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Nonno Guglielmo

Categoria: Il dimenticatoio
Pubblicato Martedì, 06 Ottobre 2015 14:15
Scritto da Maurizio
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La mattina del 6 ottobre 1965, un mercoledì di bel tempo autunnale, era in pratica il quarto giorno di scuola della mia seconda elementare. Ero al mio posto a fianco alla mia compagna di banco, Maria Antonietta, e la la Signora Maestra, Lucia, stava facendo la sua lezione. Entrò Elsina, una delle nostre amate Bidelle - l’altra era Maria - e, guardando me, disse alla Signora Maestra che sarebbe venuta a prendermi lei alla fine della giornata. Quando, all’una, suonò la campanella trovai sulla porta della Scuola Elementare anche mio fratello Guglielmo e venimmo accompagnati dalla signora Elsina, lungo quel viale acciottolato che saliva da via Martiri Zannolli, a casa del Nonno Raffaele. Nessuno mi disse perché, anche se una certa malcelata mestizia era strana lì a ora di pranzo. Tutto mi fu più chiaro poco dopo, quando la zia Letizia ci accompagnò a casa. Il bar era chiuso e c’era tanta gente.

 

Salite le scale ho trovato Mamma, seduta davanti alla porta della cucina, vestita di nero che piangeva, ricordo ancora l’odore di quella maglietta e le sue lacrime mentre mi abbracciava. La porta della sala, col suo bel pavimento di marmo verde era aperta e c’era il mio lettino nuovo e sopra Nonno Guglielmo, morto. Non sapevo cos’era la morte, non l’avevo mai vista così vicino, fisicamente e nell’affetto familiare più diretto. Rimasi impietrito, la Nonna piangeva e parlava col Nonno “eri un principe…”, piangeva la zia Teresa. C’era lo zio Ercolino che svettava sugli altri, la Zia Dalia, lo Zio Peppino, amatissimo dal Nonno, e tutti quelli che vedevo e riconoscevo. Non piansi allora, non piansi durante il funerale austero con catafalco nero, lungo di corone nella strada, fermato per il discorso del sindaco, il barone Valignani, con quelli della quinta elementare che, guidati dal maestro Cesidio D’Amato scendevano le scale ancora di cemento della Chiesa, con la ringhiera fatta di tavole grezze da cantiere. Non piansi ma provai dolore, un dolore che mi accompagnò per molti giorni, soprattutto per molte notti. Un ricordo vivo che oggi compie cinquant’anni.
Perdere un Nonno, perdere tutti e quattro i Nonni è un dolore diverso da altri che non tutti hanno potuto provare o proveranno, perché a volte i Nonni se ne sono andati via prima o perché vivono lontani e non è come quando ci vivi insieme.
Nonno Guglielmo è stato il primo ed è stato perciò ancora più unico di quel che era. La notte del 5 ottobre, come ogni notte quando andavo a dormire dopo aver visto la tv, ero saltato sulle sue gambe per la buonanotte e gli avevo chiesto ancora se mi lasciava l’orologio che tanto mi piaceva. Me lo promise ancora, con quel sorriso dolce che conquistava. Fu l’ultimo abbraccio. Mi resta l’orologio oltre a tante immagini e piccoli aneddoti.
Ma non è di un Nonno che oggi voglio segnalare il cinquantesimo anniversario della scomparsa. Ma è quel Guglielmo Adezio che fu personaggio non secondario in quel periodo. Nel primo dopoguerra aveva accolto nel bar le prime riunioni, ad una almeno delle quali partecipò l’onorevole Peppino Spataro, e lì nacque la Democrazia Cristiana di Miglianico. Morì che era vice-sindaco da quasi un anno. Non sono scaramantico, ma questo evento mi ha fatto accuratamente e tenacemente tenere alla larga da ogni tentazione di candidatura comunale. L’ultima foto ufficiale, o una delle ultime, se così si può dire è quella che lo ritrae con la fascia tricolore e Lanciano dove andò in occasione della consegna della Medaglia d’oro alla Città martirizzata dai nazi-fascisti. Con lui si riconoscono l’allora segretario comunale e i nostri due Vigili (le Guardie Comunali) gli indimenticabili Peppino Capuràle e Ciccillo, al secolo Giuseppe Martinicchio e Francesco Proietto. Nonno Guglielmo mi portò una sera dell’autunno 1964, nonostante Nonna Assunta lo rimproverasse - “addò le pùrte ssù cìtele a che st’ore!” - a sentire un comizio del barone Valignani, il mio ingresso in politica, ma non si spinse sotto il balcone di Palazzo Mariani. Eppure, seppi dopo, era candidato. E fu molto votato, si piazzò secondo dopo il Barone insieme ad un altro amico. Si fermò vicino alla porta di “Teresùcce”, che poi era la sua casa d’origine, e “Teresùcce” era sua Mamma, la Bisnonna Teresa, morta un anno prima a novantatre anni. A fine comizio ci fu “movimento”. Ero piccolo ma mi sembrò chiaramente una poco amichevole zuffa, proprio davanti alla porta della caserma, altro che i talk-show finti di oggi. Il Nonno mi disse che era normale e tornammo a casa. Del resto anche nel bar le discussioni accese non duravano molto, la soluzione fisica non era infrequente. Un altro giorno mi portò, sempre tenendomi per mano (lo fanno ancora i Nonni!), lui chino a destra io steso con la sinistra, perché il Nonno era alto, sul Colle, dove il piazzale era stato da poco realizzato, cioè abbozzato perché si trattava solo di uno sbancamento (per quell’opera ci fu quella che credo sia stata la prima denuncia contro un sindaco a Miglianico, così lessi su un ritaglio di giornale dell’epoca). Nonno Guglielmo guardava intorno ed era come se stesse immaginando qualcosa. Mi spiegò che là volevano farci la colonia estiva per i bambini perché l’aria era buona. Forse non era una buona idea, comunque la colonia per i bambini non s’è fatta. Ma da allora ho sentito solo progetti meno concreti e non ho visto fare nulla o solo cose che son state pressoché inutili.


