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Appunti per una piccola storia locale. Ventiseiesima puntata

Categoria: Il dimenticatoio
Pubblicato Domenica, 05 Luglio 2015 15:48
Scritto da Maurizio
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Il comizio del dott. Mario Amicone fu ovviamente utilizzato da “Progetto Miglianico” per alzare la polemica e trarne un qualche vantaggio. La linea adottata si basò su due pretesti e un solo caposaldo. I pretesti furono: a) Amicone non aveva titolo per intervenire nella campagna elettorale, b) Amicone andava additato come uno che aveva guadagnato e guadagnava soldi con la politica. Per questo aspetto la sua era la condizione di molti altri che erano sostenitori di “Progetto Miglianico”, ma, in tempo di antipolitica, tutte faceva brodo. Il caposaldo fu che con la vittoria annunciata di “Viva Miglianico Viva”, avrebbe continuato a comandare il vecchio gruppo e soprattutto Amicone, che Lorenzo Antonelli definì “puparo”, additando i suoi amici come quelli della fantomatica “cupola”, dimenticando che il dr. Dino De Marco vi aveva operato da vice-sindaco e da sindaco per ben quindici anni. Ma, in fondo, isolata la difesa del Papà, l’Amico Remo Firmani, da parte della figliola candidata, la dolce Simonetta, non venne argomentata alcuna obiezione sostanziale al discorso.

 

Ci fu, questo si, la lamentazione fatta da quell’ineguagliato artista del lamento-politico, che è stato il dr. Dino De Marco, amplificata dalla proiezione delle parole col loro significato da vocabolario, che erano state usate dal dott. Amicone per censurare e qualificare lo stesso comportamento del dr. De Marco: “bugiardo”, “vigliacco”, etc. Nessuno scontro, nessun attacco diretto alla candidata-sindaco e poca altra roba. Qualcosa in più su alcuni candidati. Una difesa preventiva usò ancora Lorenzo Antonelli, furbo, ma ancor più fortunato in questa tattica perché nessuno poi affondò su di lui.
La posizione dell’altra lista, “Alleati per Miglianico”, non fu distratta da quella che era la sua linea di attacco a una sola delle liste concorrenti, in particolare ai due candidati, l’avv. Carlo Biasone e l’ing. Pino Timperio, per presunti affari nella lottizzazione del Golf, con l’equilibrismo politico di attaccare “Viva Miglianico Viva” e il dott. Amicone, quasi come se questi non fosse esponente del Pdl, senza nominare Nicola Mincone, che del Pdl era candidato alle Provinciali.
Ma il problema era un altro: la partita era ancora e doveva esser tutta nelle mani di “Viva Miglianico Viva”. L’occasione messa in campo proprio dall’intervento pubblico del dott. Amicone era da cogliere e non da isolare, quasi da scartare. Lo suggeriva apertamente l’interesse elettorale, lo richiedeva la logica del confronto, lo imponeva il rapporto con lo stesso dott. Amicone di quasi tutti i candidati e sostenitori di “Viva Miglianico Viva” e soprattutto di Nicola Mincone. Cosa occorreva fare? Sfruttando la polemica sprezzante che si sapeva sarebbe stata alzata in risposta a quel comizio proprio nell’ultima serata era naturale attaccare duramente e, facendo ciò, difendere il ruolo di Amicone. Questo andava fatto per due ordini di motivi. Innanzitutto andava fatto nella fase contingente, perché non confermare e non valorizzare quel ruolo di servizio e di guida comportava il rischio - che era concreto, fu concretizzato di fatto - di esser delegittimati come candidati in quanto senza patria e senza casa. L’altro ordine di motivi riguardava il ruolo storico avuto dal dott. Amicone nelle vicende politiche e amministrative (e non solo) degli ultimi cinque lustri. Si doveva richiamare allo spirito di squadra chi era stato tentato di allontanarsi da essa, si doveva smascherare chi aveva cambiato per convenienza e non per convinzione, si doveva evitare che troppe anguille sguazzassero nelle acque di quella campagna elettorale increspate ad arte dal movimento a tenaglia di sinistra e destra o finte tali.
In ogni caso non si possono lasciare colpi in magazzino quando si è alla battaglia finale né si può concedere alla presunta opportunità del momento la dismissione di rapporti importanti che superano la convenienza elettorale, qualora anche essa fosse pressante. Se uno deve cadere deve farlo senza inginocchiarsi o voltare le spalle al nemico, ma affrontandolo apertamente e a testa alta. E colpendolo, civilmente, ma con tutto quel che si ha nel bagaglio della dialettica. Tra l’altro, non sarebbe stato affatto difficile al cospetto di siffatti avversari.
