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Appunti per una piccola storia locale. Venticinquesima puntata

Categoria: Il dimenticatoio
Pubblicato Venerdì, 03 Luglio 2015 22:18
Scritto da Maurizio
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“Cos’hai deciso di dire?” fu pressappoco questa la domanda che misi sul tavolo, dopo i rapidissimi convenevoli di rito e l’immancabile caffè girato e rigirato energicamente dal dott. Amicone che protestava con me per il messaggio diffuso dall’auto che, secondo lui, non era andato bene. Gli spiegai che quel messaggio era stato confezionato da altri, che la voce registrata era quella di altro amico (di Pino Timperio o di Nicola Mincone che se n’era direttamente occupato, se non ricordo male ora) e che neanche lo avevo ascoltato perché ero stato fuori Miglianico.
Tornai a insistere non solo nel presentare i casi di alcuni candidati che nutrivano legittime aspirazioni ma soprattutto per far si che, prima della fine della campagna elettorale, la nostra candidata-sindaco potesse annunciare la composizione della giunta comunale. Il dott. Amicone mi gelò. Non solo era contrario al metodo e alla linea di propaganda che insistevo a proporre, ma mi spiegò che “avevano pensato a una soluzione“ che definirei “extra-ordinem”. La cosa, molto tempo dopo, mi fu confermata direttamente, senza che ne avessi chiesto conto, dall’amico Peppe Di Giovanni, che, devo ritenere, fosse tra quelli che “avevano pensato” a questa soluzione.

 

In breve e senza preamboli come sempre, il dott. Amicone mi comunicò: “Il vice-sindaco lo farà Nando Di Clerico e tu farai l’assessore esterno”. “Stai scherzando?! – replicai - Non so cosa vorrà fare Nando, ma io non ci penso nemmeno”. Gli dissi che fare l’assessore esterno era (è) una delle cose più lontane dai miei pensieri, sennò avrei chiesto di fare il candidato in lista e non solo quella volta. Gli dissi che non avrei accettato mai, a meno che non fosse diventato indispensabile e che me lo avessero chiesto, per motivi davvero gravissimi, i candidati della lista tutti insieme, il che non sarebbe mai accaduto, visto che tutti, chi più e chi meno, aspiravano legittimamente a fare l’assessore. “Che faccio, loro si candidano e io mi siedo?! Non ci pensare proprio. Comunque - chiusi - non lo dire in giro che sennò combini un guaio”.
La cosa mi soprese a tal punto, tanto mi apparve incredibile, che non pensai a due opposti aspetti di quello sconcertante annuncio, commettendo così un piccolo errore. Da un lato non colsi l’aspetto beffardo della scelta fatta in mia assenza e sulla mia testa: ero impresentabile come candidato e diventavo indispensabile come assessore?! Forse perché non capivo io, ma mi sembrava una vera pazzia. Dall’altro lato non colsi l’aspetto potenzialmente positivo, che pure c’era: se fosse stata davvero concordata, come chiedevo io, e poi anche annunciata quella soluzione all’interno del nuovo assetto amministrativo, avremmo potuto cogliere anche qualche frutto positivo, perché, a fronte delle negatività già in campo, attribuite all’amico Nando Di Clerico per il suo non insistere nel fare il candidato sindaco e alle tante addossate a me per tutti gli aspetti possibili e immaginabili, ci sarebbero state le innegabili possibilità di chiedere voti a titolo personale in forza del ruolo annunciato. Rispetto a quelli che certamente avrebbe conseguito l’amico Nando Di Clerico come prossimo vice-sindaco, molto più limitatamente avrei ottenuto quei pochi voti che parenti e scelti amici non avrebbero potuto negarmi dopo anni di lamentazioni, perché “Tante a te nen te fanne fa mai niènte! Ti sfruttano soltanto” come ebbe a sintetizzare sibillinamente l’indimenticabile zio Alpino mentre si aprivano i seggi elettorali.
Comunque, tornando alla trama della stretta narrazione, questo scioccante annuncio e la mia replica durarono, in tutto, letteralmente un minuto di orologio. Amicone infatti non insistette né chiarì altro.
C’era da penare al comizio che era annunciato da lì a meno di tre ore.
