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Appunti per una piccola storia locale. Prima puntata: le origini. Mario Amicone da cancellato a protagonista

Categoria: Il dimenticatoio
Pubblicato Lunedì, 23 Settembre 2013 11:40
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Tutti pensano di sapere. Quindi ritengono di poter giudicare e, facendolo, passeggiano con scarpe chiodate e suole sporche di sterco sulla dignità delle persone.

È vero: quando un soggetto, candidandosi, si espone al vaglio dell’elettorato mette, deve mettere in conto anche illazioni, pettegolezzi, intrusioni indelicate negli spazi che sono nei pressi della propria vita privata, giudizi sommari e cattiverie gratuite. Il fatto, però, è che queste cose son accettabili, pur nel disagio e nell’amarezza che portano con sé, quando vengono da informazioni forse non vere in assoluto, visto che nell’umano non esiste verità assoluta, ma il più possibile corrette. Altrimenti sono inaccettabili.

La vicenda a cui fa riferimento questa indispensabile premessa è vecchia, risale a almeno quattro anni fa. Ma essa trascina effetti che feriscono ancora oggi. E, se, come probabilmente sarà, si dovesse ripetere come tale o in maniera simile, potrebbe portare altrettanti guasti nello spargimento di giudizi mal fondati, inutili in sé ma capaci di ferire la dignità di non poche persone.

Molti pensano di sapere come si arrivò a comporre la lista “Viva Miglianico Viva” in occasione delle scorse elezioni comunali. Ma altrettante persone conoscono spezzettature di racconti.

 

Appiccicano con lo sputo delle proprie strampalate ricostruzioni da filmettone americano alcuni frammenti di memoria e opinioni personalissime e disinvolte come fossero stralci di epigrafi o capitoli di libri storici. Lo fanno partendo dalla fine, cioè mettendo sopra tutto il giudizio facile che viene dal sapere il risultato, quindi, col facile senno di poi. Pongono quel giudizio a fondamento di fatti che perlopiù ignorano del tutto o quasi e che no considerano nel loro svolgersi, perché sono accaduti e vanno valutati nel loro contesto temporale.

È inutile oggi ricostruire, provare quantomeno a farlo, quella paginetta di storia locale?

No.

Non è inutile per due motivi almeno: innanzitutto conoscere, sapere, avere informazioni anche parziali serve a capire, aiuta sempre a capire quando si è in buona fede. E poi il capire può servire, quando dovessero esser fatti percorsi simili, a fare strade diverse, se non più brevi certamente rischiando meno errori, comunque - questa è la speranza - migliorando il rispetto per la dignità delle persone.

Una precisazione va fatta per circoscrivere e poter meglio collocare gli elementi che questa ricostruzione contiene. Narro quel che ho vissuto da testimone diretto per come lo ricordo oggi. Non ho in questo momento appunti e documenti che conto di ricercare e utilizzare quando queste poche anticipazioni potrebbero diventare una fettina di storia locale fondata anche su elementi documentali certi e inconfutabili. Non narro il sentito dire, il racconto di quanto è stato raccontato, le indiscrezioni riferite come presunte verità.

Chi vorrà potrà commentare, precisare, correggere, aggiungere. Non potrà condannare per falsità. Non c’è intenzione di asserire una verità ma non c’è il pericolo di proporre versioni non controllate di cui altri son stati testimoni o narratori. Insomma possono esserci errori ma per problemi di memoria non per malafede o insincerità.

Faccio un esempio che si riferisce a altra vicenda. Essa risale all’ultima tornata elettorale interna per la elezione del Consiglio di Amministrazione della locale Cantina Sociale, l’ultima che vide protagonista Mario Caramanico. In quei giorni ero completamente disattento e non informato, tant’è che seppi del risultato di quelle votazioni attraverso una telefonata di un amico al quale dovetti chiedere anche cose che lui dava per scontato che io ben conoscessi. Le polemiche “comparizie” dei giorni successivi che mi attribuivano colpe non lievi mi spinsero a chiedere come fossero andate le cose. Dovetti anche insistere un poco. Mario Amicone mi raccontò che una o due sere prima delle votazioni in Cantina, lui, Nicola Mincone e Dino De Marco s’eran incontrati nell’ufficio di Nicola alle Quattro Strade e avevano racimolato telefonicamente alcune deleghe di soci della cooperativa. Due o tre ciascuno ne procurarono Mario e Nicola, 10/12 ne portò Dino De Marco. Non ricordo bene se quei voti poi furono decisivi. Allora poco importava. Avevo comunque già ricevuto le contumelie di rito come fossi il diretto colpevole dell’intera perfida manovra, che invece mi era del tutto estranea. Un fatto del genere, quello relativo a questo esempio, non potrei riportarlo in questa sede, proprio perché non appartiene agli eventi che posso testimoniare direttamente, forse con eventuale difetto di senescente memoria ma certamente con la luce della piena sincerità.

Questa precisazione è inutile per chi conosce l’autore e resta libero poi di giudicarlo come vuole. È indispensabile per chi non conosce né l’autore né i fatti.

La vicenda ha origini lontane, anche rispetto alla primavera del 2009 che è il punto focale di questa narrazione. Inizia quando si preparò la lista per le precedenti elezioni comunali, quelle del 2004, quindi parliamo dell’autunno 2003. All’epoca, in mancanza di persone disponibili (incredibile ma vero), avevo da poco assunto, per inevitabile spirito di servizio, la responsabilità di segretario della sezione “Alcide De Gasperi” dell’UDC di Miglianico, partito costituitosi non molte settimane prima, di cui il dott. Mario Amicone, era se non il capo, certamente l’uomo di punta a livello regionale, con ottime entrature, ovviamente dalle parti di Pierferdinando Casini & Co.

