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Impianti e rimpianti. La Filanda di novant’anni fa

Due piccole foto, allegate alla “Relazione statistica sull’andamento economico durante il 1928 del Consiglio dell’Economia di Chieti” e tratte dal volume “Storia della Camera di Commercio di Chieti dal 1863”, presentano a chi non ha potuto averne conoscenza, come la maggior parte dei Concittadini viventi, lo scenario di quello che era uno dei quattro lati della nostra piazza, bella al punto che in una canzone dell’epoca fu definita “na sale pe’ bballà”, cioè lo Stabilimento Bacologico G. Foppa e Pedretti di Miglianico”.

Per la prima volta mi è capitato di vedere una foto dell’attività interna a quella che era la “Filanda”.

 

Si tratta dell’”Esame microscopico del seme-bachi”. Appare subito, anche al più distratto degli osservatori, che l’operazione, attuata con strumenti niente affatto rurali, è affidata a sole donne. Non ci sono camici bianchi e cuffiette ma si vede una caratteristica della loro compostezza esteriore, ormai praticamente scomparsa anche dalla nostra quotidianità: i capelli ordinati e raccolti dentro quello che noi chiamavamo “lu fazzole”. 

Altro elemento esteriore che si nota è che, mentre compare un’automobile, un mezzo di discrete dimensioni, non una macchinuccia, certamente senza alcun problema di parcheggio, essendo probabilmente se non l’unica, una delle pochissime a viaggiare in quell’epoca a Miglianico, non c’è praticamente nulla che faccia riferimento all’energia elettrica: luci, cavi, macchinari o altro. 

Siamo a meno di un secolo fa, mancano tredici anni per compierlo a far conto da quella data, ma certe differenze appaiono molto più grandi di quelle che forse normalmente immaginiamo, perché pensiamo al secolo scorso più come agli anni ’50 e ’60 che a quel periodo che va tra le due guerre mondiali.

La prima riflessione è che, casualmente, come spesso accade, ci troviamo davanti a una testimonianza di una fetta di storia che, forse, alcuni possono ancora raccontare ma che nessuno ha scritto. 

Non sarà un capitolo di rilevanza planetaria, ma è la nostra storia. 

Non ho mai letto pagine che raccontino di questa realtà produttiva che pure ha coinvolto non poche famiglie di Miglianico, visto che, oltre alle donne in fabbrica, c’erano i contadini che portavano i rami di gelso a ruotare attorno alla Filanda. Ma c’era anche il Palazzo dei Foppa e Pedretti (fino a ieri avrei detto Foppapederetti) che troneggiava nell’allora nuovissima Piazza e che era sede di uffici oltre che di abitazione di buona borghesia. Il ramo di questa Famiglia, che non è quello dei mobilieri oggi ben conosciuti anche per la bella immagine pubblicitaria dei loro prodotti, pare sia ridotto a poco o nulla come discendenza numerica, certamente il settore della seta non è più un suo marchio conosciuto. 

Val la pena di rammentare che, con riferimento alla seta e alla sua produzione e lavorazione, esiste un’altra Miglianico. Si trova nei luoghi della seta, in Lombardia, è una ridente frazione del Comune di Valgreghentino. Feci questa scoperta a seguito di una sorta di disavventura, poiché nel 1991, trovai la citazione di Miglianico come località della Lombardia su un’autorevole rivista (Airone, se non falla la memoria). Utilizzando il ruolo di Responsabile dell’Ufficio Stampa della Provincia, inviai un fax alla direzione della rivista che era più una protesta che una richiesta di chiarimenti. Ricevetti dopo poco un lungo fax con mappa militare, indicazioni varie e tutti i riferimenti che attestavano (e facevano scoprire non solo a me) l’esistenza di un’altra Miglianico. Beh, si copiano le cose belle o importanti (Venezia, Firenze, Orleans, York) senza fare esempi per centri viciniori…   

Insomma la carenza di storiografia emerge ogni volta che facciamo piccole o grandi scoperte su Miglianico.    

Però, la riflessione più importante è che la Filanda, la più grande attività manifatturiera di Miglianico del primo novecento, la più avanzata tecnologicamente, forse la più famosa, certamente quella che aveva apporti di capitali e di management del nord Italia, era tutta al femminile. Il lavoro delle donne non era un tabù, segno che la nostra società locale non era tanto arretrata, benché non fosse ovviamente un sobborgo della Ville Lumiere. 

In occasione della Festa della Donna di quest’anno segnalavo l’opportunità di procedere ad una ricognizione della toponomastica cittadina che ancora è priva di intitolazioni al femminile, non avendo strade e piazze che ricordino Madonne, Sante, Donne della storia, delle arti, della politica o dello spettacolo. Tra le proposte lanciate (clicca qui per rileggere l'articolo) c’era appunto quella di intitolare alle “Operaie della Filanda”, in questa o in altra definizione più attinente se ve ne fosse nella tradizione locale, la piazzetta che attualmente occupa il sedime di quello stabilimento, che fu gravemente danneggiato dai bombardamenti del 1943 e poi abbattuto negli  anni ’60 del secolo scorso per realizzare la nuova Scuola Media con antistante mercato coperto, sovrastato dalla citata piazzetta. È stata l’opera pubblica locale che ha avuto il maggior numero di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria: fu ripavimentata a macchia quando era coperta a mattonelle di gress rosso, asfaltata e riasfaltata anche di azzurro nel decennio della Sinistra Unita al Comune (1975/1985) riallestita negli anni successivi (Sindaco Nicola Mincone, curatore l’arch. Nando Di Clerico) a mattoncini rossi e lastre di travertino bianco sia per la pavimentazione sia per il muretto della balconate. Mentre sotto il mercato coperto, che tale fu forse solo per poche settimane, perché i nostri contadini si rifiutarono subito di andarvi a vender le loro fresche mercanzie, divenne garage comunale, rimessa, poi sala civica adattata, poi sala civica ristrutturata, poi ancora sala civica ristrutturata (l’umidità l’ha sempre offesa) e ora sala civica antisismica e ristrutturata (ma dove non si può più cucinare mentre prima lo si faceva fare, anche se non era costata tanto) con spesa di denaro pubblico ancora non conosciuta, dato per molto probabile che le cifre annunciate dall’ex-sindaco all’atto della sua “inaugurazione”  siano state aggiustate o che fossero allora “incomplete”. 

La piazzetta è anche lievitata, non solo nei costi pagati rispetto a quelli preventivati e annunciati, ma è letteralmente cresciuta di livello, facendo perdere al palco in legno la posizione di preminenza che aveva all’atto della sua realizzazione e costringendo addirittura a riempire il ponte che la collega alla scuola e anche l’anti-atrio della Scuola Media. 

Sembra una maledizione, ma è soltanto faciloneria, diciamo così, in certi interventi; una mancanza di visione a lungo termine delle opere pubbliche una generica o specifica incapacità ad amministrare la cosa pubblica.  

E la maledizione sembra che non finisca qui: il ponte più che lievitare doveva essere un non ponte o chissà, un ponte levatoio. Forse, dovrà essere qualcosa del genere tra poco. Staremo a vedere.  

Chissà che, intitolando la piazzetta al lavoro femminile delle Miglianichesi e la Sala Civica a padre Giovanni Palombaro, la maledizione finisca e con essa cessi questo gorgo che inghiotte denaro pubblico da cinquant’anni.

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