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Appunti per una piccola storia locale. Diciassettesima puntata. A caccia del nome nuovo

Categoria: Il dimenticatoio
Pubblicato Giovedì, 10 Ottobre 2013 09:37
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Ma quella notte non era ancora conclusa. Fu una lunga notte quella del 13 marzo 2009.

L’Amico Nicola Mincone, dall’angolo in fondo, dove solitamente sedeva, ascoltò quel che si andava dicendo sulle cose piccole e grandi narrate nelle due precedenti puntate. Non era intervenuto sulle comunicazioni relative alle ultime decisioni, perché quello era il compito di Mario Amicone. Aspettò anche che si presentasse il momento da lui giudicato propizio.

Prese la parola. Non dedicò tempo per tentare di difendere e neppure di recuperare l’arch. Nando Di Clerico. Né fece alcuna premessa con un riferimento all’accordo fatto con Mario Amicone quando gli fu offerta da quest’ultimo l’opzione tra il ritorno sulla poltrona di sindaco e la candidatura alla Regione, che poi di fatto scelse. E scoprì finalmente le sue carte: “A questo punto mi propongo io - disse senza alcuna motivazione a corredo - Mi ricandido io”.

 

Non ci fu neanche in questo caso né l’evviva liberatorio né un risolutivo accenno di applauso. Eppure la storia politica e amministrativa di Nicola Mincone gli avevano certamente guadagnato Amici pronti a sostenerlo sempre. In quella sala ce n’erano alcuni che avrebbero potuto sinceramente lanciare l’applauso. O avrebbero potuto subito dire, intervenire , sostenere. Ma non ci fu nulla di tutto questo. Non ci fu alcun segnale di accoglimento della “sorprendente” candidatura. Forse era troppo sorprendente? Forse non lo era affatto per certuni? Non conta.

In verità poi, nel giro dei pochi secondi che furono riempiti dalla sorpresa di molti, nessuno fece in tempo a parlare, perché l’Amico Adriano Cicchitti, che fu brillante assessore comunale con Mincone sindaco, lo stoppò subito: “Ma come ti viene in mente? Tu sei fuori dalla storia! Tu sei contro la storia”. Un brusio che a me sembrò di approvazione a quanto detto dall’Amico Adriano Cicchitti, soffocò subito quella che non era né poteva essere letta come una dichiarazione di avversione verso l’Amico Nicola Mincone. L’intervento dell’Amico Adriano Cicchitti era semplicemente la sintesi mirabile per descrivere l’obiettivo che avevamo allora in cuor nostro e che ogni buon politico deve avere nel selezionare la futura classe dirigente. Posso affermare che né prima né durante né dopo, anche molto dopo, c’è stata una sola testimonianza che la reazione dell’Amico Adriano Cicchitti fosse stata preparata o comunque suggerita da alcuno. Spontanea e sincera l’ascoltai. Spontanea e sincera è restata nella memoria.

Sconfortato, incavolato ma sempre determinato, Mario Amicone lanciò allora il definitivo ultimatum. “Io non son disposto a perder tempo così. - attaccò con decisione - Mi avete voluto come coordinatore di questo comitato elettorale e io ho accettato e vi ringrazio ancora per la vostra fiducia. Ho fatto tutto quel che potevo, non ho mancato mai un appuntamento e son stato sempre presente anche per ascoltare pochi di voi. Ma così, in queste condizioni, non son più disposto a rimanere. La prossima riunione deve essere quella che designa il candidato sindaco. Sennò io lascio e ciascuno faccia poi le valutazioni e prenda le decisioni che vorrà”.

Mario Amicone sintetizzò la situazione sottolineando che la lista era praticamente fatta. Ma che non riuscivamo a trovare il capolista! Una cosa che lui per primo giudicava incredibile e inaccettabile. "A questo punto propongo di trovare dei nomi al di fuori di questo gruppo e dei nostri soliti Amici, per un’ultima valutazione": questa fu la proposta finale di Mario Amicone. La motivò sostanzialmente con l’ipotesi che ci fossimo tutti troppo fossilizzati nel cercare dentro il nostro gruppo ristretto dedicando tutto il tempo solo demolire e, forse, non ci eravamo accorti di avere a disposizione Amici e Amiche validi e utili per questa sfida. “La mia proposta - concluse - è solo questa: ciascuno la prossima volta venga con nomi nuovi e vediamo che succede”.

La sferzata di Mario Amicone era necessaria, giusta, ineccepibile per tempistica. Era anche una provocazione positiva che sollecitava chi, con grande facilità, aveva trovato peli nell’uovo per ogni nome o aveva comunque lasciato cadere ogni possibile candidato senza difenderlo, a fare, a quel punto, le sue proposte e non di aspettarle sempre dagli altri. Una buona mossa, insomma.  Infatti fu l’ultima volta che sentimmo anche il vocio, tra la celia e il tragico, di chi diceva a ogni non-decisione del Comitato, “Oh, allora richiamiamo Dino”.

La prossima volta venne dopo qualche giorno.

Mario Amicone introdusse la riunione con poche parole, riconfermando che quella sarebbe stata la sua ultima presenza se non ci fosse stata una soluzione chiara e nessun rinvio. Quindi chiese a ciascuno dei presenti di avanzare le rispettive proposte. Il silenzio delle sfingi, il timore di alcuni di rendersi colpevoli o complici di altre condanne sommarie, la semplice indecisione di altri o la speranza di altri ancora di esser comunque incoronati all’ultimo, oltre a una legittima curiosità da parte di tutti fecero calare un non breve silenzio.