La prima cosa da decidere era la scaletta della serata. A me sembrava che la scelta più adatta fosse quella di far aprire a Nicola Mincone, che, come candidato del Pdl alla Provincia era quello che aveva più titolo a parlare in una manifestazione di quel partito. Avrebbe poi dovuto (o potuto se avesse partecipato) dare un saluto la candidata-sindaco. Il dott. Amicone avrebbe poi concluso, utilizzando così tutto il tempo disponibile. Lui propose di far parlare brevemente (non sarebbe mai stato altrimenti vista la particolare predisposizione oratoria) la candidata-sindaco al termine. Obiettai che dopo un intervento quale quello che lui annunciava di voler fare, chiunque a Miglianico, fatte le pochissime eccezioni, avesse parlato dopo di lui avrebbe faticato a far una degna figura. Insistette, non potevo spingermi oltre per una cosa che riguardava il Pdl. Alla fine si incasellò così l’unico vero errore di quella serata. È stata una piccola follia l’aver esposto una figura silenziosa e certamente non raggiante di entusiasmo all’attenzione di chi la stava per giudicare degna di guidare il Comune. Ma sarebbe passata come trascurabile se, come l’intera manifestazione, non fosse poi stata trasformata e fatta leggere come problema.
Il dott. Amicone mi presentò tutta una serie di idee e di spunti, tutti interessanti e tutti così tanti e complessi quanto a necessità di chiara illustrazione da richiedere uno di quei comizi da due ore che, almeno in questo secolo, credo nessuno abbia mai tenuto a Miglianico.
Era evidente che avrebbe dovuto spiegare il perché del suo intervento, a partire dalla sua posizione personale, senza dimenticare il ruolo specifico ricoperto nella non breve e non facile fase di allestimento della lista di “Viva Miglianico Viva”. Avrebbe dovuto, quindi, mettere tutta l’autorevolezza che aveva nello spiegare la vicenda del voltafaccia del dr. Dino De Marco, certificando così la narrazione fatta sia da me sia da altri sulla vicenda, e, solo dopo, avrebbe dovuto inanellare tutte le altre cose. Ma ne restavano comunque tante, troppe. L’eventualità di affastellare una serie di considerazioni senza dar maggior spazio ad alcune, significava rischiare un appiattimento dei toni e, quindi, un effetto limitatissimo delle cose più importanti.
Valutammo tante opzioni e discutemmo su non pochi spunti.
Il tempo stringeva e neppure immaginavamo la tensione (già raccontata) che avremmo poi trovato in piazza; un elemento che aggiunse nervosismo quando proprio non serviva.
Senza scrivere un testo completo, come normalmente si deve fare per un comizio di un certo genere, il dott. Amicone appuntò tutte le cose che sembravano importanti mente le andavamo analizzando in quella chiacchierata.
Gli chiesi espressamente e ripetutamente di fare una cosa, quella che pensavo allora - e penso ancora oggi - fosse il messaggio più efficace, comunque il più importante che lui potesse dare, sorprendendo e quindi incidendo positivamente in quella fase.
Secondo me puoi parlare di quel che ti pare, tanto conta che tu dica con chi stai e perché e, soprattutto, perché Dino sta dall’altra parte, coi nemici di sempre. Poi aggiustalo come ti viene, andrà comunque bene. Ma - aggiunsi e insistetti - devi dire questo, cioè devi dire solo due cose. Devi dire come ha fatto Dino a fare il medico a Miglianico e , soprattutto, come ha fatto a fare il sindaco. Poi devi dire che sai che tanti amici si sono lamentati e si lamentano, da anni, delle vicende che riguardano l’ufficio tecnico comunale; che abbiano ragione oppure no, ora non importa, perché sono loro che votano. Accontentali. Di’ a tutti che ci sono stati errori, che sono stati i tuoi errori, che non c’è il tempo di spiegarli nel dettaglio ma che ti assumi le tue responsabilità e che hai sbagliato a insistere su Dino sindaco nel 2004. Chiedi scusa a tutti per questi errori e per quello che non è andato bene. Ma poi spiega che, proprio sapendo di questi errori, inevitabili in tanti anni di attività, hai capito che bisogna cambiare. E ti sei impegnato per creare un gruppo nuovo, con un sindaco completamente nuovo, che ti sei impegnarsi per attuare un cambiamento vero, quello che tutti gli amici ti hanno chiesto come ultima fase della tua attività politica. Secondo me - conclusi insistendo - basta questo”.