Nonno Guglielmo fu per i Miglianichesi l’uomo della televisione.
Andò a Pescara, nell’inverno tra il 1955 e il ’56 a ordinare il televisore. Impegnò una cifra notevolissima, che non ebbe mai il coraggio di confessare alla Nonna, 300 o 320 mila lire di allora, se non ricordo male quel che m’ha raccontato poi Papà. Quell’apparecchio, un “Admiral”, arrivò poco dopo, in tempo per la nascita di mio Fratello Guglielmino, il primo nipote. Per poter vedere la tv dovette impiantare sul terrazzo un traliccio telescopico con tanto di manovella capace di cogliere il segnale scavalcando il Colle che si frapponeva alle antenne di San Silvestro. La televisione fu un evento epocale anche a Miglianico, come in tutta Italia. In un bar divenne subito il luogo dell’aggregazione mediatica del tempo. E anche luogo di scherzi e confronti. E la televisione fu la più grande ma non l’unica novità. Comprò il primo mangiadischi, un Philips, elettrico non ancora a pile, che aveva bisogno d’esser collegato alle casse della radio per ascoltare i 45 giri, la prima macchina a pozzo per fare il gelato che promosse con uno slogan “da Guglielmone gelati al pistacchio e al limone”, il biliardo, le macchinette per prendere gli oggetti e ogni altro tipo di novità che il boom economico faceva arrivare da queste parti.
Nonno Guglielmo amava le feste, organizzò i veglioni danzanti nell’edificio dove per anni c’è stato poi l’Ufficio Postale, costruito per farne un cinema tanto da essere stato realizzato con il pavimento in discesa. Quando poteva, si organizzava con gli amici, mastre Pasquàle Cavallo, Giggìno Aurora, Roccucce di Cipullone, Tumassòne (Tommaso Biasone) ed altri per andare a Lanciano, a Ortona, e in ogni posto dove ci fosse una festa, tornando sempre con qualcosa. Forse per questa sua propensione alle feste e all’allegria amava anche gli scherzi.
Di scherzi, m’hanno raccontato anni dopo, Nonno Guglielmo era inventore o comunque un “facilitatore”. Il più bello, comunque io meglio organizzato, fu probabilmente quello di aver fatto vincere ad un amico vicino di casa una colossale vincita alla Sisal (non c’era ancora il Totocalcio). Fu sostituita in tasca al malcapitato la schedina che gli era stata fatta giocare. Fu poi orchestrando l’ascolto del notiziario radiofonico, che, in realtà, veniva diffuso da dietro la tenda davanti alla quale stava la radio che si trovava in fondo alla grotta. Alla radio era stato collegato un microfono affidato ad un giovane e brillante professionista capace di parlare in italiano senza inflessioni che lo avrebbero smascherato. Lo scherzo fu perfetto, nonostante un momento di panico. Il possessore del “fortunato tagliando”, non si capacitava del dodici secco appena lettogli dal vicino di sedia (il caso, eh?!) che era andato “casualmente” a riscontrare quella schedina risultato dopo risultato. Allora ci fu un unicum storico. La voce dietro la tenda della grotta del Bar dello Sport, aveva ascoltato e rafforzò la comunicazione con un “Ripeto”, rileggendo poi quella schedina. Nella comunicazione ci fu un che di troppo. Lo speaker nostrano annunciò il nome dell’unico vincitore di quel dodici. Incredulo, lo stesso vincitore obiettò come mai alla radio avessero detto il suo nome se lui non lo aveva scritto dietro la schedina. La risposta fu pronta ed efficacissima: “La radio sa tutto”. E lo scherzo riuscì. Ci fu festa. E a quel vicino di casa volarono belle scorte di prosciutto e vino. Ma poi nessuno ebbe il coraggio di dirgli che si era trattato di uno scherzo o, forse, si decise di portare la celia fino in fondo, spedendo il malcapitato a Pescara per scoprire lì l’amara verità.
Avrei potuto farmi raccontare questi e altri aneddoti dal Nonno Guglielmo se quella mattina del 6 ottobre non si fosse arreso ad un infarto, un accidente che oggi probabilmente avrebbe superato con un piccolo ricovero.
Mi rimasero le ultime tavolette - ritagli di legno - che riportavo a casa come fossero giochi unici dalla falegnameria di mastro pasqualino Ciambella dove il Nonno mi portava per seguire quotidianamente i lavori di questo o quello scaffale. Mi rimase il ricordo di quelle consultazioni divertenti con Mario o Faustino, chiamati per ritinteggiare i locali del Bar, mentre si provava a miscelare i colori Max Meyer, boccette di colore che, come dicevano a un certo punto, “nne je fa né và né vì”. Il Nonno concludeva con un filosofico “fa nu pisilline”, rimettendo di fatto la scelta a Zia Teresa e Nonna Assunta.
Mi rimase e mi resta il ricordo di un Nonno simpatico, sempre sorridente e cordiale, quello che mi metteva la puntina di peperoncino nella pasta e fagioli che non volevo mangiare o mi faceva assaggiare il vino e gazzosa che andava a preparare prima di ogni pasto, di un Nonno che faceva il nonno in un modo tale che, forse lui non lo poteva immaginare, ma mi sarebbe rimasto nel cuore per tutti questi cinquant’anni.