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Appunti per una piccola storia locale. Quarta puntata. A Roma da Remo Gaspari per decidere il capolista. Una beffa e poi la vittoria del 1985:“Li nuce arijte a lu poste!”

Venne il momento di andare da Remo Gaspari. Mario Amicone non poteva che andare dal leader del partito, dal ministro, per valutare il da farsi. Il tempo fu il 17 gennaio del 1985.

Mario mi chiese di andare con lui, senza dirmi espressamente il motivo della missione ritenendolo palesemente scontato, e mi disse che sarebbe venuto con noi anche Mimmo Di Tondo, che doveva però parlare con Franco Tilli, capo della segreteria di Gaspari a Palazzo Vidoni. Chiesi a Mario se potevamo portare con noi mio cugino Corrado, che doveva rientrare, dopo la pausa natalizia, all’università di Roma dove studiava Scienze Politiche. Mario ne fu felice. Non capii il perché visti i rapporti cortesi ma non certo affettuosi con il papà di Corrado, Delmo Adezio.

Ma un perché c’era. E lo scoprii strada facendo.

 

Fino all’area di servizio di Magliano dei Marsi parlammo del più e del meno, godibilmente. Dopo la sosta per il caffè, Mario rimessosi alla guida della sua Fiat Regata e accesa l’ennesima sigaretta, chiese la nostra attenzione: "Secondo voi chi deve fare il capolista?" fu  più o meno la domanda che ci fece senza preamboli.

Fu Corrado a rispondere subito, anche lui senza preamboli, dicendo che, la sera prima, della questione ne avevano parlato nella bottega di Ughetto, allora giovanissimo coiffeur, e che la posizione comune era quella che se si fosse candidato Nicola non sarebbero andati a votare ma se si fosse candidato lui, Amicone, come novità e come garanzia di vittoria forse sarebbero andati a votare e a votare DC. Corrado della cosa non m’aveva parlato anche per oggettiva mancanza di tempo. Né m’aveva fatto intuire che sulla cosa ci fosse un interesse già così vivo in certi ambienti dove si trascorreva solitamente il tempo a parlar di cose più “intriganti” rispetto alla politica locale. Rimasi sorpreso ma ovviamente compiaciuto e mi bastò una battuta come per dire a Mario “Hai visto. Ti devi convincere”. Mimmo fu colorito e gaio come sempre ma molto deciso anche lui. Mario, forse anche soddisfatto per gli inattesi attestati di fiducia, non mostrava però sollievo. Rimase nervoso e non molto loquace fin quando non entrammo a colloquio da Gaspari.

Ci sono momenti che non vanno mai nel dimenticatoio. Ricordo il grande tavolo posizionato ad angolo in fondo alla grande sala che fu di Cardinali e in ultimo del segretario del PNF. Gaspari, seduto dietro la scrivania, ci accolse con grande cordialità. Dopo poche battute e qualche informazione di rito, Mario presentò il problema della candidatura. Gaspari lo interruppe quasi subito ma non perché avesse fretta, cosa che era evidente quando cominciava a troncare i discorsi già intavolati o ne impediva di nuovi col suo “Va bene, va bene, va bene, va bene, va bene”. Guardò Mario e gli disse “Senti, Amicone, non pensare che un mio comizio o qualunque cosa io possa fare posano decidere la vittoria in un’elezione comunale”. Aggiunse subito “Ora ti ripeto quel che dissi allora a Delmo Adezio: se hai fatto bene l’opposizione ti metti a capolista e la gente ti vota. Così si vince. Sennò io non ti posso fare niente. Delmo non mi ha dato ascolto e ha perso. Questi sono i fatti”. 

Mario, che non s’aspettava questa uscita così decisa del ministro, dovette raccogliere tutto il suo coraggio e riorganizzare all’impronta il discorso che, forse, aveva preparato in mente sua e obiettò: ”Il problema è che per il capolista avrei pensato, cioè l’ho promesso a Mincone, che lei conosce bene e che è capogruppo della minoranza”. “Senti - troncò Gaspari – te lo ripeto: se hai fatto bene il segretario ti candidi e vinci. A Mincone fagli fare la Miglianico Tour, fategli fare lo sport”. Non c’era altro da aggiungere. Gaspari chiese, come sempre, “come sta Pierino?” (Di Febbo). Restarono i convenevoli e recuperare Mimmo da Franco Tilli.

Il ritorno da Roma fu, per Mario Amicone, pieno di dubbi su come dare la notizia a Nicola Mincone. Ormai era convinto anche lui.

