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Appunti per una piccola storia locale. Quindicesima puntata. Il nome buono… cinque anni dopo

Categoria: Il dimenticatoio
Pubblicato Lunedì, 07 Ottobre 2013 22:44
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Entrammo. C’era l’aria dell’attesa per il colpo finale.

“Il candidato” era presente. Prese posto in posizione centrale e attese l’annuncio. Mario Amicone, con la solita franchezza e senza offrire dettagli sull’ultima strage compita solo ventiquatt’ore prima nel suo ufficio a Chieti, annunciò: ”Abbiamo valutato la proposta del direttivo e abbiamo ritenuto (“col mio parere contrario”, interruppe Antonello Antonelli) che non era buona. Abbiamo deciso che il candidato sindaco sarà Nando Di Clerico”. (l’arch. Ferdinando Di Clerico, tecnico giovane e apprezzato, assessore all’Urbanistica con Nicola Mincone - si dimise - aveva gestito e guidato con grande spirito di sacrificio e disponibilità, la sezione del CCD Miglianichese sin dalla sua nascita, ndr.)

 

Un annuncio così, secco e autorevole, avrebbe dovuto avere una esplosione di entusiasmo, con botti di spumante e tintinnare di bicchieri. Invece ci fu un attimo di gelo. Davanti a me avevo i volti trascolorati dell’ing. Pino Timperio, del geom. Gianleo D’Ercole, del prof. Federico Anzellotti e, ovviamente, dell’avv. Carlo Biasone, incorniciati surrealmente dalle tende della vetrina del locale. Immobili, paralizzati non so da cosa, con le parole in sosta nel gargarozzo, vidi anche gli Amici che pur avrebbero dovuto, per svariati motivi che ora non è il caso di enumerare e dettagliare, far da claque per l’applauso liberatorio.

Incredibile ma vero, nessuno propose quell’applauso che avrebbe chiusa l’intera vicenda, tutta, subito e bene. Sarebbe bastato un batter di mani, di sole due mani all’inizio. A quelle si sarebbero aggiunte altre, anche se non tutte non se ne sarebbe accorto nessuno. E la storia sarebbe stata diversa. Ma l’applauso non ci fu.

Rompiscatole ma sincero come sempre, chiesi prima a Mario Amicone le motivazioni della eliminazione non di uno ma di tutti e tre i nomi proposti, proprio su nostra richiesta, da un così fedele gruppo di Amiche e Amici.

La risposta fu priva di fronzoli e ci venne data senza grosse motivazioni. Nessun approfondimento sembrò esser stato fatto. Nessuna possibilità di approfondimento veniva lasciata con una comunicazione così secca.

Il “no” alla candidatura dell’avv. Daniela Palladinetti fu motivato da Mario Amicone semplicemente con un “non accetterebbe”. Cioè, tradotto in pratica, la diretta interessata non era stata neanche interpellata ma s’era deciso che avrebbe declinato l’offerta. La sua non accettazione fu data per scontata, era un “no” presunto. 

Amicone, portavoce di quella trinità, glissò poi, dando per scontato che era già scartato, sulla bocciatura dell’avv. Carlo Biasone. Eppure era il nome più importante, quello più autorevole, quello che quella designazione esterna al Comitato, infatti, rimetteva al centro dell’attenzione di tutti noi. Era anche lo spunto per poter riprendere e ridare un senso all’impegno assunto, alla promessa fatta cinque anni prima. Insomma la scusa era tutta buona. Ma non ci furono minuti, neppure secondi messi a disposizione per una simile valutazione.

Mario Amicone, con sincerità, disse che per me non c’era storia. Tornerò su questo aspetto e sulle sue motivazioni.

L’argomento, l’oggetto della decisione da prendere a quel punto non era il percorso fatto dai nostri tre Amici il pomeriggio precedente per eliminare così sbrigativamente altri nomi, altri Amici. Bisognava semplicemente accettare o meno la proposta arrivata in quel momento. Era una minestra bella calda da mandar giù subito, prima che si freddasse.

