle feroci invasioni turche a metà del XV secolo. La trama della vicenda vede alcuni personaggi degni di nota: Manlio, l’eroe guerriero, figlio del Principe di Sauria, della stirpe dei Bocca D’Oro, che tenterà un’eroica quanto sfortunata sortita contro il volere della fidanzata Gilda. Gilda appunto, figlia del Marchese di Biancofiore, che impazzirà dal dolore per l’annuncio della morte del fidanzato. Giorgio, capitano dei guerrieri del castello di Diomede Valignani, venuti in soccorso di Sauria. Sergio, il poeta di corte, che canta con mirabili versi l’amore e la guerra del suo popolo.


Il poemetto, composto di un prologo e tre atti, quindi scritto anche per esser recitato, lo trascrissi personalmente a macchina dal quaderno che Mario Fabucci, figlio del citato mastro Camillo, portò a Papà per procedere alla dattiloscrittura di quanto vi era stato vergato a penna dal nostro poeta-calzolaio. Papà, infatti, mi aveva chiamato appositamente e mi passò subito l’incarico che accettai immediatamente, di buon grado e con non poca emozione, non solo per filiale devozione ma anche per la grande curiosità personale di conoscere dalla fonte almeno uno dei racconti che avevo tante volte ascoltato proprio da Papà. Purtroppo in quel tardo pomeriggio di fine anni ‘70, fatta la prima trascrizione del solo poemetto, il quaderno non mi fu lasciato. Restò solo l’impegno che presi e mantengo ancora di essere sempre a disposizione per completare il lavoro. Occorrerebbe sempre recuperare quel quaderno e gli altri documenti scritti da Mastre Camille, che immagino siano ancora da qualche parte a casa di suo Figlio e che, forse, contengono notizie, storie, leggende e altri riferimenti utili a darci qualche elemento in più sul passato recente e meno recente della nostra Miglianico.

 

Precisazioni

La premessa era necessaria. Ancor di più lo è qualche precisazione che va considerata prima di leggere i pochi versi che seguono. Durante le vacanze di Natale del 1979 decidemmo di far qualcosa di diverso e di impegnativo rispetto al solo vederci per giocare a carte o uscire a zonzo. Lo stimolo venne soprattutto dalle ragazze. «Facciamo un recital, un teatro, scritto da noi per parlare di noi, dei Miglianichesi e di Miglianico» questo è stato il tema sviluppato ed accolto (a parole) in quei giorni. Comunque partimmo e decidemmo di utilizzare il poemetto che avevo nel cassetto per dar corpo a “Miglianico allo specchio - un po’ di storia un po’ di realtà”, il recital che effettivamente scrivemmo, provammo e mettemmo in scena nella Cripta, il 13 e il 25 aprile del 1980. Ci chiamammo Gruppo di ideazione teatrale “Il Guitto Ripugnato”. In quel frangente, cioè per poter utilizzare quei versi, dovetti sistemare qualcosa per procedere alla divisione delle parti e alla proposizione di frasi che meglio consentissero lo sviluppo della recitazione. Sinceramente non ricordo tutte le piccole modifiche apportate allora, che però tali erano e che non hanno affatto alterato il testo nella sua sostanza sia poetica sia metrica sia lessicale. 

Per ulteriore completezza di informazione metterò al termine del testo anche due riferimenti che sono per me un ricordo bellissimo: personaggi e interpreti di quella recitazione e anche i riferimenti delle basi musicali usate che, come sarà evidente ai più, sono frutto del poco che si aveva e non della capacità di inventiva di chi lavorò all’allestimento di quello spettacolo. 


Ultime due notazioni devo fare, le più importanti. 

Le foto che raccontano quel momento per noi indimenticabile (anch’esse frutto del poco che c’era) le scattò e me le donò il mio Amico, Angelo Orsini, grande amico, grande lavoratore e grande sportivo (suo è forse il miglior tempo di un Concittadino sui 18 km della Miglianico Tour). Ora lui è in Cielo ma la memoria grata resta.     

Quel recital del 1980 conteneva due novità di cui forse pochi hanno memoria: lo spettacolo finiva con tutti noi, attrici, attori, suggeritori, tecnici, regista e aiutanti a vario titolo, schierati sull’attenti mentre veniva diffuso l’Inno di Mameli, l’inno nazionale. In Italia questo rito nazionale dichiamo che non era frequente, anzi, non si faceva mai. Ciampi arrivò molto tempo dopo con la sua operazione di rilancio dei simboli nazionali. Noi un po’ prima.

La raccolta di offerte nelle due sere di rappresentazione e, poi, la vendita di carta da macero, raccolta in quei mesi di prove e di incontri, fu destinata all’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro). Anche questo non era stato mai fatto a Miglianico. Eppure il cancro - come non si osava neppure chiamare allora il tumore - ci aveva già portato via un paio di Papà e, in seguito, non intese lasciarci tranquilli. 

 

Un piccolo invito per una buona lettura  

Volevamo dar seguito a quella recita. Eventi più grandi di noi allora ci travolsero per un poco e il progetto svanì. Pochi anni fa ho pubblicato la stampa del recital, in edizione limitata per le Amiche e gli Amici di quell’avventura bellissima e indimenticata. Come ho ricordato loro, anche oggi chiedo a chi leggerà questo poemetto, che a noi ha fatto vivere una primavera straordinaria, di far qualcosa per la lotta contro i tumori; che sia anche una piccola offerta, casomai al reparto di Oncologia di Chieti, la nostra Oncologia, o che sia solo una preghiera o che sia anche solo un incoraggiamento, una sola parola di sostegno a chi vive momenti di tormento e paura per sé o per una persona cara, ma che qualcosa sia. Così varrà l’augurio di buona lettura che chiude questa precisazione 

Noi, incoscienti e un poco goliardici, riuniti nel “Guitto Ripugnato” lo abbiamo fatto allora e abbiamo fatto una cosa bella. Ora e in ogni altro giorno sarà bello per ciascuno dei nostri lettori fare una carezza all’umanità che soffre.   

Per leggere l'intero poemetto con le didascalie di scena, basta cliccare qui.