Avendo creduto a Mario Amicone e al suo ultimatum, nei giorni precedenti, insieme all’amico Donato Antonelli, avevo dedicato il tempo della passeggiata pomeridiana per pensare una qualche soluzione. Ne avevamo valutato più di una. E a uno solo dei nostri ipotizzabili candidati avevamo anche anticipato la nostra intenzione di proporre il suo nome, incrociandolo mentre andava a far visite domiciliari. A quel punto valeva la pena, se non altro per non mortificare ulteriormente Mario Amicone e chi sinceramente era stato sempre presente per dar un mano, alzai la manina, presi la parola e avanzai direttamente le proposte.

Uno, leggendo ora, sbotta e dice: ”Oh, ma sempre tu a dà parlà per primo?” Io il compitino lo avevo fatto. Gli altri o avevano portato solo le orecchie o volevano farsi pregare o si riservavano colpi a effetto. Ma tacevano, tacquero per non pochi istanti. Allora toccava ancora una volta al segretario storico rompere quel ghiaccio maledetto.

Non misi altro preambolo se non che quelle che facevo erano frutto appunto di quelle riflessioni comuni con Donato Antonelli, poiché non avevo avuto modo di parlarne con nessun altro. “Abbiamo pensato all’avv. Carlo Pier Maria De Cata (che ora certamente mi sorride bonario dal Paradiso), al dr. Enzo Di Tizio o alla sua consorte, al dr. Umberto Scotti o (fu l’ultimo nome in ordine di apparizione) alla maestra Emilia Baldassarre che è la vice-preside della scuola, come donna è conosciuta soprattutto dalle mamme, quindi dalle donne.

I primi nomi vennero cestinati rispettosissimamente ma con estrema celerità e, ovviamente, senza un minimo di discussione e approfondimento. Uno dopo l’altro furono bocciati non per la loro qualità politica, professionale o personale. La motivazione per loro fu la stessa e, ancora una volta, senza fondamento di controprova, cioè con quel “non accetterebbe mai” già usato per cancellare altri possibili candidati. Per ciascuno di essi, in forza del valore professionale, umano, sociale e anche relazionale in quanto Amici, invece, avremmo dovuto dedicare non pochi minuti e tutto il rispetto necessario a far con loro un tentativo, se non altro per evitare che anche a quegli ignari Amici giungesse poi la notizia di un giudizio da loro non richiesto ma così negativo.

Ma mentre accadde questo frettoloso strusciar di gomma su quei primi quattro nomi, in egual modo e con egual (dis)attenzione, al nome della maestra Emilia Baldassarre, Mario Amicone sobbalzò tra il sorpreso e il soddisfatto e disse subito. “A Emilia ci avevo pensato anche io”.


Qualche cretino in perfetta malafede, forse lo stesso mascalzone che fece girare la versione perfidamente falsa delle mie dichiarazioni sull’Amico arch. Nando Di Clerico, interpretò  questa reazione di Mario Amicone alla mia proposta come la recita di una scena studiata altrove. Ma il cretino in quel momento non osò illustrare la sua arguta deduzione. Amicone se lo sarebbe mangiato, certamente.  

Da quella dichiarazione all’accettazione di tutti, i pochi che parlarono, passarono pochissimi minuti. Sembrò irreale questo consenso niente affatto euforico ma comunque apparso come tale per la prima volta. Perché di consenso si trattò. Tanto che Mario Amicone, per evitare equivoci, insistette a chiedere se poteva andare a sondare la persona designata. Ci fu il via libera e si costituì la delegazione: Mario Amicone, Nicola Mincone, Nando Di Clerico, Carlo Biasone e io che ero il proponente. Amicone il dì seguente fissò giorno e ora della “visita” e ci  convocò davanti al bar “Tatasciore”, il punto d’incontro più vicino per la missione esplorativa, per andare poi da lì tutti insieme a casa della fortunata. Lo trovammo nervoso e contrariato. Ci raccontò che Nicola Mincone lo aveva già incontrato, intercettandolo al bar delle Quattro Strade, per dirgli che lui non sarebbe venuto perché non era d’accordo sulla candidatura della maestra Emilia Baldassarre.

Accantonammo il problema che non poteva che essere affrontato in un altro momento  anche perché, per buona creanza, non si fa aspettare una signora. Noi andammo. L’incontro fu tutto sommato breve ma molto cordiale. E tutto si chiuse con due notazioni: Mario Amicone chiese alla maestra Emilia Baldassarre di prendersi una necessaria pausa di riflessione per pensarci su uno o due giorni; la maestra Emilia Baldassarre, che forse ci aveva già pensato, ci disse: “Guardate, però, che io sono tosta” accompagnando il suo dire con l’eloquente gesto del pugno che sbatte nel palmo dell’altra mano. Questa autocertificazione caratteriale della maestra Emilia Baldassarre venne accolta con sorrisi di soddisfazione, quasi quel gesto rassicurasse ciascuno della buona scelta fatta. In effetti Mario Amicone e tutti noi prendemmo questa precisazione come positiva e ben augurante.

Spensierati e felici uscimmo a rivedere il bel cielo della nostra Miglianico. (17 - continua)