Una volta sola il dott. Mario Amicone, dopo aver concordato certe cose (allora scrivendole per esteso), poi non le disse: fu durante un comizio ella Festa dell’Amicizia del 1981. Da allora accadde malauguratamente un’altra volta, proprio quella sera. Quando scese in piazza dopo il comizio, era ovviamente più scarico. Gli chiesi “Perché non hai detto quello che t’avevo chiesto?” Con un sorriso sincero e un gesto di stizza per la dimenticanza che mostrava sincera mentre gliela presentavo mi rispose “Me le so’ scurdate!”. Non ricordo se lo mandai a qual paese o se l’ho solo pensato.
S’era dimenticato anche altro, non tanto delle cose analizzate qualche ora prima, ma delle vicende che avrebbe potuto e dovuto spiegare cogliendo l’umore della piazza. Ad esempio, si limitò a rimproverare l’amico Pierfilippo Di Tondo, che lo interruppe ineducatamente durante il comizio, senza approfittare di quell’accidente inatteso ma propizio per bastonare chi aveva alimentato e sosteneva (in parte fingevano con buona arte) la lista “Alleati per Miglianico”, senza denunciare, con la forza di cui era capace, la strana alleanza, la manovra a tenaglia che stavano attuando sinistri e destri in modo quantomeno innaturale, pur se con una comune giustificazione.
Più che un comizio sbagliato fu la sera delle cose dimenticate o sfuggite. Ma non fu quello lo spartiacque della campagna elettorale. Offrì buoni spunti polemici alla lista di “Progetto Miglianico”, confuse qualche amico, facendolo restare pericolosamente indeciso, non sferzò troppo i nemici né scosse quindi più di tanto gli Amici. Ma, nel bene e nel male, non comportò chissà quali effetti.
Furono altri, per dolo o per colpa, a renderlo il pretesto della sconfitta di “Viva Miglianico Viva”.
C’erano ancora due giorni di comizi. Pensai che si potesse recuperare facilmente. Ma quella sera, la riunione post-comizio fu drammatica e alle cose suggerite fino ad allora e non accolte, si aggiunse l’impossibilità di poter contribuire nel proporre elementi utili per la comunicazione elettorale.
Avendo ricevuto tutta una serie di rimproveri da parte dello stesso dott. Amicone per le questioni che son state narrate in precedenza, all’accusa-sfogo “è meglio Dino” rimasi silenzioso dovendo scegliere in pochi secondi tra due possibilità.
Potevo animare un confronto, cioè litigare con il dott. Amicone, chiarendo tutto quel che c’era da chiarire sulle vicende di quella serata, dalla scelta di fare il comizio, di come farlo e di come era stato effettivamente svolto con le dimenticanze e le mute presenze di quel balcone. Avrei chiarito con lui in modo molto vivace ma comunque in non molto tempo, giungendo ad una soluzione condivisa. Ma avrei, avremmo sconcertato e disanimato non poco chi a queste cose non era abituato, cioè almeno metà dei candidati e delle persone presenti. E sicuramente almeno un candidato si sarebbe ritirato dalla campagna elettorale: un danno grave, enorme. A tre giorni dalle elezioni litigare così non sarebbe stato consigliabile, o forse sì. Comunque, nei quattro/cinque secondi della mia riflessione e decisione, non lo feci.
Potevo invece alzarmi e andarmene, non per “mortificarlo col silenzio”, come si dice dalle nostre parti, ma per togliermi da quella situazione nella quale, se fossi rimasto, sarei stato protagonista di un battibecco non proprio allegro e gioviale.
Mi alzai e salutai, uscendo e allontanandomi rapidamente per tornare a casa e per evitare di essere richiamato. Avrei potuto farlo anche camminando a passo funebre perché nessuno lo fece. Potevano finalmente fare a meno di me.
Non pensai neppure, in quel mentre né nella notte che seguì, che poteva avverarsi il vero errore, quello che rivestì quel comizio e quella sera di una gravità decisiva.
Ero e continuavo ad essere convinto che la battaglia sarebbe stata vinta.

(25-continua)