Ma non fu fatto.
Ho già ricordato che una scossa di energia la diedero l’amico Gianleo D’Ercole che riuscì a toccare più d’un nervo scoperto e, con più veemenza ma con troppo poco tempo a disposizione, l’amico Federico Anzellotti, che qualcuno dei nostri avrà anche giudicato “antipatico” ma che ha saputo suonarle agli avversari di un lato e dell’altro della tenaglia locale.
Pretendere una difesa a tutto campo di Mario Amicone e della nostra storia di gruppo da parte della candidata-sindaco significava davvero pretendere troppo. Per scelta e per connaturazione non poteva lei riassumere storia e valori della nostra realtà politico-amministrativa locale. Non poteva reggere alcun confronto dialettico di quel livello perché certe cose non si inventano né si vendono negli ipermercati. Purtuttavia avrebbe dovuto provare a farlo, non sarebbe stato impossibile ergersi a difesa di Amicone e di quel gruppo al quale, in apertura della battaglia elettorale, aveva proclamato di aver dato sempre il suo voto e il suo sostegno. Avrebbe potuto decidere di farlo e, come prima, avrebbe avuto più d’uno pronto ad aiutarla nello stendere il testo del discorso. Se lo avesse fatto, anche alla bell’e meglio, avrebbe colto l’occasione, inattesa e perciò stesso eccezionale, di imporsi come personaggio politico locale, come capo di una lista e dei suoi sostenitori. Ma la candidata-sindaco era nata politicamente nella bambagia. Non lo fece.
Gli amici Carlo Biasone e Pino Timperio, forti delle proprie ragioni morali come amministratori uscenti, forse non furono adeguatamente consigliati sul fatto che la difesa in campagna elettorale non paga né furono evidentemente stimolati a dire altro. Dedicarono i loro interventi alla difesa dalle accuse subite, una difesa solida ma che come cifra propagandistica risultò essere inconsistente, perché aveva il torto di esser così minuziosa nei dettagli e tecnica nell’esposizione da non poter appassionare se non i più vicini e i pochi competenti in materia non schierati preventivamente.
Ma, in fondo, sarebbe toccato forse anche a loro, ma non proprio a loro difendere e rilanciare con la massima decisione sulla polemica nata per il comizio di Mario Amicone.
Più che a loro sarebbe toccato anche a me farlo. Ma non potevo. Non mi fu concesso già dal secondo comizio, di tenere il filo del discorso avviato per spirito di gruppo e di servizio alla causa della lista in apertura di campagna elettorale. Lo avrei fatto sicurissimamente, senza calcoli e senza concordare nulla con nessuno se non, al limite, con lo stesso Amicone. Forse sarebbe andata ancor peggio? O meglio? In ogni caso sarebbe stato senza rimpianti.
Ma non toccò a me quel compito.
Sarebbe infatti toccato, toccava a Nicola Mincone arrabbiarsi, difendere, anzi no, lodare Mario Amicone e la sua stagione politico-amministrativa. Lui avrebbe dovuto dedicare tutto il tempo del suo intervento a quel Mario Amicone che lo aveva recuperato da due sconfitte, lo aveva spinto, promuovendolo e imponendolo prima come vice-sindaco, poi come sindaco, poi come consigliere provinciale, poi ancora come candidato alle regionali e ancora come consigliere provinciale. Sarebbe toccato a Nicola Mincone sbugiardare e smascherare il gioco del dr. Dino De Marco e bastonare gli ex-amici passati a destra. Sarebbe toccato a Nicola Mincone mettere tutto il peso necessario per richiamare certi amici a una lealtà coraggiosa e non alla pelosa solidarietà di quelle ore, anticamera del voltafaccia elettorale. Certo, avrebbe rischiato qualche voto, forse dieci, forse cento, come candidato alla Provincia o ne avrebbe guadagnato dieci o cento. Comunque sarebbe stato una ben misero calcolo rispetto al valore assoluto della battaglia che andava combattuta.
Invece Nicola Mincone parlò del Giro d’Italia. Da uno spunto che gli avevo dato di citare la deviazione della tappa abruzzese della corsa rosa nel territorio di Miglianico definendolo come il miglior spot turistico per la nostra Cittadina, lui fece tutto il comizio mettendoci un po’ di golf e qualche altra moina oratoria.
Nessuno difese Mario Amicone alla chiusura della campagna elettorale.
