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Gioco di Ferragosto n. 2

La seconda puntata del nostro gioco è anch’essa di facile soluzione.

La foto è del 1970.

Un aiutino forse ci vuole e lo diamo volentieri, così qualcosa di quel’avventura che è rimasta in questa sola immagine potrà esser raccontata a quanti la ignorano completamente.

 

Il Calcio a Miglianico, fino ad allora, non aveva a mai conosciuto esperienze riservate ai più piccoli. Il Campo Sportivo - che era anche campo boario - era meno vietato di quanto lo sia ora alle attività estemporanee, cioè alle partitelle improvvisate, ma solo poiché era accessibile dai non pochi “passaggi” esistenti nella rete di recinzione. Però squadre per i più piccoli non c’erano, non c’erano scuola calcio, campionati per categorie riservate, tornei e nient’altro.

Ci fu chi non accettò lo stato di cose. E non protestò. L’era della protesta caratteristica della beat generation e dei giovani ye-ye era già nata ma stava allora appena diffondendosi nelle università e nelle città. Da noi sarebbe arrivata ma non avrebbe toccato così subito gli adolescenti.

Gli adolescenti, per capirci, quelli che allora frequentavano la prima o la seconda Media, come al solito, si dovevano semplicemente arrangiare: fantasia e buona volontà erano le uniche risorse disponibili. Soldi? Niente. Strutture pubbliche? Strade, larghi, vicoli e, se era libero, il campo in terra battuta, erba e spine sulle fasce. Sponsor? La parola non era ancora nel vocabolario corrente! Ma fantasia e buona volontà abbondavano.

Per metter su una squadra di calcio, ci vogliono undici giocatori: uno un porta e dieci in mezzo al campo distribuiti secondo criteri e schemi oggi comprensibili solo se si ritrova una “stele di rosetta” del calcio. I giocatori non erano un problema ce n’erano e anche forti. Avere un pallone di cuoio era un problema non facile da risolvere. Avere una divisa era un enorme problema.

Per far nascere la squadra dei “Pulcini” di Miglianico, i promotori che sono rintracciabili nella foto, fecero ricorso a quel che c’era: le figurine della “Panini di Modena”. A quel tempo, raccogliere figurine per completare l’album era un’impresa, che nessuno poteva compiere da solo a Miglianico. Quel gruppetto si concentrava su quello che teneva in custodia Alvaro Di Federico e che aspettava gli altri per attaccare le figurine nuove nelle apposite caselle con le “celline” il primo biadesivo conosciuto. Raccogliere le “VALIDE”, cioè le figurine della serie che avevano scritto dietro la mitica parola e lo specchietto dei premi che si sarebbero potuti avere spedendone il numero prescritto alla casa madre, apparve essere l’unico sistema per avere undici magliette tutte uguali.


Per il pallone di cuoio quello che c’era, uno di quantità, era un ormai vecchio “numero 4” che Vincenzino Adezio aveva regalato due/tre anni prima a suo figlio Maurizio comprandolo a Pescara a “Dolci sport”, e che compariva e scompariva a seconda dell’umore della Nonna di Maurizio, Za’ Ssundine. Comunque era vecchio e non era un “numero 5”.

Le “VALIDE” non sarebbero bastate per due imprese. Le magliette ne richiedevano centinaia, tantissime. Per il pallone si racimolarono soldini a pezzi da dieci e venti lire (10£ e 20£) e si arrivò alle milletrecento lire (1.300£) necessarie.


Intanto, raccolte e conservate come diamanti, le singole figurine, vennero contate e ricontate, impacchettate e spedite alla “Edizioni Panini Modena” per avere dieci magliette blu con bordi e scritta gialla, e una maglietta gialla con bordi e scritta blu destinata al portiere.

Le Poste allora erano uno dei cardini del lento ma funzionante Stato unitario. Appunto, con calma ma inesorabilmente le magliette arrivarono. Vennero accolte e il pacchetto venne aperto come contenesse una reliquia. E venne fuori da lì una sorpresa che lasciò interdetti quei trepidanti ragazzini. Le magliette, a manica lunga, non avevano il numero stampato dietro! Disegnarli, i numeri, non era possibile, comunque era inaccettabile. Fu la disponibilità della signora Maria, moglie dell’indimenticato Remo Ferrara (Reme di ‘Mburije”) a rendere possibile il ritaglio a forbice di una pezza gialla capace di garantire le dodici cifre per le maglie blu e il più semplice ritaglio di una pezza blu per la cifra del portiere. Le cifre la signora Maria e cucì in uno dei rarissimi momenti in cui le magliette uscirono dalla sorveglianza cui erano sottoposte.

