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Pochi numeri e tante notizie in una pagina di cinquantatré anni fa

Categoria: Il dimenticatoio
Pubblicato Martedì, 05 Agosto 2014 09:58
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Lo squillo era uguale per tutti i trentasei apparecchi, era uguale a quello che ora occorre cercare nel lungo elenco delle suonerie per poterlo riascoltare. Gli apparecchi erano uguali o quasi, l’alternativa vera era tra apparecchio da parete e apparecchio da tavolo, neri, di bachelite, dalla ghiera pesante da far girare, ma con meno numeri da comporre per chiamare.

È la Miglianico dei telefoni di cinquantatré anni fa.

La racconta, con tanti particolare che ai più giovani non diranno nulla, la pagina dell’elenco telefonico TIMO del 1961/1962.

 

La TIMO (Telefoni Italia Medio Oriente SA) era la società che allora, dal 1923, gestiva la rete telefonica di quello che era la più vasta delle zone d’Italia date in concessione dal primo governo Mussolini, che comprendeva, infatti, Emilia, Marche, Umbria, Abruzzo e Molise. La “TIMO SA”, che poi non ebbe il successo aziendale che i suoi fondatori avevano previsto, venne acquistata nel 1926 dalla SIP e nel 1933 passò sotto il controllo IRI-STET. Si sciolse nel 1964 con la fusione nazionale in SIP.

Miglianico, nei primissimi anni ’60 del secolo scorso, era servita dunque da soli trentasei telefoni, quanti ora ne hanno un paio di famiglie messe insieme se si sommano i telefonini che spesso ciascuno dei loro componenti hanno. Non c’erano ancora le cabine telefoniche negli spazi pubblici, che arriveranno dieci/quindici anni dopo. Il divario è abissale.

È inconcepibile per chi non ha vissuto quegli anni e quelli immediatamente successivi, pensare a quanto fosse diverso il modo di usare il telefono. Ad esempio, avere una comunicazione interurbana era un esercizio essenzialmente di pazienza. Contatti internazionali non ce n’erano. L’estero, in un cero senso, cominciava già con un altro prefisso. Ma il prefisso non lo si doveva comporre, come si fa oggi, anche per le telefonate urbane. E i numeri da comporre facendo girare la poco sensibile ghiera erano solo cinque.

Lo specchietto che si trova in testa alla pagina dell’elenco ricorda queste e altre cose ormai dimenticate e ne anticipa altre che ci sono ancora come il 116 del “Soccorso ACI”.

La considerazione forse più interessante che può esser fatta ad una prima lettura di questa paginetta ormai non più giovanile è che la concentrazione degli apparecchi è tutta nel centro abitato: ci sono poi quattro apparecchi a Montupoli, ben tre nel solo crocevia delle Quattro Strade e un solo apparecchio a Cerreto. Nessuno alle Piane e nessuno nelle altre contrade del territorio comunale. Lo stesso centro abitato era più piccolo perché l’apparecchio di Collemarino oggi sarebbe via Papa Giovanni. Questo è anche il disegno del tessuto socio-economico di quei primi anni nei queli anche da noi si cominciava ad avvertire il “boom economico”.

Il sindaco del tempo, il barone Arnaldo Valignani, aveva l’apparecchio telefonico nella casa di Montupoli.

E compare già l’azienda del dott. ing. Filippo Masci, che aveva acquistato il rudere del Castello e ne stava completando la riedificazione. Ci sono poi cognomi e attività che oggi non ci sono più ma che tanto hanno significato per Miglianico.

C’è il tuffo al cuore che si prova leggendo “Neri Ave Bortoli, ostetrica condotta”, la “Mammina” che ci ha fatto nascere.

C’è un Rosa Pio in via Martiri Zannolli, l’indimenticabile Zio Titino, è il 95237 di casa del nonno Raffaele. È il numero al quale, fino a tre anni fa, ha risposto a tutti, con voce squillante e sempre gioiosa, la zia Letizia.

E non per ultimo - infatti è il secondo in elenco, ma il primo se si vede la progressione dei numeri - c’è il 95210 del “Caffè dello Sport” di Adezio Guglielmo, che era il telefono pubblico, anche per quello il centro del centro di Miglianico.

Non posso dire che sembra ieri, perché il tempo passato non è davvero poco e tecnologicamente è anche tantissimo. Ma quel telefono nero, i colori vivaci dell’infanzia che scorreva allora per la mia generazione, il raro ring-ring e le non rare parole che riempivano quel bar li sento ancora dove il ricordo ha il calore che accende le più belle emozioni.