Il capolista della DC sarebbe stato Mario Amicone

Raccontai quanto accaduto quel giorno a Papà, che era stato tra i fondatori e primo segretario della DC a Miglianico. Papà mi disse: ”Mario va bene. Verrà accettato benissimo. È figlio di contadini, gente seria. Lavora in Prefettura e la gente lo stima. Mario va bene”. Sapevo che il suo giudizio era anche quello degli amici che frequentavano il “salotto di Mapone”. Il gruppetto era formato dai tre Peppe, Peppino Firmani, Peppe Cupido e lo stesso Mapone, al secolo Peppino Mancinelli, con loro c’erano il ragioner Alberto Ricciuti e suo fratello, il geometra Pantaleone, che fu fino al’ultimo tra i possibili candidati, Ermanno Anzellotti, Antonio Rosa (Pisello) e gli altri che, storicamente, questo posso affermarlo, furono i primissimi, decisissimi sostenitori di una candidatura Amicone come capolista della DC nell’85. Soprattutto Papà e la trinità dei Peppino non gradivano affatto la soluzione Nicola Mincone, che pure era persona loro vicinissima nell’impegno comune della Società Sportiva Miglianico, ricca di pioneristica passione e di vivace simpatia. Insomma lo conoscevano bene. 

Dopo qualche giorno Mario mi disse che aveva risolto con Nicola Mincone, ma gli era servita con una lunga e non facile chiacchierata tête-à-tête. Evidentemente disse la stessa cosa anche gli altri Amici dirigenti e simpatizzanti, perché si registrò un contestuale aumento della fiducia nella vittoria elettorale.

Mario Amicone si era ripromesso - o aveva promesso - di far battaglia nel partito, cioè di chiedere a Gaspari, la candidatura per Nicola Mincone alle provinciali, un posto che a dal 1970, quando fu candidato il dr. Fernando De Felice (non eletto) non era più toccava a un esponente della DC di Miglianico. Su questo ero d’accordo. Ma si trattava di una candidatura comunque scomoda, tutt’altro che un bel premio, poiché il nostro era uno dei collegi più difficili dell’intera provincia comprendendo anche Tollo, che avevo ribattezzato “il Cremlino d’Abruzzo”. Mario Amicone riuscì a portare quasi tutto (formalmente tutto) il Direttivo sezionale su questa posizione.  La risposta di Gaspari fu ancora una volta secca: “Ti devi candidare tu. O nessuno di Miglianico”. Credo che su Mincone il giudizio in quelle poche settimane non fosse cambiato affatto, vista la conclusione della vicenda: Mario fu candidato alle provinciali. L’impegno elettorale in un certo senso raddoppiava. Ma era doppia anche la speranza di far un grande risultato.

Chi ben comincia è a metà dell’opera.

La campagna elettorale del 1985 cominciò in modo splendido anche se davvero drammatico. La DC riuscì a conquistare il posto numero uno in lista, beffando la sinistra, soprattutto quella comunista che di questo faceva in tutta Italia un punto di orgoglio irrinunciabile.

La “beffa” avvenne con uno stratagemma semplice e perciò stesso capace di sorprendere i nostri avversari. Il gruppo dei dirigenti e dei futuri candidati DC, nella notte tra l’11 e il 12 aprile, uscì dalla sezione e avanzò, quasi solennemente, in piazza mostrando di voler dirigere verso il Municipio, presidiato a vista dai militanti del PCI che stazionavano tranquillamente davanti alla pizzeria di Filomena Monaco, “Filumenucce” (dove ora c’è la “Piccola Sartoria”). L’attenzione del drappello comunista fu attirata totalmente da un così inatteso e cospicuo schieramento. Ma quella fu per loro una distrazione fatale. Quando si girarono a guardare il posto che andava presidiato effettivamente, cioè il portone d’ingresso del Municipio, le sentinelle rosse s’accorsero che sul quel gradino erano comparsi due nostri amici: Lorenzo De Lutiis, che era dirigente sezionale e, non ricordo se Vincenzo Di Sipio, anch’egli componente del direttivo DC o Enzo Nardone il cui nome era tra i candidati di quella nuova lista scudocrociata. Raggiuntili di corsa, gli inviperiti comunisti si trovarono davanti al foglio che uno dei nostri “commando” tirò fuori da sotto il giubbino con scritto “Fila per la presentazione della lista DC”. Il vivace ma basso brusio della piazza fu squarciato dalla voce di Pierino Di Febbo, il capo effettivo dei comunisti locali, con la sua “invocazione” alla “’Ddollorata Madonna” e il grido, che sembrò strozzarglisi in gola tra il sigaro e un travaso di bile: “Tradimento!!”

La prima repubblica era così. Il senso di appartenenza era un legame pari se non più forte di quello coniugale. Da qui il ritorno della parola “tradimento” dopo il “traditori” del 1980. Era il suono della sconfitta.  

Seguirono non momenti ma ore di grandissima tensione con Mario Amicone e alcuni di noi, spalle alla grata che chiudeva la porta contesa, stretti da un vero e proprio assedio da parte di un folto e rabbioso gruppo di militanti comunisti. Arrivarono subito dopo i “soccorsi bianchi”, che fecero intendere senza equivoci di sorta che se ci fosse stato un violento tentativo di sovvertire l’ordine così costituitosi l’esito non sarebbe stato una resa ma una resistenza attiva, molto ma molto attiva. Una sola mediazione fu tentata seriamente, avvolta in un improvviso e quasi irreale silenzio. S’avanzò - evidentemente delegato dai suoi - l’arch. Francesco Cataldo, dirigente e candidato del PCI, uomo costituzionalmente mite, cognato di Nicola Mincone, che affrontò Mario Amicone dicendo: ”Facciamo un accordo”. Amicone rispose:”Bene. L’accordo è questo: noi siamo primi e voi secondi”. La trattata si esaurì lì.