Credo sia interessante, per chi ha curiosità di sapere e anche per chi ha forse dimenticato alcuni passaggi, ripercorrere rapidamente la vicenda che ha portato Mario Amicone a esser quel che s’è appena descritto.

Mario Amicone, classe 1945, iscritto sin da giovane alla Democrazia Cristiana, divenne protagonista della vita politica locale, come si legge in certe pagine della mitologia e dei romanzi, a dispetto dei benpensanti e dei potenti ma con una sorta di favore degli dei. Infatti a Miglianico la DC subì un trauma politico fortissimo nel giugno del 1975, quando per la prima volta dal dopoguerra perse la guida del Comune, venendo sconfitta dalla Sinistra Unita guidata dal prof. Francesco Scotti e dal segretario del PCI dr. Luigi D’Adamio, vincitore in campo elettorale della guerra dei dottori visto che segretario della DC era il dr. Fernando De Felice.

Quella guerra fece disastri, ma è un’altra storia.

Un trauma più forte la DC lo subì però nel giugno 1980, benché si fosse seriamente riorganizzata con la sua Sezione intitolata a Alcide De Gasperi, un direttivo largamente rinnovato guidato dal compianto Delmo Adezio, con una sede spaziosa in via Dante Alighieri (ove ora si trova il “Wolf Bar”) e tutta la dirigenza provinciale e regionale attenta e impegnata alla riconquista del Comune. La DC, guidata di primi del 1976 da Delmo Adezio, aveva combattuto e vinto la durissima battaglia elettorale delle politiche svoltesi nel giugno 1976, quando si temeva il drammatico sorpasso del PCI e quando Montanelli invitò i laici e gli snob dei salotti bene a “turarsi il naso e votare DC”. Furono vinte bene anche le elezioni politiche successive del 3 e 4 giugno 1979 e le Europee che si tennero il successivo 10 giugno, le prime della nostra storia che videro Lorenzo Natali prestigiosissimo capolista della DC nel nostro collegio dell’Italia meridionale.

Erano dunque queste le condizioni che facevano ben sperare molti sostenitori della DC locale, i quali avevano adottato il motto: “stavote aremetteme lu nuce a lu poste!”, riferendosi alle imminenti amministrative. Ma, in quelle elezioni comunali del giugno 1980, a vincere fu ancora la Sinistra Unita. Beh unita?!: un poco riappiccicata alla bisogna, dopo la traumatica cacciata di Scotti nel 1976, ma ancora ben combattiva. Fu la misteriosa scheda scomparsa, causa di un avvio di ricorso, che si diceva fosse girata ad arte per garantire i voti dubbi o sotto ricatto, ad aiutare la sinistra di Ricci e Pierino? Furono le ultime commissioni edilizie pre-elettorali a spostare la sessantina di elettori che furono decisivi per il risultato? Fu l’errore di generosità del segretario della sezione DC, Delmo Adezio che si fece molto aiutare da vecchi potenti locali a scegliere i candidati? Fu la sua maggiore e un poco avventata generosità che lo portò, a campagna elettorale ormai imminente e a lista chiusa, a dare ascolto all’unica critica - in realtà era un sentito dire - riferita dall’indimenticabile Amerigo D’Onofrio e a passare di colpo, davvero in un solo minuto, senza consultare nessuno, la fascia di capolista a Nicola Mincone che causò il tracollo? Fu la scellerata campagna elettorale di Nicola Mincone, forse sicuro di vincere, che in tutte le riunioni di contrada parlava solo di sport a determinare la disaffezione anche degli amici?

L’analisi andrebbe fatta qui per non alimentare dubbi in questa piccola storia, ma il risultato è storia. E trovare oggi errori di allora sarebbe esercizio di utile approfondimento, ma ci lascerebbe per un bel po’ in un tempo lontano ben più dei trentatré anni che son ormai trascorsi da quel 1980. La DC, che aveva prevalso alle concomitanti provinciali e  regionali, perse le elezioni comunali del 1980. Le noci non erano state rimesse al loro posto.

Il trauma politico divenne trauma anche personale per chi la sconfitta la subì in quanto candidato o dirigente sezionale o sostenitore del partito. Vanno eccettuati alcuni che non mostrarono effetti per la sconfitta e machiavellicamente la seppero anche utilizzare.

Ecco allora che iniziarono anche piccoli regolamenti di conti e una piccola e breve caccia al “traditore”.

Il termine traditore, forse un po’ troppo forte ma necessitato, fu coniato da Antonio Rosa, il carissimo “Pisello” nel chiamare un brindisi in quella che fu una delle più belle serate della politica locale. Per iniziativa sua, e di altri, tra cui il nipote Emilio e Franco Di Felice, cuoco eccellente, ci riunimmo tutti noi sconfitti nel piazzale che insiste tra le loro case in contrada Rosa, per una spaghettata aglio olio e peperoncino che promessa in caso di vittoria ma fu confermata e vissuta allegramente nonostante la bruciante sconfitta.

In sezione il clima fu teso. Delmo Adezio cancellò con la propria penna dal tabulato degli iscritti due o tre nomi. Il primo, perché in ordine alfabetico, fu proprio quello di Mario Amicone colpevole, tra l’altro, di abitare a Pescara. (1 – continua)