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“Pensieri sparsi” Quando i ragionieri hanno un'anima poetica


Non sono un critico letterario e non ho alcuno strumento per allestire una adeguata recensione letteraria della prima raccolta di versi pubblicata da Alberto Ricciuti, valido professionista, concittadino amato a conosciuto, amico.

A questo amico lui ha voluto far omaggio del volumetto “Pensieri sparsi” (poesie in lingua e in dialetto miglianichese) pubblicato per i tipi de “Edizioni NOBUS” nel maggio 2013.

La pubblicazione di un libro a Miglianico è evento raro, rarissimo. Quindi ha da sé stesso la sua importanza storica. Credo che tutti debbano leggerlo e debbano far i propri complimenti all’autore. E poi, è bello che Alberto Ricciuti abbia voluto ricordare il maestro Cesidio D’Amato (Dijucce) con un solo aggettivo “sublime”. La riconoscenza non è sentimento diffusissimo nella nostra Comunità.  

 

Con delicatezza e la sua consueta gentilezza Alberto Riciuti, il “ragioniere”, si è scusato di non avermi invitato alla presentazione che ha offerto alla Cittadinanza e alla quale, mi ha raccontato soddisfatto, erano presenti in molti “di tutti i colori politici”, ha sottolineato. L’ho tranquillizzato confermandogli che non avrei potuto esser comunque presente per pressanti impegni familiari.

Ho promesso a Alberto Ricciuti che avrei letto subito la sua opera. Così ho fatto.

Leggendo sentivo quasi la sua voce che pronunciava le parole. È una bella emozione che un po’ ti fa distrarre ma allo stesso tempo ti fa immergere tra le parole.

L’autore ha scelto di usarne poche, consentendo così a ciascuna parola di riempire tutto lo spazio, dilatandosi in modo da poter esprimere per intero e in profondità di sentimento il mondo che vuol rappresentare con il suo scritto.

Leggendo non ho potuto non pensare all’Alberto Ricciuti che conosco da tanti anni. Lo conosco e ne ho ricordi da quando divenne presenza in via Roma, col suo primo studio. Da quando divenne presenza nelle ore delle belle chiacchierate trascorse nella bottega di barbiere dell’indimenticato Peppino Mancinelli detto “Mapone”. Da quando divenne presenza nella vita del mio papà, al quale era legato da una consuetudine fatta di collaborazione, di tante cose ma mai di invadente assillo nella vita privata. L’ho sempre inquadrato con simpatia nel suo voler vestire i panni del provocatore o del bastian-contrario, ruolo che qualcuno deve vestire poiché è indispensabile per tenere accese e animate le discussioni dal barbiere, nella sua particolarissima capacità di collocarsi politicamente in quota repubblicana (PRI), area rigorosamente governativa, ma con quella venatura di sinistra che gli consentiva di criticare il potere locale senza dover difendere sistemi e regimi diversi, ma poi è stato anche uno dei più assidui e silenziosi elettori della nostra parte amministrativa, con una fedeltà sempre dichiarata (penso anche praticata) per Nicola Mincone.

Alberto Ricciuti, vestendo questi panni, è stato sempre attivo e presente nelle varie esperienze sociali della nostra Cittadina, dalla Pro Loco, di cui fu solerte ma solitario presidente nel periodo in cui il sodalizio fu abbandonato dall’amministrazione di sinistra, alla Cantina Sociale (o Cantine Sociali), dai comitati feste fino, direi soprattutto allo sport. Negli anni meno floridi della Miglianico Tour ha fatto, come molti, la sua parte. Però è stato tra i dirigenti di quella stagione della Miglianico Calcio, povera di mezzi ma ricchissima di brio e di amicizia. Era la società dei tre Peppe, il Firmani (“Peppinucce di Guizzarde”) Presidente, il Mancinelli (“Mapone”) segretario, il Cupido ("Peppe di Sante Vite") dirigente operativo. Lui, Alberto Ricciuti, come il mio Papà e altri, ricordo per tutti Antonio Rosa, l’indimenticabile “Pisello”, c’era quando si gestiva il calcio senza ingaggi, quello che a mala pena riusciva a comprare le scarpe ai giocatori, quello che a Natale consegnava ai giocatori un panettone e una bottiglia di economicissimo spumante, ma anche quello che inventò i tornei estivi, bellissimi, appassionanti, arricchiti da presenze di calciatori di categorie superiori.

Erano i tempi di allenatori caratteristici e ormai introvabili: Francesco D’Adamio (“Ciccillo”) o “Lollogge” (il cav. Elvio Sciarra, l’ insostituibile maestro pirotecnico). Poi venne, sempre in quella stagione, anche Nicola Mincone, che da difensore-centrocampista senza fronzoli divenne giovanissimo allenatore del Miglianico, legatissimo alla sua panchina “è come Andreotti - commentò in un momento di difficoltà della squadra Peppino Firmani - non lascia la sedia”.

Con Alberto Ricciuti ci son stati dunque tanti e tanti momenti che giustificano la lettura attenta e affettuosa che ho fatto delle sue poesie. Dopo tante chiacchiere, dopo tanti discorsi e dibattiti appassionati lui ha trovato egregiamente il modo di raccontare sé stesso e le sue emozioni con poche parole, spesso scultoree, ma piene della sua lunga esperienza umana segnata anche da prove difficili.

Confesso che fui meravigliato e commosso la prima volta quando me lo trovai, fuori dall’orario consueto delle visite, accanto al mio letto di svago all’ospedale, ormai quasi dieci anni fa. Accadde poi spesso in quei giorni d’estate, ogni volta che veniva lì anche lui per problemi, i suoi, molto più seri. Aprivo gli occhi e riconoscevo la sua presenza, quasi silenziosa, dalle sue braccia martoriate dagli aghi.

“Come va?” mi chiedeva ogni volta con quel sorriso timido.

Lo stesso sorriso col quale mi ha donato, delicatamente, quasi timidamente questo suo segno di amicizia che conserverò tra le cose più care.


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