Qualche ora dopo nessuno fece caso al fatto che passai prima tra la folla stratificata di assediati e assedianti, dicendo di voler andare a dormire e di aver riattraversato meno di un’ora dopo quelle trincee umane surriscaldate, dicendo che m’era passato il sonno, riposizionandomi a fianco di Mario Amicone che era rimasto aggrappato al cancello della porta municipale. Né alcuno fece caso al mio improbabile giubbino invernale in quella calda (in ogni senso) notte di primavera. Avevo dovuto fingere di andare a dormire, perché dovevo assolutamente andare a casa a recuperare la documentazione indispensabile per la presentazione della lista: ero proprio io il presentatore, cioè l’unico che doveva esser lì in prima fila per poter far assegnare alla DC il primo posto in lista. Se non m’avessero fatto ripassare o se si fossero accorti di quel fascicolo che nascondevo sotto il giubbino la storia sarebbe stata un poco diversa. La tensione scemò un’ora dopo il nostro ingresso in Municipio, perché tanto impiegò il compianto segretario comunale Gino Colanzi (che tifava per noi ma non poteva certo darlo a vedere)  a controllare e ricontrollare più volte tutto l’incartamento per evitare ogni possibilità di contestazione.

Avevamo iniziato bene. La piazza cominciò quasi d’incanto a esser attraversata da persone che ci salutavano alzando il pollice e dicendo solo “Primi!”.

Mario Amicone entrò da “Turiddu”, nella bottega di barbiere di Racioppo a farsi uno shampoo e andò a lavorare in Prefettura.

Noi andammo a prender un caffè da Ovidio e festeggiammo la nascita del figlio di un nostro Amico dirigente sezionale.

La DC a Miglianico nell’85 vinse quelle elezioni comunali. E non solo.

Fu una battaglia formidabile: il territorio venne presidiato in modo capillare e i candidati delle due parti controllati a vista, giorno e notte; avevamo un telefono pronto dietro una cinquantina di porte di diverse case in ogni contrada per dare allarmi e notizie al telefono della sezione (non c’erano i telefonini, ndr.).

Lo stesso Remo Gaspari fu protagonista di un affollatissimo comizio dal balcone di casa Zannolli il giovedì prima della chiusura, il 9 maggio. Quella, tra l’altro, fu l’unica sera della sua lunghissima vita politica in cui Nicola Mincone fece un comizio veemente e appassionato, del tutto improvvisato, al termine del quale chiese addirittura di fumare una sigaretta.


La DC di Miglianico, guidata da Mario Amicone, poté segnare quel martedì 14 maggio 1985 (giorno dello scrutinio al quale si riferiscono le foto) come la data nella quale, dopo dieci lunghi anni di opposizione, anni difficili ma indispensabili e positivi per il suo rinnovamento, “le nuce” erano state rimesse al loro posto.

In lista, vincitori ufficiali di quell’epica battaglia, c’erano Donato Antonelli, Rocco Palladinetti (il grande “Taccone”), l’ing. Gianni Cataldo, Enzo Nardone, Benito D’Aversa, Pantaleone Mammarella, Mario Di Tizio, Gino D’Onofrio, Ennio Masciulli, Nicola Mincone, Roberto De Donatis, Mario Caramanico, Amerigo Timperio, Olivia Sarra e Lucio Zannolli.

Ma vinsero anche e soprattutto tante Amiche e tanti Amici, di cui evito il non breve elenco. Tutti loro misero in campo una passione che ormai la politica non riesce più ad accendere.

      

La lunga e strombazzante sfilata delle auto fu l’annuncio a tutte le contrade e ai paesi vicini che la DC aveva vinto. Mario Amicone, sul "maggiolone" decappottabile di Belfiglio, volle accanto a sé Mincone.

La grande festa della vittoria si tenne il 1 giugno. Miglianico era stata tutta imbandierata di vessilli bianchi scudocrociati.


La piazza fu piena di entusiasmo e di persone che mangiarono molte più delle porzioni immaginate come corrispondenti agli elettori della DC: in ogni storia c’è chi vince sempre!

Qualche mese dopo, il 30 novembre, al termine di un intervento che feci come dirigente organizzativo del Movimento Giovanile regionale in occasione di un convegno nazionale che si teneva a Foligno, il ministro Remo Gaspari, che sedeva in prima fila, mi chiamò e mi presentò Gustavo Selva, grande direttore del GR2. “Gusta’ - fece Gaspari dopo i convenevoli – al paese di questo mio giovane amico sono stato a fare un comizio per le comunali. La piazza tremava come nel ’48, uno spettacolo indimenticabile”. E anche a Selva parlò del suo amico “Pierino”, che Gaspari non aveva mai conosciuto ma che aveva adottato come elemento di memoria per Miglianico forse per il troppo sentirlo citare durante i nostri comizi. Chissà se si fossero incontrati… (4- fine)

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