Accantonando per un poco le riflessioni che dovevano comunque esser fatte sull’ultimo scempio e dovendo approfittare del silenzio troppo imbarazzato che riempiva progressivamente la sala come una mongolfiera, diedi subito il mio parere. Tutti s’aspettavano un commento forte, perché interessato, sulla “esecuzione sommaria” degli ultimi tre Amici. Parlai invece della sola “soluzione finale”. Ovviamente, non mi avviavo a discutere l’arch. Nando Di Clerico, l’Amico e le sue qualità, visto che anche i difetti son meno rilevanti quando si è chiamati a giudicare un vecchio amico.

Non volli ricordare, in avvio di discussione - cosa che feci dopo per precisare alcuni aspetti secondari - un fatto che pur meritava di essere riportato all’attenzione dei presenti. Il fatto era la eliminazione dell’arch. Nando Di Clerico compiuta in una stagione precedente, precisamente cinque anni prima. Egli, come accennato, aveva avuto l’indiscutibile merito d’aver gestito la difficile costruzione e la conduzione del CCD che sosteneva Mario Amicone. Inoltre aveva direttamente co-governato la stagione urbanistica comunale, con Nicola Mincone sindaco, negli anni 1994/1998. Era il naturale e annunciato candidato sindaco in vista delle elezioni del 2004. Tutti lo sapevamo. Tutti ce lo aspettavamo, allora. Ma Nicola Mincone - non seppi e non so ancora perché - giubilò l’arch. Di Clerico e gli preferì il dr. Dino De Marco.

Ricordai subito, invece, una cosa molto più  vicina nel tempo.

Raccontai agli Amici del Comitato elettorale che la indicazione secca dell’arch. Nando Di Clerico, come candidato sindaco per il 2009, mi era stata fatta esplicitamente ma alquanto riservatamente, all’angolo di via Cortile Tomei sotto una leggera pioggerellina e alla sola presenza di un sorridente Peppe Di Giovanni, dall’amico dott. arch. Antonino Di Federico. Camminavamo insieme al termine di un funerale, se non ricordo male quello del carissimo papà di Nicola Mincone, ci fermammo in piazza, davanti al bar “Wishing Well”, per salutarci, ma capii che dovevo ascoltare qualcosa di importante. Lo era. L’arch. Di Federico in quella stagione era preoccupatissimo come noi e come noi d’accordo per evitare la rielezione del dr. De Marco a sindaco. Ma fece la sua dichiarazione di favore totale e così motivò la sua proposta di candidare a sindaco l’Amico, arch. Nando Di Clerico: “Chi meglio di lui, chi più onesto di lui, chi più capace di lui può fare il sindaco?”. Né io né il sornione Peppe Di Giovanni obiettammo alcunché. Stava parlando bene di un Amico, che dovevamo dire?

In quel suo dire, sapendo bene di parlare a me come amico, l’arch. Antonino Di Federico poteva permettersi l’abbreviazione dialettica che consente di non ripetere quanto già detto senza dover dare spiegazioni per il cambio in corsa, in quanto l’amico ti capisce sempre. Dimenticava, infatti, in quel suo dire, di aver dato la stessa motivazione, in termini più diffusi, penetranti e insistenti, visto che non pioveva, per convincer un'altra persona a candidarsi come sindaco. Lo fece nel corso di una gradevolissima cena a quattro, in un noto ristorante di San Giovani Teatino, solo un annetto prima. Ma le cose cambiano. In politica certi cambiamenti avvengono con insospettata rapidità, come molti sanno. Del resto, l’aver meglio valutato un altro soggetto era cosa normale, in linea con un qualunque buon ragionamento di chi pone attenzione e passione su questioni tanto importanti.