Il miracolo era compiuto.

Nel mentre, scritti a macchina su cartoncini da disegno ritagliati a mano, erano stati realizzati i tesserini dei giocatori con la firma di uno del gruppo come “presidente” e di quello che fu l’allenatore della squadra dei “Pulcini di Miglianico”, il mitico “Timosse”, al secolo Tino Anzideo, giovame di bottega dal maestro barbiere Giovannino Ciampella, ragazzo più grande di qualche anno rispetto ai “Pulcini”, libero del Miglianico, già patentato, capace di generosità e pazienza già allora caratteristici di quello che poi è stato ed è l’uomo.

La squadra doveva giocare. Si potevano organizzare incontri ovviamente fuori da calendari e federazioni. Così fu. La rete possibile era quella dell’Azione Cattolica e ancor più degli amici e parenti sparsi nei paesi limitrofi.

La prima partita venne giocata fuori casa, a Villamagna, raggiunta con la “Fiat 500” bianca del Papà di Tino Anzideo che ne portava 6/7, con qualche motorino e una bicicletta. Si giocò su un campo decisamente malmesso, con ampi solchi scavati da ruote di camion nel fango poi solidificatosi: far correre la palla lì significava arrivare sul fondo senza poter saltare l’avversario o tornare indietro a “giocarla”, come si fa nel calcio moderno. Insomma si era fuori casa. Ma la partita fu vinta per 3 a 1.

Lo stesso risultato la squadra conseguì sul campo di San Vincenzo a Vacri, contro una squadra che aveva ragazzi validi, uno dei quali è poi arrivato alla serie A.

Col Villamagna ci fu il ritorno a Miglianico e fu ancora vittoria.

Con i ragazzi di Vacri non fu possibile.

Quando le partite erano quasi finite, la squadra dei Pulcini ebbe un primo oggetto, un segno, accolto come un piccolo trionfo (anche se è rimasto poi inutilizzato) che venne visto come l’orgoglio di avere già dei tifosi fuori Miglianico, addirittura a Milano! Edmondo Terenzio, zio del “nostro” Roberto Terenzio”, che viveva e lavorava a Milano presso una importante casa editrice nazionale, e che, ogni anno, come il resto dei Terenzio, tornava qui dove aveva le origini e dove c’era ancora vivo il Papà Francesco, Cumpa’ Cicche”, portò tre tabelloni in cartoncino pesante che aveva stampato in quella tipografia milanese. Avevano la stessa scritta, due con inchiostro nero e uno con inchiostro oro: “Viva la Squadra dei Pulcini di Miglianico”.

Le partite, va detto per chi non immagina quanto tempo sia passato aldilà del calendario, iniziavano senza formalità, perché non c’erano spogliatoi da cui uscire e si arrivava al campo praticamente già pronti alla bisogna con scarpe che oggi nessuno userebbe mai neanche per andare all’orto. Le docce non c’erano e il dopopartita era senza interviste e altre formalità. Tutto estremamente semplice, come lo sport.

Ma fu una bellissima stagione.

Quella squadra fu poi coccolata da “Lollocce”, al secolo il cavalier Elvio Sciarra, e costituì l’ossatura degli “Allievi” e poi di una fortissima “Under 18” che, finalmente, il Miglianico ebbe come squadra all’interno della Società Sportiva, anch’essa senza soldi, senza strutture e senza sponsor, la “Società Sportiva Miglianico” che può esser ricordata come quella dei “tre Peppino”: Peppino Firmani di Uizzarde, Presidente, Peppino Mancinelli, detto “Mapone”, segretario, e Peppino Cupido “di sante vite”. A loro si aggiungevano altri dirigenti e sostenitori che, in realtà, erano gli amici che frequentavano la bottega di barbiere di “Mapone” in via Roma (dove adesso c’è la rivendita di pane: il ragionier Aberto Ricciuti, Vincenzino Adezio, Ermanno Anzellotti, Livio Marinucci, Santino Cataldo e tanti altri che c’erano e che cominciavano ad esserci, come Nicola Mincone, ma senza avere ruoli. Così si usava allora, quando il calcio, come organizzazione era un po’, un bel po’ diverso da quello di oggi. Il calcio giocato, invece, era, allora come oggi, una passione, il sogno di correre dietro a un pallone per far gol: la molla che spinse un gruppetto di ragazzini a metter su la “Squadra dei Pulcini di Miglianico”, con monetine da 10£ per un pallone e raccogliendo figurine.

p.s.: Il regolamento per la partecipazione e per i premi è visionabile nel testo della prima puntata.

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