Non pochi tra i nostri Concittadini furono così autorizzati a pensare che ci eravamo vergognati di esser amici di Mario Amicone; che lo avevamo abbandonato alle accuse subite senza concedere neanche a lui la possibilità di replicare; che era finito. E poi abbiamo autorizzato a pensare i soliti sapientoni (e c’è chi, non proprio sapiente in questa materia, lo ha detto apertamente senza avere il men che minimo moto di vergogna) che la sconfitta era colpa di quel comizio, che era colpa di Mario Amicone. Così dicendo si enucleavano coloro che o non avevano votato per “Viva Miglianico Viva” o, in seguito, erano man mano passati con il dr. Dino De Marco e la sua scolorante squadra, avviandosi alla vera sconfitta che li attenderà poi al varco della storia.
Nonostante questa chiusura di campagna elettorale, riconoscibile perché è stata, forse, la prima della nostra storia nella quale non s’è sentito un certo carattere, ero convinto che la vittoria sarebbe arrivata. Quando la maestra Emilia (la candidata-sindaco) mi chiese cosa prevedevo, le spiegai che non avevo mai fatto previsioni perché i voti vanno contati dopo, ma che avevo e conservavo la convinzione che avremmo vinto largamente (150 voti dissi come ordine di grandezza) o perso altrettanto largamente. Non avevo analizzato il dettaglio. Non toccava a me farlo (né fare altro) e chi lo fece non me ne mise evidentemente a parte, tranne Mario Amicone, il quale nel pomeriggio del sabato mi confidò che stava facendo un giro personale di verifica su alcuni casi che gli sembravano, cioè gli avevano riferito, essere stranamente, inaspettatamente complicati.
Se avessi avuto sentore del pareggio avrei dedicato anch’io quel sabato a verificare alcuni consensi personalissimi, che quella volta, la prima dopo tanti anni e tante battaglie, non sollecitai.
I risultati sono storia. In democrazia i risultati legittimi si accettano. Non si discutono. Però si analizzano.
Fortunatamente o sfortunatamente (non so dirlo) non ho potuto partecipare alle riunioni nelle quali lo si sarebbe dovuto fare per la parte di “Viva Miglianico Viva”. Ma, per quel che ne so, non fu fatto neanche in quelle occasioni. In quelle due serate di fine primavera ci furono, stando al racconto, pur reticente per il motivo che segue di alcuni amici presenti, due elementi importanti.
Il primo, quello che spinse quegli amici alla cauta reticenza, fu il giudizio sommario che vide me come il solo colpevole o comunque il più colpevole. Nei mesi successivi anche persone carissime, con sorrisini di complice intesa, mi chiesero seriamente di confermare una ipotesi assurda, più che fantasiosa, ma che fu fatta circolare: “Dai, ora lo puoi ammettere che hai orchestrato tutto tu per far fuori gli altri e che hai votato pure per Dino”. In quelle sere la condanna, senza che ci fosse nessuno a difendermi, neanche un avvocato d’ufficio da commedia all’italiana, fu riassunta nel giudizio spietato che il dott. Amicone avrebbe espresso su di me in mia assenza e, forse, proprio equivocando sulla mia assenza che invece era stata annunciata con ben giustificati e validi motivi (“se lo avessi ascoltato dovresti sputargli in faccia ogni volta che lo incontri” esagerò un amico che non conosceva e non conosce ancora i linguaggi della politica e che conosceva ancor meno sia il carattere del dott. Amicone sia i nostri rapporti). Con Mario Amicone, nelle settimane successive, ebbi modo di chiarire con tutta la reciproca franchezza, con il necessario approfondimento del caso e con ogni sorta di dettaglio, come accade quando due Amici vanno a recuperare tutti i pezzetti delle cose che il tempo non ha fatto mai approfondire o che ciascuno aveva dato per assodate o insignificanti rispetto ad altre incombenti o più importanti. La nostra analisi sulle vicende e sulle persone è giunta alle stesse conclusioni.
L’altro elemento che mi sarebbe piaciuto ascoltare, ma che non ci fu allora, fu l’analisi del voto fatta della candidata-sindaco che, non pochi mesi dopo, pare abbia spiegato ad altri la sconfitta come causata dai “vecchi”, senza aver messo in conto alcuna sua responsabilità né aver analizzato alcunché. Il prosieguo delle vicende locali confermò questa visione della realtà, strampalata per un verso, ingenerosa per un altro verso, sbagliata nella sua totalità.
Raccolta ogni voce, letti i risultati senza la fatica di quei primi giorni, aperta la coscienza a una valutazione senza nascondimenti di convenienza elaborai la mia personale analisi di quei risultati leggendone cause remote, motivi recenti, ombre più o meno lunghe del passato e luci sul futuro.

(26-continua)