Nel fare il mio commento al termine di quell’aneddoto, dissi soltanto questo al comitato elettorale: “Strano, normalmente è il sindaco che sceglie il redattore del piano regolatore. Non è normale il contrario, cioè che il redattore del PRG indichi il futuro sindaco”. Nulla aggiunsi a questa constatazione che non era polemica né nel contenuto né nel tono. Era l’affermazione del primato della politica, anche a livello locale, e poi puntava anche a riaffermare semplicemente il ruolo che ci eravamo dati come Comitato elettorale. Non era né poteva esser letto come un giudizio negativo su Nando Di Clerico, perché non lo avevo. Se l’avessi avuto, un giudizio negativo sull’uomo o sulle sue capacità politiche, l’avrei espresso chiaramente, poiché quella era la sede opportuna e quello era il mio dovere di lealtà. Non era neanche un giudizio negativo su chi l’aveva proposto per primo, il quale, in fondo non intendeva scavalcare nessuno confidandomi la sua preferenza così motivata. Anzi, forse voleva solo affidarmela perché ne facessi l’uso che ritenevo opportuno.

La mia, comunque, fu solo una annotazione sincera, anche per rompere quel gelo che s’era inaspettatamente creato. Non ricordo se fui io o fu uno dei presenti a dire: “Dino non aspetta altro che si candidi Nando. Dice che con lui ci va facile”. Non feci seguire a quanto detto e sopra riportato né una nuova proposta né contro-proposta alcuna.

Appunto sulla faccia tosta e sulla distratta memoria del mascalzone che lo ha fatto, che qualche ora dopo girò una artefatta versione di questa mia posizione, una maldicenza così perfidamente distorta da mettere a rischio affetti e legami solidissimi. Il mascalzone non ha avuto successo. Ma mascalzone rimane.

L’arch. Nando Di Clerico quella sera del 13 marzo 2009 commise un grave errore.

Anzi, ne commise due, uno dopo l’altro. Innanzitutto non avrebbe dovuto esser presente dall’inizio di quella riunione, perché sapeva, lui lo sapeva che si sarebbe parlato solo della sua persona. Il secondo errore consecutivo, forse ancor più grave del primo, fu che, a quel punto, avrebbe dovuto alzarsi e lasciare che, vista la non immediata esultanza di approvazione, si giudicasse quella proposta con la libertà di espressione che la sua assenza avrebbe garantito.

Rimase.

E, forse, accantonando il pistolotto che s’era preparato per ringraziare dell’investitura e infervorare i sostenitori della causa, con altrettanta sincerità controbatté e disse le sue ragioni, illustrando le sue apprezzate qualità personali, morali, politiche e professionali. Cose che nessuno contestò. Il dibattito, infatti, non fu acceso ma, presente lui, fu sconsolatamente inconcludente. Non poteva esser altrimenti.

Gli autorevoli  designatori, sorprendentemente, non insistettero sul nome dell’arch. Nando Di Clerico. Nicola Mincone avrebbe potuto farlo senza calcoli e per consistenti ragioni che andavano dalla stagione amministrativa vissuta in passato alla comune passione per il podismo fino alle tante cose fatte insieme negli anni precedenti. Ma non lo fece. Scoprimmo poco dopo il perché. Mario Amicone avrebbe potuto difendere insistentemente la sua scelta. E se lo avesse fatto l’avrebbe fatto con la consueta tenacia e con valide argomentazioni. Aveva imposto il dr. Dino De Marco. Poteva imporre l’arch. Nando Di Clerico senza neanche sbattere il barattolo sul tavolo. Non lo fece. Avrebbe potuto, lui o Mincone o chiunque volesse tagliar la testa al toro, ragionevolmente proporre una votazione, finalmente una votazione, per vedere se non altro cosa avrebbero fatto le sfingi. Eravamo in quindici, se non ricordo male. L’arch. Nando Di Clerico, ovviamente, da galantuomo qual è, non avrebbe partecipato alla votazione. Sarebbero bastati 8 voti favorevoli, anche solo 7 voti favorevoli, per ottenere un “si” definitivo: un risultato non difficile da conseguire su una proposta targata Amicone-Mincone. Ma la votazione non fu proposta e non ci fu.

L’Amico arch. Nando Di Clerico veniva così, tranquillamente cestinato, “accoppato” come gli altri. Un altro Amico sacrificato sotto l’enigmatico sorriso delle sfingi. (15 - continua)